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Corte di Cassazione 02/01/2013

Stupefacenti: si allarga il concetto di ''uso personale''

(Cassazione penale, sez. IV, sentenza 02.01.2013 n. 47)

Con la sentenza n. 47, pronunziata lo scorso 2 gennaio 2013 dalla Quarta Sezione, la Suprema Corte di Cassazione affronta una pluralità di interessanti aspetti processuali in materia di detenzione di sostanze stupefacenti.

Essi spaziano dallo scrutinio della legittimità delle intercettazioni telefoniche disposte – in sede di merito – dall'Autorità procedente, all'analitico esame dell'osservanza dell'obbligo di motivazione da parte del giudice di appello, al quale vengano devolute, per il tramite dell'impugnazione, specifiche doglianze in ordine a precisi punti della sentenza gravata.

Oltre queste particolari prospettive procedimentali, che formeranno oggetto di approfondimento in altra sede, il giudice di legittimità affronta e risolve, in modo convincente e coerente con l'indirizzo ermeneutico vigente, il tema di quali elementi probatori possano fare assumere rilevanza penale alla condotta di detenzione di un quantitativo di sostanza stupefacente, dalla quale sia possibile ricavare circa 30 dosi.

Ovviamente non si tratta di un quesito inedito, giacchè da tempo l'interesse della giurisprudenza, sia di legittimità, che di merito, si è incentrato sull'individuazione di canoni sufficientemente attendibili, dai quali potere inferire una regola di giudizio per giudicare la liceità (o meno) della detenzione di sostanze stupefacenti.

Si può, peraltro, ragionevolmente affermare che il dibattito, così insorto, abbia permesso di addivenire alla individuazione e stabilizzazione di alcuni concetti base.

In  proposito, è certamente utile richiamare altra decisione della Sez. IV, (06-04-2011, n. 33301, Foro It., 2012, 3, 2, 188) la quale ha, preliminarmente, precisato il carattere di “non reciproca autonomia” di quegli elementi ritenuti sintomatici e sulla base dei quali, venga apprezzata la destinazione ad "uso non esclusivamente personale" di sostanze stupefacenti materia di stupefacenti, indicati dall'art. 73, comma 1 bis, lett. a), dpr 309/90.

In tale ambito delibativo i supremi giudici hanno sancito il principio generale che “l'accertamento di uno solo di essi non è sufficiente per ritenere penalmente rilevante la condotta di detenzione; conseguentemente, pur in presenza di quantità non esigue o di confezioni plurime, ovvero di entrambe le situazioni, valutando "le modalità di presentazione" e/o "le altre circostanze dell'azione", il giudice ben potrebbe ritenere un uso strettamente personale”.

Or bene, la sentenza in commento appare coerente con il ricordato approdo giurisprudenziale, in quanto, nel caso specifico, censura la posizione assunta dal giudice di appello, il quale, richiamandosi pedissequamente all'orientamento seguito nel primo grado del giudizio, avrebbe omesso di indicare la piattaforma probatoria sulla quale fondare il giudizio di condanna dell'imputato a scapito della protesta di innocenza di questi.

Emergono, dunque, dal provvedimento della S.C. due peculiarità degne di note.

1.  In primo luogo, si manifesta il depotenziamento processuale del concetto di presunzione, che è sempre stato, invece, discutibilmente evocato quale elemento idoneo a dimostrare la destinazione allo spaccio della sostanza detenuta.

La Corte, infatti, deplora – nella fattispecie - la mancata esplicita indicazione di canoni, che risultino atti a dimostrare che si verta in una situazione prodromica al successivo commercio di droga, piuttosto che in un ambito di “approvvigionamento per esclusivo uso personale”.

Tale vizio specifico appare riconducibile alla più ampia e generica censura che il giudice di legittimità muove verso la sentenza, in ordine alla genetica carenza di motivazione che pare affliggere la stessa anche in relazione ad altre doglianze sollevate dagli imputati.

Il principio che si può desumere dal pensiero della Corte è, dunque, quello che qualsiasi decisione non può discostarsi dal rigoroso obbligo di un vaglio critico del materiale probatorio fornito ex parte.

 2.   In secondo luogo, viene ribadita, ai fini del giudizio di eventuale destinazione della droga a scopo di uso esclusivamente personale del detentore, la rilevanza di circostanze di natura soggettiva (le cd. circostanze dell'azione).

