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Corte di Cassazione 23/10/2014

Medico alla guida risponde a chiamata d’emergenza? La multa è legittima

(Cass. Civ., sez. VI - 2, 8 ottobre2014 n.21266)

Se il medico che sta guidando risponde ad una chiamata d’emergenza sul cellulare la multa è, comunque, legittima; non è sufficiente la “scusa” di essere stato obbligato a rispondere al telefono perché un paziente si trovava in pericolo di vita.

Così i giudici della Suprema Corte di Cassazione con la decisione depositata il 9 ottobre 2014 n. 21266 i quali hanno, inoltre, precisato che proprio perché il medico è consapevole della possibilità che vi possano esserci delle telefonate di emergenza deve attrezzarsi in maniera adeguata al fine di rispondere al cellulare.

La Corte ha confermato, pertanto, la sanzione irrogata per la condotta del medico e quindi la legittimità del verbale emesso dagli agenti di Polizia Municipale; nemmeno l’urgenza o lo stato di necessità sono esimenti che giustificano l’utilizzo del cellulare alla guida.

Continua la linea dura e ferma della giurisprudenza sull’utilizzo del cellulare alla guida.

Il codice della strada, infatti, all’articolo 173 prevede che è vietato al conducente di far uso durante la marcia di apparecchi radiotelefonici ovvero di usare cuffie sonore, fatta eccezione per i conducenti dei veicoli delle Forze armate e dei Corpi di cui all’articolo 138, comma 11, e di polizia.

È consentito l’uso di apparecchi a viva voce o dotati di auricolare purché il conducente abbia adeguate capacità uditive ad entrambe le orecchie (che non richiedono per il loro funzionamento l’uso delle mani).

Si legge nella decisione che si commenta che in primo grado il giudice nel ritenere insussistente la dedotta esimente riconducibile allo stato di necessità prospettato dalla ricorrente ha adottato “una motivazione assolutamente logica, asserendo che la opponente non poteva conoscere il contenuto delle richieste che le sarebbero pervenute dal suo superiore e che ove fosse stata a conoscenza della possibilità di ricevere telefonate relative a pazienti gravi, avrebbe dovuto predisporre le condizioni per rispondere con auricolare ovvero viva voce, così facendo buon governo dei principi di cui all'indirizzo giurisprudenziale costante di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 17479 del 2005 e Cass. n. 15195 del 2008), alla stregua del quale l'esclusione della responsabilità per violazioni amministrative derivante da "stato di necessità" ovvero da "adempimento del dovere" secondo la previsione della L. n. 689 del 1981, art. 4 postula, in applicazione degli artt. 54, 51 e 59 c.p., che fissano i principi generali della materia, una effettiva situazione di pericolo imminente di danno grave alla persona, non altrimenti evitabile, ovvero l'avere agito in esecuzione di un ordine non macroscopicamente illegittimo, nonché l'erronea persuasione di trovarsi in tali situazioni, persuasione provocata da circostanze oggettive”.

(Nota di Manuela Rinaldi)

 

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI - 2 CIVILE

Sentenza 8 ottobre 2014, n. 21266

(Presidente Petitti – Relatore Falaschi)

Svolgimento del processo

T.S. proponeva opposizione ai sensi dell'art. 204 bis C.d.S. per sentire annullare il verbale di accertamento di violazione del codice della strada n. V-2544636 del 13.7.2006, emesso nei suoi confronti dalla Polizia municipale di Padova, relativo a violazione dell'art. 173 C.d.S., commi 2 e 3, per aver usato, alla guida di un'autovettura, un telefono cellulare non dotato di auricolare, invocando l'applicazione della esimente dello stato di necessità o dell'adempimento del dovere, in quanto - nella sua veste di specializzanda in medicina cardiovascolare - nell'occasione avrebbe ricevuto una telefonata urgentissima dal proprio diretto superiore, dott. Payan, che la contattava per ricevere informazioni su un paziente in pericolo di vita. Il Giudice di pace di Padova, nella resistenza del Comune, rigettava il ricorso e per l'effetto confermava il verbale di accertamento. In virtù di rituale appello interposto dalla S., la quale insisteva affinchè venisse riconosciuta la esimente, il Tribunale di Padova, nella resistenza del COMUNE, respingeva il gravame.

A sostegno delle decisione il giudice di secondo grado evidenziava che non sussisteva nella specie l'ipotesi di cui all'art. 4 della legge n. 689 del 1981 giacchè trattandosi di chiamata in arrivo, l'appellante non poteva conoscere le ragioni e l'eventuale urgenza della telefonata. E d'altra parte se avesse saputo già prima di porsi alla guida della ricezione di una chiamata telefonica urgente, avrebbe dovuto predisporre l'uso dell'auricolare o del viva voce. Aggiungeva che la fattispecie non integrava neanche l'adempimento di un dovere non essendovi la inevitabilità della condotta contraria al precetto sanzionato. L'opponente ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. Il Comune di Padova ha resistito con controricorso, illustrato anche da memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 della legge n. 689 del 1981 e 54 c.p. per non avere il giudice del gravame, nel ritenere insussistente la esimente dello stato di necessità, tenuto conto dell'urgenza della chiamata del dott. Payan, riguardante una paziente in grave stato di salute, e la situazione di fatto relativa alla percorrenza da parte della ricorrente del Cavalcavia Vicenza, per cui era impossibilitata ad accostare, non essendovi corsie di emergenza.

