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Corte di Cassazione 22/09/2011

Auto usata per recarsi presso la piantagione di cannabis - confisca - legittimità

(Cass. Pen., sez.IV, 7 luglio 2011, n. 26667)

(omissis)

Sentenza
sul ricorso proposto da:

1) C.G. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1314/2009 CORTE APPELLO DI CAGLIARI, del 24/09/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/05/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. U. M.;
udito il P.G. in persona del Dott. D. V. che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. M. M. del Foro di Cagliari che si riporta ai motivi di ricorso.

 

Ritenuto in fatto

 


Ricorrono per cassazione i difensori di fiducia di C. G. avverso la sentenza emessa in data 42.9.2010 dalla Corte di Appello di Cagliari che confermava quella del 2.10.2009 del Tribunale di Cagliari con la quale, tra l’altro, all’esito del giudizio abbreviato, il C. era stato condannato alla pena di anni dieci di reclusione ed Euro 100.000,00 di multa, oltre quella accessoria, per il delitto di cui all’art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per aver coltivato, in concorso con altra persona, 1145 piante di cannabis indica.
Deducono il vizio motivazionale in relazione alla minore pericolosità della condotta derivante dal fatto che la coltivazione riguardava piante di cannabis indica e non altri tipi di droghe.
Rappresentano, poi, la violazione della legge penale in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 ed ancora il vizio motivazionale in ordine al numero delle dosi medie singole (380.000) ricavabili dalle 1145 piante in sequestro, criticando sul punto le valutazioni del perito.
Ci si duole, infine, della violazione di legge con riferimento all’art. 240 c.p. in relazione alla conferma della disposta confisca dell’autovettura del ricorrente.
Il ricorso è parzialmente fondato e va accolto per quanto di ragione. Anzitutto è palese la sostanziale aspecificità dei motivi che hanno riproposto in questa sede le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese.
Ed è stato affermato che “è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di specificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità” (…).
Orbene, corretta e congrua è la motivazione addotta dal Giudice di Appello il quale ha reso ampie argomentazioni a sostegno della ritenuta reale ed imponente estensione della coltivazione (che il ricorrente cerca di minimizzare) evidenziando il laborioso impegno professionale del perito che aveva analizzato anche i residui secchi di cannabis rinvenuti in azienda rilevando che presentavano un tasso di THC perfettamente in linea con quelli degli altri reperti.
Peraltro, spettando al giudice di merito verificare in concreto l’offensività della condotta ovvero l’idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile (Sez. UN, n. 28065 del 24.4.2008, RV 239921), ogni censura che miri a prospettare l’assenza di detta offensività ritenuta dal Giudice a quo risulta appartenere al merito, come tale tesa inammissibilmente a sovrapponi alla valutazione operata dal Tribunale prima e dalla Corte distrettuale poi.
Invero, il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli “atti del processo” (nel caso di specie, nemmeno allegati, in violazione del principio di “autosufficienza del ricorso” costantemente affermata, in relazione al disposto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, dalla giurisprudenza civile, ma che trova applicazione anche nell’ambito penale), non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del c ontenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Il novum normativo, invece, rappresenta il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto “travisamento della prova”, finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere ad una inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no “veicolato”, senza travisamenti, all’Interno della decisione (Cass. pen. Sez. 4, 19.6.2006, n. 38424). Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme il limite del devolutum non può essere superato ipo tizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (…).
Inoltre, il dato delle 380.000 dosi ricavabili secondo le conclusioni della perizia tossicologica espletata in primo grado non sembra sia stato oggetto di contestazione specifica in sede di appello e comunque i rilievi suesposti circa le analisi svolte dal perito e l’esame dei reperti fotografici conducenti alle conclusioni relative all’imponenza della coltivazione della cannabis non sono affatto incrinate dalle deduzioni difensive, né ha alcun pregio il richiamo alla minore pericolosità dello stupefacente oggetto di coltivazione rispetto ad altri tipi di droga: la gravità del fatto (individuata nella mole della piantagione, nella dedizione dell’imputato alla coltivazione e nella gestione di essa, con mascheramento dei vetri della serra e sofisticato impianto irriguo), bene evidenziata dalla Corte nell’analisi della condotta dell& rsquo;imputato (pagg. 4-5 sent.), ha correttamente comportato l’elezione di una pena base distante dal minimo edittale.
Non altrettanto corretta ed esente da vizi è la motivazione addotta in ordine alla disposta confisca dell’autovettura il cui uso, valutato come funzionale al raggiungimento dell’azienda agricola in modo autonomo ed anonimo, non può ritenersi ad esso strumentale, non risultando il veicolo oggettivamente e specificatamente predisposto, anche attraverso modificazioni, per l’attività criminosa in questione.
Infatti, è stato affermato che “la confisca facoltativa di cui all’art. 240 c.p., comma 1, è legittima quando sia dimostrata l relazione di asservimento tra cosa e reato, nel senso che la prima deve essere oggettivamente collegata ala secondo non da un rapporto di mera occasionalità, ma da uno stretto nesso strumentale, il quale riveli effettivamente la probabilità del ripetersi di un’attività punibile… è necessario cioè un collegamento stabile con l’attività criminosa, che esprima con essa un rapporto funzionale” (…).
Nel caso di specie l’autovettura era adoperata anche per recarsi sull’appezzamento di terreno coltivato a cannabis, ma nulla consente di trarre da tale uso, peraltro non esclusivo, l’univoca conclusione che il mezzo costituisse necessario ed indispensabile strumento per la reiterazione o prosecuzione del reato.
Consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla disposta confisca dell’autovettura di pertinenza del ricorrente, con eliminazione della relativa statuizione e restituzione del veicolo all’avente diritto.
Il ricorso va, nel resto, rigettato.
Il presente provvedimento dovrà essere immediatamente comunicato, a cura della Cancelleria, al Procuratore Generale in sede ai sensi dell’art. 626 c.p.p.

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla disposta confisca dell’autovettura di pertinenza del ricorrente, statuizione che elimina e ne dispone la restituzione all’avente diritto. Rigetta nel resto il ricorso. Dispone che il presente provvedimento venga immediatamente comunicato, a cura della Cancelleria, al Procuratore Generale in sede ai sensi dell’art. 626 c.p.p.
(omissis)

 

da Polnews

Giovedì, 22 Settembre 2011
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