Nel caso che ci occupa, esse vengono individuate, da un lato, nella disponibilità da parte del ricorrente di congrue risorse finanziarie e dall'altro nella di lui necessità – peraltro di ordine strettamente metodologico – di effettuare una tantum acquisti di quantitativi di un certo rilievo ponderale, non potendo egli rifornirsi di stupefacente, con cadenza quotidiana, per ostative ragioni di lavoro.

Ritiene, quindi, chi scrive che la giurisprudenza stia, in modo inequivoco (e pur con le doverose e specifiche cautele interpretative del caso), introducendo nella quotidianità e nella prassi forense, una nuova e più ampia interpretazione dell'uso personale.

Si fa strada, infatti, l'idea che possa effettivamente rientrare nel concetto di uso esclusivamente personale anche quel quantitativo di stupefacente, che il singolo – conclamato assuntore – abbia acquistato con il fine di creare una provvista, in relazione ad oggettive o soggettive difficoltà di rifornimento, che egli avverta.

Si tratta, dunque, di una forma di ampliamento concettuale della nozione di detenzione di stupefacenti a fini di uso personale.

L'orientamento in questione, infatti, sposta la prospettiva interpretativa usualmente adottata in tema di condotta detentiva, dalla decisiva preponderanza del dato puramente e strettamente quantitativo, che, in caso di sua modicità, poteva anche farsi apprezzare come sintomo dell'uso personale, all'indagine in ordine alla effettiva volontà della condotta del detentore.

In quest'ultima ottica, acquisiscono significativo rilievo tutti gli elementi, che risultino connessi con la persona del soggetto imputato, vale a dire proprio quei dati che vengono ricompresi sotto la dizione circostanze dell'azione, che sono stati in precedenza ricordati e che vengono espressamente valorizzati dalla sentenza.

Giovi osservare, da ultimo che anche la sentenza della Suprema Corte non può essere esente da critica, per il fatto che essa si uniforma alla scelta dei giudici di merito, di utilizzare il concetto di dose (dose media giornaliera), in luogo di quello di unità di quantità massima detenibile, molto più pertinente al caso concreto.

Nella fattispecie, infatti, il quantitativo di stupefacente rinvenuto nella disponibilità del ricorrente, (pari a circa gr. 11 di cocaina), viene convertito, già nei precedenti gradi di giudizio, nel concetto di dosi (30).

A parere di chi scrive, invece, il concetto di unità di quantità massima detenibile, che è recentemente assurto a parametro qualificato in relazione alla metodica per ravvisare la sussistenza della circostanza aggravante dell'ingente quantità[1], si fa preferire perchè si verte in ambito di condotta esclusivamente detentiva.

Il parametro quantitativo adeguato per determinare il grado di potenziale offensività del compendio detenuto, deve, quindi, essere – diversamente da quanto affermato in tutto il corso del processo ed anche in sede di giudizio di legittimità - quello della Q.M.D[2].

A sostegno di tale convincimento soccorre anche la stessa forma lessicale adottata dal legislatore.

Va, poi, sottolineato che la ratio di questo canone si rinviene nel fatto che esso è stato concepito dal legislatore, onde favorire il giudicante nel senso di meglio orientarsi e comprendere, (in relazione agli specifici casi che possono essere prospettati), quante volte la parte netta di un singolo campione drogante possa eventualmente superare il limite del principio attivo teoricamente detenibile ex lege.

Si tratta, quindi, di un indicatore assai utile (e nella sostanza di maggiore aderenza alla fattispecie detentiva ed a tutte quelle ad essa assimilabili) per determinare il teorico livello di offensività della condotta detentiva.

Esso evidenzia, in relazione ad uno specifico caso, il livello di diffusività dello stupefacente e, altresì, permette di comparare tale attitudine, con le richiamate condizioni soggettive, onde inferire il giudizio sulla liceità della detenzione e sulla attendibilità della sua destinazione ad uso personale

La dose media giornaliera, invece, costituisce altro tipo di criterio aritmetico, che può venire utilizzato solo in quei casi in cui la condotta illecita, contestata all'imputato, in quanto espressione di una di lui attività e volontà di diffusione dello stupefacente (la cessione a terzi ad esempio) appaia del tutto differente rispetto a quella detentiva (o da quelle ad essa assimilabili).

(Altalex, 11 febbraio 2013. Nota di Carlo Alberto Zaina)



 _______________

[1]    V. SSUU 24 maggio 2012 n. 36258/12 R.G. 24594/12

[2]    Il Q.M.D. si ottiene moltiplicando il quantitativo di principio attivo stabilito per la dose media giornaliera per un parametro che è 20.

