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Corte di Cassazione 26/08/2014

Fermo amministrativo: in caso di debito Irpef decide il giudice tributario

(Cass. Civ., SS.UU., 05 maggio 2014, n. 9568)

“L'opposizione avverso il fermo amministrativo di un veicolo e del relativo preavviso ex art. 86 del dpr n. 602/1973, come interpretato dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 25 quinquies, convertito con Legge n. 248/2006, resta, per principio generale, attribuito al Giudice tributario salvo il caso eccettuato che l'ente impositore abbia formalmente riconosciuto il diritto allo sgravio, dovendo, in tal caso, riconoscersi la giurisdizione del giudice ordinario, non riguardando, in tal caso, più la controversia una questione tributaria, bensì un mero indebito oggettivo di diritto comune”.

 

Questo è il principio affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, Sez. Un., nella sentenza 5 maggio 2014, n. 9568.

 

La vicenda trae origine dall’impugnazione, da parte di un cittadino, del preavviso di fermo amministrativo dell'autovettura. Egli deduceva l'inesistenza del titolo poiché aveva ricevuto una cartella esattoriale in qualità di erede anziché in qualità di curatore dell’eredità giacente. Detto errore veniva tempestivamente segnalato alla competente Agenzia delle Entrate che ne prendeva atto.

 

Dunque, secondo il ricorrente la presa d’atto dell’errore da parte dell’Agenzia delle Entrate determinava il venir meno della pretesa tributaria e, conseguentemente, l’inesistenza titolo impugnato.

 

Al contrario, l'adito Giudice di Pace dichiarava il difetto di giurisdizione, in quanto l’atto impugnato afferiva ad un credito IRPEF impugnabile innanzi al Giudice tributario. Le sentenza veniva successivamente appellata, ed il Tribunale di Pescara confermava la decisione di prime cure.

 

La questione veniva successivamente sottoposta al vaglio dei supremi giudici di legittimità.

 

La Corte, nella propria decisione, parte dal presupposto che  nel caso di specie  la P.A. non aveva effettuato alcun riconoscimento formale dell'inesistenza del credito e, neppure, aveva disposto alcuno sgravio della somma pretesa. Peraltro, l’ente riscossore non aveva mai rinunciato alla pretesa fiscale, continuando a pretendere il soddisfacimento del credito nei confronti del ricorrente non già in qualità di erede, bensì nella veste di curatore dell'eredità giacente.

 

Sulla base di queste premesse la suprema Corte Cassazione afferma il principio secondo il quale  “l'opposizione avverso il fermo amministrativo è attribuito al Giudice tributario, salvo il caso in cui l'ente impositore abbia formalmente riconosciuto il diritto allo sgravio. In tal caso la giurisdizione spetta al Giudice ordinario poiché la controversia non riguarda più una questione tributaria, bensì un mero indebito oggettivo di diritto comune”.

 

In ordine alla correttezza delle argomentazioni difensive addotte dal ricorrente, la suprema Corte coglie un macroscopico errore costituito dall’omessa confutazione dei fatti poc’anzi narrati e della relativa soluzione giuridica, che costituiscono il tessuto argomentativo e la ratio su cui si fonda l'impugnata sentenza.

 

Infatti, il ricorrente si è limitato a dedurre la mancata valorizzazione della circostanza che tanto l'ente impositore come pure la concessionaria, avevano riconosciuto "l'erroneità e la non riferibilità della cartella esattoriale".

 

Secondo i Giudici detta argomentazione è inidonea - in sede di ricorso per cassazione - a sostenere il vizio di motivazione, poiché tende ad ottenere una decisione contraria sulla base dei medesimi elementi già esaminati e diversamente valutati dai giudici di merito. Al contrario, “la parte ha l'onere di indicare in modo esaustivo le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione, in quanto detto ricorso deve risultare autosufficiente e, segnatamente per potersi configurare il vizio di motivazione è necessaria non solo la puntuale indicazione dei fatti controversi rilevanti e del successivo momento di sintesi (Cass. SS.UU. n. 16528/2008, n. 254117/2008), ma pure un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza (Cass. n. 9368/2006, n. 21249/2006, n. 1014/2006, n. 22979/2004)”

 

(Altalex, 26 agosto 2014. Nota di Giuseppe Guida)

 

 
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Sentenza 25 febbraio - 5 maggio 2014, n. 9568

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

SEZIONI UNITE CIVILI

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. ADAMO Mario - Primo Presidente f.f. -

Dott. RORDORF Renato - Presidente Sezione -

Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere -

Dott. VIVALDI Roberta - Consigliere -

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere -

Dott. DI BLASI Antonino - rel. Consigliere -

Dott. VIRGILIO Biagio - Consigliere -

Dott. D'ASCOLA Pasquale - Consigliere -

Dott. BOTTA Raffaele - Consigliere -

 

ha pronunciato la seguente:

