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Corte di Cassazione 29/11/2011

Alcoltest: quando il farmaco non salva il conducente

(Cass. Pen., sez. IV, 26 ottobre 2011, n. 38793)

Il farmaco assunto che ritarda lo smaltimento di etanolo dal sangue non giustifica il conducente risultato positivo al test alcolimetrico.

E’ questa, in estrema sintesi, la conclusione a cui è pervenuta la Corte di Cassazione, sez. IV penale, con la sentenza 29 settembre - 26 ottobre 2011, n. 38793. Nel caso di specie i giudici di merito avevano condannato nei due gradi di giudizio la conducente ritenuta colpevole del reato di guida in stato di ebbrezza.

Infatti, l’imputata era stata fermata alla guida della sua autovettura e sottoposta al test alcoli metrico con un risultato superiore ai limiti consentiti. Entrambi i giudici hanno ritenuto colpevole la donna nonostante l’asserita assunzione di un farmaco tale da ritardare l’eliminazione dell’alcool dal sangue, in quanto la documentazione medica acquisita in causa non dimostrava affatto che i farmaci assunti potevano aumentare i dati di concentrazione dell'alcol, ma solo che probabilmente ritardavano l'eliminazione dell'etanolo dal sangue e dunque che lo smaltimento dell'etanolo avveniva in tempi più lunghi. Pertanto, i risultati del test dovevano essere considerati validi e attendibili ed in colpa la conducente quanto meno per non aver agito in modo da evitare il superamento dei limiti di concentrazione di alcol nel sangue consentiti.

I giudici di Piazza Cavour confermano quanto già stabilito dai giudici di prime cure stabilendo che il parametro di riferimento adottato dal legislatore per valutare lo stato di ebbrezza non è rappresentato dalla quantità di alcol assunta, bensì da quella assorbita dal sangue, misurata in grammi per litro.

Si tratta con tutte evidenza di una presunzione iuris et de iure, che porta a ritenere il soggetto in stato di ebbrezza ogniqualvolta venga accertato il superamento della soglia di alcolemia massima consentita, senza possibilità da parte del conducente di discolparsi fornendo una prova contraria circa le sue reali condizioni psicofisiche e la sua idoneità alla guida.

Nella specie, per averlo ammesso la stessa imputata, è pacifico che avesse assunto un bicchiere di vino, atto che soltanto la stessa conducente colloca alcune ore prima del controllo, sostenendo che il permanere e il potenziamento dell'effetto di tale modesta quantità di alcol erano conseguenza del farmaco.

Anche ammesso che ciò possa essere vero – proseguono gli ermellini -, la responsabilità dell'imputata è correttamente accertata: infatti chi sa di assumere farmaci di tal genere deve astenersi dalla ingestione di alcol e specialmente deve evitare di mettersi alla guida oppure deve controllare con gli appositi test facilmente reperibili in commercio di trovarsi in condizioni tali da non risultare passibile della sanzione penale.

Ne consegue il rigetto del ricorso con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

 

(Nota di Alessandro Ferretti)

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 29 settembre – 26 ottobre 2011, n. 38793
(Presidente Marzano – Relatore Bianchi)


Ritenuto in fatto

 

1. La Corte d'appello di Firenze ha confermato la sentenza del tribunale di Firenze con la quale L.D. è stata ritenuta colpevole del reato di guida in stato di ebbrezza e, concesse attenuanti generiche, è stata condannata a Euro 614 di ammenda, a seguito di procedimento celebrato con rito abbreviato. La L. è stata fermata alla guida della sua autovettura e sottoposta al test alcolimetrico, che ha dato un risultato pari a milligrammi per litro 1,03 alla prima prova e milligrammi per litro 0,96 alla seconda. Entrambi i giudici hanno ritenuto la imputata responsabile del contestato reato, ritenendo che lo stato di cui sopra non potesse essere ricondotto all'assunzione di un farmaco che assumeva a cagione della sua patologia (arterite di Takayasu), così come dalla donna sostenuto; la donna era consapevole della possibilità che il farmaco influisse sul risultato del testo, tanto che ella stessa lo aveva fatto presente agli agenti operanti; inoltre, osservava la corte di appello, la documentazione medica acquisita in causa non dimostrava affatto che i farmaci assunti potevano aumentare i dati di concentrazione dell'alcol, ma solo che "probabilmente" ritardavano l'eliminazione dell'etanolo dal sangue e dunque che lo smaltimento dell'etanolo avveniva in tempi più lunghi; dovevano considerarsi validi e attendibili i risultati del test ed in colpa la L. quanto meno per non aver agito in modo da evitare il superamento dei limiti di concentrazione di alcol nel sangue consentiti.

