Giovane in motorino muore contro un palo: il Comune deve risarcire i genitori
C’erano lavori in corso sulla strada: l’impresa appaltatrice avrebbe dovuto predisporre uno sbarramento completo all’accesso ed il Comune avrebbe dovuto controllare che tale obbligo fosse stato adempiuto. Il comportamento imprudente della vittima concorre comunque a diminuire la responsabilità dei due soggetti.
Il caso
Siamo in Sicilia, a inizio ottobre, le 8 di sera, è buio. Un giovane 14enne percorre in motorino una strada non illuminata, con lavori in corso. La strada non è aperta al pubblico, ma non c’è alcun segnale né sbarramento che lo segnali in maniera certa. I massi che erano stati messi per impedirne l’accesso sono stati spostati. Nel percorrere quel tragitto, il giovane si schianta contro un palo, in mezzo alla strada. La fine è tragica: il ragazzino muore. Il Comune e l’impresa appaltatrice dei lavori vengono condannate da Tribunale e Corte d’Appello a risarcire ai genitori il danno biologico e morale. Vengono riconosciuti responsabili solidalmente nella misura del 50% rispetto all’incidente. Il Comune chiede alla Cassazione se non fosse da applicare l’art. 2043 c.c., invece dell’art. 2051 c.c., sul danno cagionato dalle cose in custodia, visto anche che, avendo dato in appalto dei lavori per quel tratto di strada, non ne aveva la disponibilità. La Cassazione (sentenza 4093/13) ricorda che è non è più attuale l'orientamento giurisprudenziale secondo cui a casi del genere si applica la responsabilità civile dell'art. 2043 c.c., con cui ci sarebbe un ingiustificato privilegio per l’Amministrazione.
L’applicazione dell’art. 2051 c.c. «si presta ad una migliore salvaguardia e ad un miglior bilanciamento degli interessi in gioco, in conformità ai principi dell’ordinamento giuridico ed al sentire comune». Il Comune avrebbe dovuto controllare che l’impresa appaltatrice dei lavori adempiesse correttamente ai propri obblighi. Un contratto di appalto «non vale affatto ad escludere la responsabilità del Comune committente nei confronti degli utenti delle singole strade». Quindi nel caso in cui non ci sia stato un totale trasferimento «all’appaltatore del potere di fatto sulla cosa, l’ente proprietario continua a rispondere come custode, atteso che deve continuare ad esercitare sull’opera l’opportuna vigilanza e i necessari controlli». La Corte rigetta anche il ricorso dei genitori della vittima, che si lamentano del fatto che, provato il nesso causale tra omissioni ed incidente, non è stata riconosciuta una responsabilità totale in capo ai soggetti che avrebbero dovuto mantenere la strada in sicurezza.
Anche se non c’è la prova liberatoria da parte dei danneggianti, «volta ad escludere la causalità tra comportamento colposo e danno, ben può rilevare contemporaneamente sotto il versante causale l’apporto del concorso colposo del danneggiato, ai fini della diminuzione della percentuale di rilevanza causale da ascrivere ai danneggianti medesimi». Il comportamento colposo della vittima è consistito nell’avventurarsi «su un tratto di strada che, per la presenza dei massi suddetti, poteva ragionevolmente ritenersi non ancora aperta al traffico, a velocità sicuramente non adeguata allo stato dei luoghi». Per questi motivi la Corte di Cassazione respinge tutti i ricorsi.
da dirittoegiustizia.it