 

sentenza

 

sul ricorso proposto da:

 

D.F.P. residente a (OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta delega a margine del ricorso, dall'Avv. D'AMORE SEVERINO, nel cui studio, in Roma, Viale Paridi, 76, è elettivamente domiciliato;

 

- ricorrente -

 

contro

 

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, nei cui Uffici, in Roma, Via dei Portoghesi, 12, è domiciliata;

 

- controricorrente -

 

nonchè EQUITALIA PRAGMA SPA con sede in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore;

 

- intimata -

 

Avverso la sentenza n.1260/2011, emessa dal Tribunale di Pescara, in persona del Giudice Unico Dott. Angelo Bozza, in data 27.09.2011 e depositata in cancelleria il 27 settembre 2011;

 

Udita la relazione della causa, svolta nella pubblica udienza del 25 febbraio 2014, dal Consigliere Dott. Antonino Di Blasi;

 

udito il P.M., in persona dell'Avvocato Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per l'accoglimento parziale del ricorso.

 

Svolgimento del processo

 

D.F.P. impugnava in sede giurisdizionale, il preavviso di fermo amministrativo dell'autovettura, per asserito omesso pagamento di somme, deducendo l'inesistenza di un valido titolo, legittimante la pretesa nei propri confronti.

 

Evidenziava di avere, in precedenza, ricevuto una cartella esattoriale, erroneamente indirizzatagli quale erede di tale D. G.F., del quale, in realtà, era stato solo curatore della relativa eredità giacente, e che tale erroneo operato aveva tempestivamente segnalato alla competente Agenzia, che ne aveva preso atto.

 

Nell'incoato giudizio, si costituiva l'Agenzia Entrate, mentre non svolgeva difese l'intimata concessionaria.

 

L'adito Giudice di Pace di Pescara, dichiarava il proprio difetto di giurisdizione, opinando che, poichè il fermo amministrativo impugnato afferiva a credito tributario per IRPEF, lo stesso risultava impugnabile davanti al Giudice Tributario.

 

Il D.F., proponeva appello, deducendo la giurisdizione del Giudice Ordinario e la fondatezza, nel merito, dell'impugnazione, per essere estraneo alla pretesa impositiva, ed il Tribunale di Pescara, con la sentenza in epigrafe indicata ed in questa sede impugnata, lo rigettava, confermando la decisione di primo grado.

 

E' stato, quindi, proposto il ricorso di legittimità, di che trattasi, che il D.F. ha affidato ad un mezzo.

 

L'Agenzia Entrate, difende le proprie ragioni, con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con l'unico mezzo, il ricorrente ha censurato l'impugnata decisione per omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, deducendo che le argomentazioni nella stessa svolte si porrebbero in contraddizione con "quanto documentato e provato" in atti e che, alla relativa stregua, è a ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice ordinario. Deduce, pure che l'ente impositore e la concessionario avrebbero agito con malafede e colpa grave, ragion per cui ne chiede la condanna al risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 96 c.p.c., e art. 2043 c.c..

Ritiene il Collegio che il ricorso vada rigettato, tenuto conto che la sentenza del Tribunale di Pescara, che ha riconosciuto e dichiarato la giurisdizione del giudice tributario, è in linea con l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte, e che, d'altronde, il mezzo risulta inidoneamente formulato.

 

In vero, la CTR è pervenuta alla decisione, con argomentazione sul piano giuridico e logico formale corretta, richiamando, per un verso, il consolidato orientamento, secondo cui l'opposizione avverso fermo amministrativo di veicolo e del relativo preavviso ex art. 86 del dpr n. 602/1973, come interpretato dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 25 quinquies, convertito con legge n. 248/2006, resta, per principio generale, attribuito al Giudice tributario salvo il caso eccettuato che l'ente impositore abbia formalmente riconosciuto il diritto allo sgravio, dovendo, in tal caso, riconoscersi la giurisdizione del giudice ordinario, non riguardando, in tal caso, più la controversia una questione tributaria, bensì un mero indebito oggettivo di diritto comune e, sotto altro profilo, rilevando che, nel caso, la P.A. non aveva effettuato alcun riconoscimento formale dell'inesistenza del credito nei confronti del D.F. e, neppure, aveva disposto alcuno sgravio della somma pretesa e, d'altronde, che la Concessionaria non aveva mai rinunciato alla pretesa fiscale nella quale aveva insistito, continuando a pretenderne il soddisfacimento dal D.F., quale curatore dell'eredità giacente e non già quale erede del de cuius G. F..