Con il secondo motivo, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 della legge n. 689 del 1981 e 51 c.p., la ricorrente assume che nella situazione di fatto dedotta il giudice del gravame avrebbe dovuto configurare la esistenza dell'adempimento di un dovere, venendo in rilievo un diritto fondamentale quale quello relativo alla salute (artt. 2 e 32 Cost.).

Il terzo mezzo, nel dedurre la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, comma 2, della legge n. 689 del 1981, 54 e 59 c.p., invoca l'applicazione del c.d. stato di necessità putativo ed il quarto, a conclusione delle difese, denuncia l'omessa motivazione per non avere il giudice di appello dato conto della ritenuta non ammissibilità e non rilevanza della testimonianza del dott. Payan, né era stata presa in considerazione la circostanza che ella stava attraversando un cavalcavia nel momento della ricezione della telefonata, per cui non era consentito alcun arresto a lato della strada, che avrebbe sicuramente provocato un maggiore pericolo; il quinto mezzo, infine, deduce il vizio di motivazione per non avere considerato che la ricorrente non poteva prevedere il repentino peggioramento della salute di una paziente e conseguentemente di ricevere una telefonata in detta ottica. Tutti i mezzi articolati - che per la evidente connessione, ponendo in rilievo la medesima vicenda, vanno esaminati congiuntamente - non appaiono fondati. Ritiene il Collegio che lo svolgimento argomentativo dei mezzi in esame non sia congruo rispetto alla denunziata violazione di norme di legge, atteso che le censure sono strutturate in modo da stimolare, da parte della Corte, un approccio fattuale alle emergenze di causa - non consentito in sede di legittimità - al fine di valutare se, nel caso concreto, quella determinata situazione potesse giustificare la condotta di guida della ricorrente, non considerando dunque che la valutazione se una condotta sia necessitata ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 4, impinge in un giudizio di fatto di esclusiva pertinenza del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità se, come nel caso di specie, sia stato congruamente motivato; va sul punto messo in rilievo che il ricorso non prende in esame le pur compiute argomentazioni poste a base della decisione del giudice del gravame, al fine di giustificare il giudizio di non idoneità della condotta della ricorrente a fronte del sopraggiungere di una telefonata e, per altro verso, introduce inammissibilmente un diverso profilo di censura rispetto a quelli che - stando all'analitica ricostruzione degli antefatti processuali contenuta nel ricorso - erano stati i motivi dell'appello, adducendo la sussistenza di uno stato di necessità quanto meno putativo (così Cass. n. 16715 del 2013 e Cass. n. 29390 del 2011).

Il giudice di merito, infatti, nel ritenere insussistente la dedotta esimente riconducibile allo stato di necessità prospettato dalla ricorrente (motivato dall'urgenza di dovere rispondere al cellulare perché si trattava del suo superiore, dott. Payan, che chiedeva informazioni circa lo stato di una paziente in pericolo di vita) ha adottato una motivazione assolutamente logica, asserendo che la opponente non poteva conoscere il contenuto delle richieste che le sarebbero pervenute dal suo superiore e che ove fosse stata a conoscenza della possibilità di ricevere telefonate relative a pazienti gravi, avrebbe dovuto predisporre le condizioni per rispondere con auricolare ovvero viva voce, così facendo buon governo dei principi di cui all'indirizzo giurisprudenziale costante di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 17479 del 2005 e Cass. n. 15195 del 2008), alla stregua del quale l'esclusione della responsabilità per violazioni amministrative derivante da "stato di necessità" ovvero da "adempimento del dovere" secondo la previsione della L. n. 689 del 1981, art. 4 postula, in applicazione degli artt. 54, 51 e 59 c.p., che fissano i principi generali della materia, una effettiva situazione di pericolo imminente di danno grave alla persona, non altrimenti evitabile, ovvero l'avere agito in esecuzione di un ordine non macroscopicamente illegittimo, nonché l'erronea persuasione di trovarsi in tali situazioni, persuasione provocata da circostanze oggettive. Per tale ragione, poiché i fatti dedotti non integravano una situazione di fatto a sostegno dell'operatività di un'esimente reale o putativa, il giudice di secondo grado correttamente ha ritenuto non necessaria l'assunzione del teste Payan; inoltre, l'affermazione circa la possibilità di predisporre fin dal momento di mettersi alla guida di strumenti tali da consentire l'utilizzo del telefono mobile in sicurezza, deve ritenersi una mera argomentazione svolta ad abundantiam. Conclusivamente il proposto ricorso deve rigettarsi per le considerazioni sopra espote, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi €. 1.000,00, oltre ad €. 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori, come per legge. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2^ Sezione Civile.

 

 

da Altalex

 

 

 

 

 

Giovedì, 23 Ottobre 2014
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