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Corte di Cassazione 17/01/2014

Sinistro: configurabile disagio emotivo o danno esistenziale del familiare?

(Corte d'Appello Firenze, 17 gennaio 2014 n. 1611)

La sofferenza morale è da intendersi come la sofferenza soggettiva in sé considerata e non come componente di un più complesso pregiudizio non patrimoniale. Essa ricorre ove sia provato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferto dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza, rientrandosi in quest’ultimo caso nell’area del danno biologico.

 

La sentenza 17 gennaio 2014, n. 1611 della Corte d’Appello di Firenze approfondisce la tematica della configurabilità del danno non patrimoniale derivante da sinistro stradale a favore dei familiari della vittima a titolo di “disagio emotivo” o di “danno esistenziale”.

 

Nel caso di specie la Corte rigetta l’appello del figlio e del coniuge della vittima di un incidente stradale a seguito del quale la stessa aveva subito gravissime lesioni, nonostante i parenti lamentassero rispettivamente il mancato riconoscimento del danno non patrimoniale inteso come “disagio emotivo” (quanto al primo) e di “danno esistenziale” (il secondo).

 

Nel primo caso la Corte d’Appello nel motivare il rigetto si riporta a quanto affermato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza 11 novembre 2008, n. 26972 e sostiene che la sofferenza morale è da intendersi come la sofferenza soggettiva in sé considerata e non come componente di un più complesso pregiudizio non patrimoniale. Essa ricorre ove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferto, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza, rientrandosi in quest’ultimo caso nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente con conseguente duplicazione di risarcimento (danno biologico e danno morale).

 

La stessa Suprema Corte (Cass., sez. Un., sentenza 16 febbraio 2009, n. 3677) ha inoltre chiarito che la prova del danno può essere fornita per presunzioni, fermo restando, però, l’onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto da cui desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio.

 

Ne consegue che, nel caso di specie, essendo carente la prova della sussistenza di conseguenze dannose non patrimoniali trascendenti la semplice invalidità, il giudice di 1° grado ha correttamente ristorato solo il pregiudizio all’integrità psicofisica. In effetti il dolore fisico-organico rientra nel danno biologico e risarcirlo a parte significa costringere il responsabile a pagare due volte lo stesso pregiudizio. Al contrario il dolore emozionale o psichico è da considerarsi al di fuori del danno biologico, ma proprio per questo motivo non si configura come un danno in re ipsa ma dovrà essere provato, accertato e valutato.

 

Ad analoghe conclusioni la Corte perviene in merito al secondo caso, dove il coniuge (non coinvolto nell’incidente) chiede il risarcimento del danno non patrimoniale come “danno esistenziale” correlato ad una situazione di pressante disagio, a causa delle gravissime lesioni riportate dalla moglie, determinatosi nell’ambito familiare sia per le attività domestiche che per lo stravolgimento dei rapporti interpersonali e coniugali (inclusi quelle afferenti alla sfera sessuale).

 

Al riguardo la Corte sulla base di quanto già sostenuto dagli ermellini (Cass., 17 settembre 1996, n. 8305) precisa che tra le possibili posizioni giuridiche lese dall’evento dannoso rientrano quelle dei familiari della vittima che subiscono direttamente, anche se mediatamente attraverso il rapporto di coniugio e parentela, le conseguenze di un danno apportato al familiare in quanto l’evento lesivo tocca immediatamente la famiglia intesa come formazione sociale interrelata, ove i singoli componenti realizzano la propria personalità e i cui diritti inviolabili sono costituzionalmente garantiti, ma la cui lesione deve sempre essere allegata e provata (v. Cass., sentenza 7 giugno 2011, n. 12273) non essendo legittimamente predicabile un danno in re ipsa.

 

(Nota di Michele Iaselli)

 

 

da Altalex

 

 

Venerdì, 17 Gennaio 2014
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