 

In buona sostanza, il riconoscimento dell'Ente impositore aveva riguardato, non già l'insussistenza della pretesa nei confronti del D.F., bensì solo la diversa qualità in base alla quale lo stesso era richiesto del pagamento e ciò era conclamato dalla posizione processualmente assunta dall'Agenzia delle Entrate, la quale costituendosi in sede di opposizione, aveva dedotto "la legittimità della pretesa nei confronti dell'opponente quale curatore dell'eredità giacente D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 131 (ora 187)" e non già quale erede.

 

A fronte di tale ratio decidendi, il D.F. ha sostenuto l'erroneità della decisione di appello, limitandosi a dedurre che non era stata valorizzata la circostanza fattuale che tanto l'ente impositore come pure la concessionaria, avevano riconosciuto "l'erroneità e la non riferibilità della cartella esattoriale", ad esso ricorrente.

 

Il ricorrente, infatti, non muove critiche puntuali e specifiche alla argomentazione, che costituisce ratio della decisione impugnata, - secondo cui nessun riconoscimento dell'inesistenza del credito aveva operato l'Amministrazione Finanziaria, la quale non aveva neppure disposto alcuno sgravio della somma pretesa, essendosi la stessa limitata a prendere e dare atto che il D.F. era tenuto al pagamento non già quale erede del de cuius, bensì quale curatore della relativa eredita giacente, ferma restando, quindi, la legittimità della pretesa nei confronti dello stesso. In concreto, il tessuto argomentativo della ratio dell'impugnata decisione, non risulta incrinato dalle censure svolte, che risultano generiche, prive di specifica attinenza al decisum (Cass. 20652/2009, n.13259/2006, n.21490/2005) e sottese ad ottenere una decisione di segno opposto sulla base dei medesimi elementi già esaminati e diversamente valutati dai giudici di merito.

 

Peraltro, il motivo disattende, pure, il principio secondo cui la parte, in sede di ricorso per cassazione, "ha l'onere di indicare in modo esaustivo le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione, in quanto il detto ricorso deve risultare autosufficiente e, segnatamente "per potersi configurare il vizio di motivazione è necessaria non solo la puntuale indicazione dei fatti controversi rilevanti e del successivo momento di sintesi (Cass. SS.UU. n. 16528/2008, n. 254117/2008, ma pure un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza" (Cass. n. 9368/2006, n. 21249/2006, n. 1014/2006, n. 22979/2004).

 

Ritiene, altresì, il Collegio che l'altro profilo di censura, con cui si contesta la responsabilità aggravata delle intimate e se ne chiede la condanna al risarcimento danni, non risulta scrutinabile per il carattere della novità.

 

In base all'art. 345 c.p.c., e per consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, in vero, è inammissibile la proposizione di domande nuove in appello e la relativa questione, anche se non dedotta dalla controparte, va rilevata d'ufficio dal giudice adito ed, in ipotesi, anche in Cassazione, salvo solo il giudicato (Cass. n. 28302/2005, n. 273432/2005).

 

Dall'esame comparativo dell'impugnata sentenza e del ricorso, si evince, inequivocamente, che la questione, prospettata in questa sede, non era stata dedotta davanti ai precedenti giudici, dove il D.F. si era affidato ad altre ragioni, per l'appunto, con le quali aveva sostenuto la giurisdizione del Giudice Ordinario e la fondatezza del ricorso nel merito, per essere personalmente estraneo alla pretesa esattoriale.

 

Stante, dunque, l'incontestata natura tributaria della pretesa, trattandosi di credito per IRPEF, e l'insussistenza dei peculiari presupposti (riconoscimento del diritto del contribuente da parte dell'ente impositore) per riconoscere la giurisdizione del giudice ordinario, si ritiene che la causa sia stata, erroneamente, introdotta davanti al giudice ordinario e che, quindi, hanno ben deciso i Giudici di merito nel declinare la propria giurisdizione in favore del Giudice tributario.

 

Ritiene, conclusivamente, il Collegio che il ricorso del contribuente vada rigettato per inammissibilità delle censure e che meriti conferma la decisione di appello, che ha riconosciuto ed affermato la Giurisdizione del Giudice Tributario.

 

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in complessivi Euro mille, oltre spese prenotate a debito, in favore dell'Agenzia controricorrente, mentre non sussistono i presupposti per una pronuncia sulle spese in favore dell'intimata Equitalia Pragma spa.

 

P.Q.M.

 

Dichiara la giurisdizione del Giudice Tributario e rigetta il ricorso del contribuente, che condanna al pagamento, in favore dell'Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio, in ragione di Euro mille, oltre spad.

 

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 25 febbraio 2014.

 

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2014.

 

 

 

da altalex

 

 

 

 

 

Martedì, 26 Agosto 2014
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