 

 

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV PENALE

Sentenza 2 gennaio 2013, n. 47

Svolgimento del processo

 

1. - S.A., T.G.C., S. P., G.C.A., Si.Da.Gi. e L.P.A. venivano tratti a giudizio davanti al Tribunale di Catania per rispondere dei reati di cui all'art. 81 cpv. c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, art. 73, art. 74 commi 1, 2 e 3, per essersi associati fra loro e con altri soggetti allo stato non identificati, fra cui tali "Africa", "Liliana", "Janeiri", "Pino", "Marcello", "Mito" ed altri ancora, allo scopo di commettere più delitti di distribuzione, commercio, trasporto, detenzione, offerta in vendita e cessione di sostanze stupefacenti, tipo cocaina, rivestendo in particolare S.A., S.F. e S.P. la qualità di partecipi, incaricati - tra l'altro - di trasportare lo stupefacente dalla Spagna in Italia, detenere e distribuire a terzi lo stupefacente per conto dell'associazione;

nonchè per avere, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 del citato decreto, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche in concorso fra loro ex art. 110 c.p., distribuito, commerciato, trasportato, offerto in vendita e ceduto a terzi sostanze stupefacenti del tipo cocaina. Fatto aggravato per aver riguardato ingenti quantitativi di sostanza stupefacente e essere stato commesso da più di dieci persone; fatto ulteriormente aggravato dall'aver partecipato all'associazione persone dedite all'uso di sostanze stupefacenti; con la recidiva reiterata e specifica per S.P., reiterata per Si.Da. e semplice per L.P. (In (OMISSIS) e luoghi imprecisati della Spagna, dal settembre 2004 al marzo 2005). Con sentenza del 4/5/2010 il Tribunale assolveva gli imputati dal reato associativo riconoscendoli colpevoli del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv. c.p. e art. 73 del citato D.P.R., con esclusione dell'aggravante di cui all'art. 80 del citato D.P.R., valorizzando, in particolare, quale compendio probatorio a carico, l'esito delle intercettazioni telefoniche disposte per la cattura del latitante T.M., cugino di S.A..

2. - Proponevano appello gli imputati, e la Corte di Appello di Catania, disposta la separazione della posizione della T. per ragioni procedurali, confermava l'affermazione di colpevolezza pronunciata in primo grado nei confronti degli altri appellanti e riformava l'impugnata decisione limitatamente al trattamento sanzionatorio; la Corte distrettuale dava conto del proprio convincimento con argomentazioni che, per la parte che in questa sede rileva, possono così riassumersi: A) doveva essere disattesa l'eccezione di inutilizzabilità delle operazioni delle intercettazioni, sollevata dal S. sul rilievo dell'asserita incompetenza funzionale del GIP di Catania che le aveva disposte per la ricerca del latitante T.M., posto che nel caso in esame le intercettazioni telefoniche erano state disposte non soltanto per la ricerca del latitante ma anche per acquisire ulteriori elementi investigativi in ordine all'associazione a delinquere di stampo mafioso (clan Cappello - Pillerà) operante nel territorio catanese che favoriva la latitanza del T. considerato un esponente di spicco del quell'organismo criminoso qualificato: ed invero, nella richiesta della Squadra mobile della Questura di Catania vi era l'espresso riferimento al fatto che i titolari delle utenze di cui si chiedeva l'intercettazione "favorivano" la latitanza del T. e che lo stesso T. e P. facevano parte dello stesso clan mafioso dei Cappello;

