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Corte di Cassazione 21/10/2011

Ebbrezza e confisca del veicolo in leasing - è legittimo il sequestro anche se il veicolo è di proprietà della società locatrice

(Cass. Pen., sez.I, 26 settembre 2011, n. 34722)

(omissis)

 

Ritenuto in fatto

 

1. Il 10 dicembre 2010 il Tribunale di Trento, in composizione monocratica, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’opposizione proposta da M. M., nella sua qualità di legale rappresentante della s.p.a. “G.E. C. S. F.”, terzo nell’ambito del procedimento a carico di M. B., condannato con sentenza irrevocabile di condanna in ordine al reato previsto dall’art. 186 C.d.S., avverso il provvedimento di confisca dell’auto.
Il giudice osservava che l’auto doveva considerarsi “cosa pertinente al reato”, in quanto, al momento del fatto, era nella disponibilità del condannato e costituiva lo strumento con la quale si realizzava la condotta di guida in stato di ebbrezza. Argomentava, inoltre, sulla base di una ricostruzione della nozione di “appartenenza” intesa come proprietà, possesso, ma anche semplice detenzione qualificata della cosa che, nel caso di specie, l’auto non poteva ritenersi “appartenente” alla società che aveva concluso con B. un contratto di leasing.
Con riferimento ai rilievi difensivi in ordine alla natura della confisca, da intendere, in questa sede, come sanzione ablativa e non come misura preventiva, rilevava che B., in virtù del contratto di leasing in precedenza concluso, era tenuto a proseguire nel pagamento del canone e, quindi, la sanzione incideva esclusivamente sul suo patrimonio e non su quello di un terzo estraneo al reato.
2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, il legale rappresentante della s.p.a. “G.E. Capital”, il quale deduce inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 240 c.p. e 186, comma 2, d.lgs. n. 286 del 1998 con riferimento alla nozione ampia di “appartenenza” legittimante la confisca, considerato che, una delle clausole del contratto di leasing prevedeva l’uso legittimo del veicolo, pena la risoluzione contrattuale, che, in virtù di tale clausola, il contratto era stato risolto. Osserva, inoltre, che la natura afflittiva della confisca impone l’applicazione dei principi di legalità e di personalità della responsabilità penale.

 

 

Osserva in diritto

 