2. Avverso questa sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore dell'imputata. Lamenta con un primo motivo che erroneamente la corte d'appello ha ritenuto l'imputata colpevole sulla base di un unico accertamento, laddove l'articolo 186 del codice della strada richiede due accertamenti e cioè richiede che siano preventivamente acquisiti elementi utili quale il comportamento della persona fermata percepito dagli agenti intervenuti o un accertamento anche attraverso apparecchi portatili che giustifichi la sottoposizione della stessa al test alcolimetrico; nella specie invece il comportamento tenuto dalla donna al momento del fermo non aveva giustificato il sospetto di uno stato di ebbrezza, tanto che dal verbale degli accertamenti urgenti non risulta che gli agenti intervenuti abbiano rilevato alcuna delle condotte tipiche di tale stato. Con un secondo motivo il difensore lamenta l'erroneità della sentenza impugnata laddove ha disatteso la tesi della difesa secondo cui l'alterazione era frutto del farmaco assunto dalla donna, farmaco che poteva alterare in aumento i dati di concentrazione dell'alcol nel sangue senza però avere influenza sulla capacità di guida; il difensore lamenta che questa tesi si basava sulla documentazione medica prodotta che la corte avrebbe travisato; infatti la corte ha ignorato il certificato dello specialista Dott. F..M. dell'Università di (...) con cui si afferma che i farmaci possono comportare il rallentamento delle normali funzioni, possono comportare una concentrazione plasmatica superiore a quanto atteso in soggetti sani e più a lungo; ed inoltre non ha tenuto conto del fatto che il dottor C.G. aveva comunque affermato che quei farmaci possono avere influenza sui test alcolimetrici senza condizionare i riflessi neurologici; quindi non vi è prova dell'incidenza sullo stato di lucidità e della guida in stato di ebbrezza; inoltre si lamenta il difensore che non sia stato ritenuto applicabile il beneficio della non menzione.

Con successiva memoria si insiste sul fatto che la L. è affetta da una rara malattia poco conosciuta e che è stata superficialmente affrontata la problematica attinente all'influenza del farmaco, con un atteggiamento che si risolve in una penalizzazione ingiusta delle persone malate.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso non merita accoglimento.

2. La L. è stata giudicata con rito abbreviato e dunque sulla base degli atti acquisiti, tra cui la annotazione di servizio e gli scontrini del test. Dalla prima risultava che gli agenti avevano percepito l'alito vinoso della donna, dai secondi il superamento del limite consentito. Risulta dunque positivamente accertato lo stato di ebbrezza, che, a differenza di quanto si sostiene con il ricorso, non necessita, peraltro, di un duplice sostegno probatorio e cioè i di elementi sintomatici e dell'accertamento strumentale ma può essere ritenuto sulla base di un "accertamento" compiuto nell'uno o nell'altro morto (sez. IV sentenza N. 41846 del 29/9/2009 RV245788).

3. Anche il secondo motivo è infondato. La norma punisce chiunque si pone alla guida in stato di ebbrezza conseguente all'uso di bevande alcoliche. Il parametro di riferimento adottato dal legislatore per valutare lo stato di ebbrezza non è rappresentata dalla quantità di alcol assunta, bensì da quella assorbita dal sangue, misurata in grammi per litro. Si tratta con tutta evidenza di una presunzione “iuris et de iure”, che porta a ritenere il soggetto in stato di ebbrezza ogniqualvolta venga accertato il superamento della soglia di alcolemia massima consentita, senza possibilità da parte del conducente di discolparsi fornendo una prova contraria circa le sue reali condizioni psicofisiche e la sua idoneità alla guida. Nella specie, per averlo ammesso la stessa imputata, è pacifico che ella aveva assunto un bicchiere di vino, atto che soltanto la L. colloca alcune ore prima del controllo, sostenendo che il permanere e il potenziamento dell'effetto di tale modesta quantità di alcol erano conseguenza del farmaco. Anche ammesso che ciò possa essere vero, la responsabilità dell'imputata è correttamente accertata; infatti chi sa di assumere farmaci di tal genere deve astenersi dalla ingestione di alcol e specialmente deve evitare di mettersi alla guida oppure deve controllare con gli appositi test facilmente reperibili in commercio di trovarsi in condizioni tali da non risultare passibile della sanzione penale.

4. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

 

da Altalex

 

 



Martedì, 29 Novembre 2011
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