risultava altresì infondata l'ulteriore eccezione sollevata dal medesimo imputato che aveva sostenuto l'inutilizzabilità delle conversazioni captate in assenza di rogatoria internazionale: le conversazioni erano state intercettate su utenze intestate a soggetti residenti nel territorio catanese e quindi per esse non era necessario il ricorso alla rogatoria internazionale; B) nel merito, in relazione alla posizione dei singoli imputati, risultavano condivisibili le valutazioni del Tribunale, sulla base del contenuto di conversazioni intercettate che la Corte stessa indicava specificamente; e ciò avuto riguardo al linguaggio criptico, usato per mascherare l'illiceità dei rapporti di frequentazione, nonchè alla concatenazione cronologica delle telefonate: S. - T.G.C. e il suo convivente S.F., che si trovavano in Spagna, avevano avviato delle trattative con fornitori locali per l'acquisto di una partita di droga che era destinata a S.A.: da una conversazione intercettata il 7 ottobre 2004 si intuirebbe che il S. si sarebbe trovato in Spagna dall'amico S.F. (ed in proposito viene evocata la deposizione dell'ispettore Se.); la prospettazione difensiva, secondo cui i contatti avrebbero trovato spiegazione nell'interesse sentimentale nutrito verso la T., non appariva credibile perchè smentita dal contenuto delle conversazioni intercettate in cui l'uso di un linguaggio criptico ed allusivo utilizzato dall'imputato con il S. (convivente della T.) mal si conciliava con un proposito sentimentale che non si spiegava neppure con la conversazione del 3/1/2005 nel corso della quale la T. chiedeva del denaro al S. tramite il S. F. il quale certamente, a sua volta, non avrebbe alimentato i rapporti di frequentazione con l'imputato se l'interesse di quest'ultimo fosse stato rivolto alla sua donna; l'imputato non appariva meritevole delle attenuanti generiche, per la gravità della condotta tenuto conto, in particolare, del suo coinvolgimento nell'approvvigionamento di gr. 350 di cocaina proveniente dalla Spagna: circostanza che denotava un non modesto profilo delinquenziale; S. P. - per il S. P., il contenuto delle conversazioni captate - anche quelle relative a colloqui telefonici tra il L. e lo Sp. - costituiva compendio probatorio carico, di sicura consistenza; il contenuto delle conversazioni smentiva la prospettazione difensiva secondo cui il debito era riconducile alle macchinette da caffè che il L. e lo Sp. ricevevano - quali sub-mandatari - dal S. P. a sua volta rappresentante di commercio per conto della ditta "F.T. di Agatina Giuffrida"); a ciò dovevano aggiungersi gli esiti dell'attività investigativa svolta dagli inquirenti e culminata anche in sequestri di sostanze stupefacenti, ed appariva altresì significativo che il L. in grado di appello non aveva contestato l'interpretazione data dal Tribunale alle conversazioni telefoniche che vedevano l'imputato stesso impegnato a recuperare somme di denaro, per conto del S. P., derivante dall'illecita attività di spaccio e in forza delle quali il L. era stato riconosciuto colpevole in primo grado; G. - la versione dell'imputato -secondo cui avrebbe ricevuto dal L. droga da destinare esclusivamente al proprio uso personale - risultava smentita dalle risultanze processuali, ed in particolare dal contenuto delle conversazioni che fugava qualsiasi dubbio, tenuto anche conto del riferimento a quantitativi di droga e somme di danaro assolutamente incompatibili con l'approvvigionamento di droga per uso esclusivamente personale; le intercettazioni telefoniche avevano dimostrato come l'imputato si rivolgesse al L. per rifornirsi in modo stabile, costante e abitudinario di consistenti quantitativi di droga; non appariva credibile che l'imputato avesse acquistato la droga per farne una scorta da tenere in riserva; SI. - anche per il Si. la tesi difensiva del rifornimento di droga dal L. per uso esclusivamente personale risultava smentita dall'esito delle operazioni captative (sinteticamente riportato dalla Corte territoriale quanto alle conversazioni ritenute di maggiore valenza probatoria); le richieste che l'imputato riceveva da "numerose persone" e il fatto che lui e il L. "non avevano concluso nulla" apparivano in contrasto con l'uso personale della droga deponendo invece per l'illecita attività di spaccio svolta dal Si. in concorso con il L.; non si ravvisavano nella condotta del Si. le connotazioni per il riconoscimento dell'attenuante della minima partecipazione - di cui all'art. 114 c.p. -sollecitata dalla difesa, posto che il contributo dato dall'imputato, il quale riceveva da numerose persone,richieste di fornitura di stupefacente e raccoglieva il denaro per l'acquisto della droga, non poteva essere considerato come partecipazione di minima importanza al reato a lui contestato; non potevano concedersi le attenuanti generiche: la condotta del Si. - il quale si riforniva costantemente di rilevanti quantitativi di droga dal L. - rivelava un profilo delinquenziale non lieve; L. - in data 30/3/2005 nell'abitazione dell'imputato erano stati rinvenuti circa 60 grammi di cocaina mentre era in compagnia del G. e numerose conversazioni evidenziavano che l'imputato era impegnato a recuperare i crediti vantati dal S. P. nei confronti dello Sp. derivanti dall'illecita attività di spaccio, come già precisato nell'esaminare la posizione dell'imputato S. P.;

nella condotta del L. non appariva ravvisabile l'attenuante della minima partecipazione al reato, ai sensi dell'art. 114 c.p., da lui invocata, posto che: durante l'attività investigativa, egli era stato trovato in possesso di gr. 60 di cocaina che custodiva nel suo appartamento; sollecitava i pagamenti di somme di denaro per conto del S. P.; con il Si. conteggiava le somme di denaro derivanti dall'illecita attività di spaccio; era il fornitore abituale e costante di rilevanti quantitativi di droga per il G..