Il ricorso non è fondato.
1. Occorre premettere che quella in esame è un’ipotesi di confisca obbligatoria, introdotta nel nostro ordinamento a seguito delle modifiche all’art. 186, comma 2, lett. c), C.d.S. introdotte dall’art. 4 del d.l. n. 92 del 2008, convertito nella l. n. 125 del 2008, in base al quale con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, ai sensi dell’art. 240, comma 2, c.p. salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato.
Trattandosi di misura di sicurezza – come tale non assoggetta al principio di irretroattività della legge penale, perante con riguardo alle sole norme incriminatrici penali (art. 25, comma 2, Cost.) – la confisca obbligatoria del veicolo con il quale sia stato commesso il reato di guida in stato di ebbrezza trova applicazione anche relativamente ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore dell’art. 4 del d.l. n. 92 del 2008 che l’ha introdotta (Sez. IV, 3 aprile 2009, Meschieri, rv. 245307).
2. Ai fini dell’operatività della clausola derogatoria contenuta nella norma, giustificata dall’attenuazione della presunzione assoluta di pericolosità derivante dall’uso del veicolo, per terzo estraneo al reato deve intendersi non solo chi non ha concorso nel reato, ma anche chi non ha neanche avuto, per difetto di vigilanza o altro, alcun tipo di colpevole collegamento, diretto o indiretto, ancorché non punibile, con la consumazione del reato e non ha ricavato alcuna utilità dalla condotta del condannato (…).
Il concetto di “estraneità” al reato deve essere sempre interpretato nel senso che non può considerarsi estraneo al reato il soggetto che da esso abbia ricavato vantaggi e utilità (Sez. Un. Sentenza n. 9 del 28 aprile 1999). Depongono in tal senso univoci dati interpretativi che concorrono a conformare la portata della nozione di “estraneità al reato” in termini maggiormente aderenti alla precisa connotazione funzionale della confisca, non potendo privilegiarsi la tutela del diritto del terzo allorquando costui abbia tratto vantaggio dall’altrui attività criminosa e dovendo, anzi, riconoscersi la sussistenza, in una simile evenienza, di un collegamento tra la posizione del terzo e la commissione del fatto-reato.
Tale conclusione è coerente con i principi espressi dalla Corte costituzionale, che ha escluso la compatibilità con l’art. 27, comma 1, Cost. di norme che prevedono la confisca anche quando le cose risultino di proprietà di chi non sia autore del reato o non ne abbia tratto in alcun modo profitto (Corte cost., 19 gennaio 1987, n. 2), offrendo, così, un inequivoco spunto a favore della tesi secondo cui non può reputarsi estranea al reato la persona che abbia ricavato un utile dalla condotta illecita del reo.
Deve sottolinearsi, inoltre, che il concetto di estraneità al reato è individuabile anche in presenza dell’elemento di carattere oggettivo integrato dalla derivazione di un vantaggio dall’altrui attività criminosa, purché sussista la connotazione soggettiva identificabile nella buona fede del terzo, ossia nella non conoscibilità – con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta – del predetto rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dal reato commesso dal condannato.
Alla condizione di “persona estranea al reato”, cui appartengono le cose confiscate, ineriscono, quindi, sia il requisito della buona fede che quello dell’affidamento incolpevole.
Nella nozione di estraneità al reato non può mancare un’impronta di carattere soggettivo, identificabile nella buona fede del terzo. La configurazione di detta nozione su basi esclusivamente oggettive, indipendenti cioè dall’affidamento incolpevole, oltre a contrastare con i principi accolti dall’ordinamento in ordine alla circolazione giuridica dei beni mobili, condurrebbe a risultati lesivi del principio di personalità della responsabilità penale sancito dall’art. 27, comma I Cost. (cfr. Corte Cost. 22 giugno 1998, n. 232).
Infine, è necessario precisare che i terzi che vantino diritti reali hanno l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa fatta valere sulla cosa confiscata, essendo evidente che essi sono tenuti a fornire la dimostrazione di tutti gli elementi che concorrono ad integrare le condizioni di “appartenenza” e di “estraneità al reato”, dalle quali dipende l’operatività della situazione impeditiva o limitativa del potere di confisca esercitato dallo Stato. Ai terzi fa carico, pertanto, l’onere della prova sia relativamente alla titolarità dello ius in re aliena sia relativamente alla mancanza di collegamento del proprio diritto con l’altrui condotta delittuosa o, nell’ipotesi in cui un simile nesso sia invece configurabile, all’affidamento incolpevole ingenerato da una situazione di appare nza che rendeva scusabile l’ignoranza o il difetto di diligenza (Sez. Un. n. 9 del 28 aprile 1999).
3. Tanto premesso il provvedimento impugnato appare conforme ai principi in precedenza indicati.
In premessa della stipula di un contratto di leasing, il bene detenuto in forza di tale contratto “appartiene” al soggetto al quale è stata attribuita la materiale disponibilità del bene stesso, tenuto conto della natura del negozio giuridico che attribuisce il diritto di goderne e di disporne sulla base di un titolo che esclude i terzi (Sez. IV, 11 febbraio 2010, n. 10688). Al contempo chi fornisce il bene trae un profitto dalla riscossione dei canoni di locazione finanziaria.
4. Esaminata in quest’ottica, l’ordinanza impugnata è esente da vizi denunziati, laddove ha, in particolare, messo in luce la piena disponibilità del veicolo da parte del soggetto sorpreso alla guida dello stesso in stato di ebbrezza e la natura del negozio giuridico stipulato da B. A questo proposito non possono trovare accoglimento le considerazioni svolte nell’interesse della società “G. E. C. S. F.” in ordine all’intervenuta risoluzione del contratto in virtù delle condizioni generali in esso contemplate, non essendo sul punto il ricorso “autosufficiente” e non essendo stato in alcun modo suffragato tale assunto.
Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
(omissis)

 

 

da Polnews

Venerdì, 21 Ottobre 2011
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