3. - Ricorrono per cassazione gli imputati S., L., Si., S. P. e G. con censure che possono riassumersi come segue:

3.1 S. - Sotto i profili della violazione di legge e del vizio motivazionale, la difesa del S. deduce, con diffuse argomentazioni, ed anche con il richiamo ad atti processali, plurime doglianze che possono così riassumersi: con il gravame proposto avverso la sentenza di primo grado, la difesa di S.A. aveva svolto una serie di argomentazioni difensive che, muovendo da dati probatori certi (particolarmente le intercettazioni telefoniche), avrebbero dovuto condurre indubitabilmente, secondo il ricorrente, alla di lui assoluzione; si erano, inoltre, "indicati taluni punti della sentenza di primo grado ove venivano riportate circostanze oggettivamente insussistenti (presenza del S. in Spagna il 7/10/2004: p. 6 dei motivi d'appello) ovvero interlocutori diversi da quelli accertati nel corso del dibattimento di primo grado (prenotazione di una macchina a Ciampino il giorno 11/1/05 che si dice effettuata da un soggetto diverso dal S.F., contrariamente a quanto invece risulterebbe dagli atti: p. 6 motivi appello): nell'un caso, come nell'altro, il giudice dell'appello si sarebbe indotto a ribadire le affermazioni del primo giudice su tali punti senza procedere ad alcuna verifica dei dati che, ad avviso del ricorrente, ove eseguita, avrebbe portato a diversa conclusione; la difesa aveva evidenziato come dovesse escludersi che S. A. fosse interessato all'acquisto di stupefacenti da parte della coppia S. F./ T. segnalando che, seppure questi ultimi avevano potuto pensare che il S. potesse essere interessato all'acquisto di stupefacenti, proprio alcune conversazioni intercettate potevano dimostrare invece l'insussistenza della responsabilità del S. stesso; erano state segnalate alla Corte d'Appello in particolare talune conversazioni dalle quali emergeva che il S. ed il S. F. si sarebbero sentiti dopo le feste, ed altra, pur successiva all'arresto della T., nel corso della quale il S. diceva al S. F. di non aver risolto ancora i propri problemi: anche al riguardo i giudici di seconda istanza avrebbero omesso di confutare le prospettazioni difensive, limitandosi ad argomentare in maniera congetturale e operando palesi travisamenti dei fatti e delle prove; secondo l'impugnata sentenza la coppia S. F./ T. si sarebbe trovata in Spagna per l'acquisto di una partita di droga: il S. F. era invece agli arresti domiciliari in (OMISSIS), e quindi in Spagna si trovava la sola T. come peraltro dimostrato dalle numerose telefonate tra i due - nel corso delle quali la donna appariva con il nome C. o G. - e come confermato in dibattimento dall'Ispettore Se. su domanda del P.M.; la Corte d'Appello ha affermato che da una telefonata intercettata il 7 ottobre 2004 si intuirebbe la presenza in Spagna del S. presso il S.: in atti non vi sarebbe alcuna traccia di una telefonata in data 7 ottobre 2004 tra il S. ed il S. F., di cui peraltro non sarebbero state fornite dalla Corte di merito utili indicazioni (utenza, orario, etc), nè potrebbe attribuirsi valenza probatoria ad una mera "intuizione": circostanze queste pure sottoposte al vaglio della Corte d'Appello ma rimaste senza risposta;

nella sentenza di secondo grado si legge che da alcune conversazioni sarebbe emerso che il S. avrebbe parlato con interlocutori sconosciuti ai quali poter vendere la droga che, secondo l'accusa, il S. stesso avrebbe ricevuto dalla T. e da costei acquistata in Spagna: in due di tali telefonate (ivi compresa quella avente ad oggetto il noleggio di un'auto a Ciampino) l'interlocutore del S. era il S. F. - il quale peraltro aveva in uso l'utenza intercettata -e quindi non poteva trattarsi di un potenziale acquirente della droga acquistata dalla T. in Spagna, mentre l'interlocutore del S. nella terza telefonata era suo cugino P.G. per cui l'oggetto della telefonata non poteva essere la droga; la Corte territoriale sarebbe incorsa in un travisamento della prova sotto due aspetti: a) in dibattimento nessun operatore avrebbe riferito di non aver riconosciuto la voce del S. F.; b) l'identità degli interlocutori sarebbe stata annotata sul prospetto sintetico delle telefonate acquisito dal Tribunale; la Corte distrettuale non avrebbe poi indicato alcun elemento da cui poter inferire che fra la coppia S. F.- T. da un lato ed il S. dall'altro sarebbe stato raggiunto un accordo certo "sulla qualità, quantità della sostanza e sul prezzo": erano state sottoposte al vaglio della Corte d'Appello tali prospettazioni difensive - con specifico richiamo anche a singole conversazioni intercettate che avrebbero dimostrato la mancanza di qualsiasi accordo - rimaste tuttavia senza risposta, con conseguente inosservanza dell'obbligo motivazionale; si deduce poi vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche, avendo la Corte distrettuale desunto connotazioni di un profilo delinquenziale non lieve da un solo episodio a fronte di una condizione di incensuratezza; si assume infine che per il principio del "favor rei" i giudici di merito avrebbe dovuto infliggere al S. il minimo della pena detentiva pari ad anni 6 di reclusione introdotto con la nuova legge del 2006 e non il minimo di 8 anni quale stabilito dalla normativa previgente.

3.2. L. - Denuncia vizio motivazionale per erronea valutazione delle risultanze processuali, relativamente al diniego dell'attenuante della lieve entità del fatto - sottolineando che vi sarebbe un'unica conversazione in cui si farebbe riferimento a denaro, e si tratterebbe della somma di 150,00 Euro - e delle attenuanti generiche, che a suo dire ben avrebbero potuto essere riconosciute per lo scarso apporto che il L. avrebbe fornito nell'ambito della vicenda oggetto del procedimento e per il suo contegno processuale.

3.3. SI. - Deduce Vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche e dell'attenuante dell'ipotesi lieve D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 5, nonchè per il mancato riconoscimento dell'attenuante della minima partecipazione al fatto di cui all'art. 114 c.p..

3.4. S. P. - Solleva l'eccezione di inutilizzabilità dell'esito delle intercettazioni - in appello non dedotta da lui ma dal S. - sul rilievo che sarebbero state disposte da giudice funzionalmente incompetente, e denuncia vizio di motivazione sulle valutazioni probatorie in punto di ritenuta responsabilità.

3.5. G. - Vizio di motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza della destinazione della droga ad uso personale, che a dire del ricorrente sarebbe invece provato dalla sentenza di assoluzione relativamente al rinvenimento della cocaina del 10 marzo 2005, dal suo accertato stato di tossicodipendenza e dalle sue risorse economiche - riconducali all'attività commerciale svolta - che gli avrebbero consentito l'approvvigionamento di droga per il suo fabbisogno; anche le conversazioni intercettate, se lette nell'ottica della sua tossicodipendenza, deporrebbero in tal senso; si duole altresì dell'aumento di pena a titolo di continuazione asserendo che i plurimi episodi da ritenere avvinti dal vincolo della continuazione non sarebbero stati in alcun modo provati.

 

Motivi della decisione

 

4. - Preliminarmente deve essere esaminata la censura in rito concernente la eccepita inutilizzabilità dell'esito delle intercettazioni telefoniche, che, pur se dedotta dal solo S. P., in caso di accoglimento produrrebbe i suoi effetti anche sulla pozione degli altri ricorrenti tenuto conto della natura dell'eccezione concernente questione rilevabile di ufficio. La doglianza è priva di fondamento, sotto plurimi profili. In primo luogo, va evidenziato che, come precisato dai giudici del merito, le intercettazioni erano finalizzate non solo alla cattura del latitante T.M., ma anche all'acquisizione di elementi investigativi in ordine all'associazione mafiosa che favoriva la latitanza del T.. A ciò aggiungasi che questa Corte ha avuto modo di affermare, condivisibilmente, la piena utilizzabilità di intercettazioni finalizzate alla ricerca di latitanti anche se disposte da giudice incompetente funzionalmente (Sez. 4, n. 45911 del 15/10/2009 Ud. - dep. 01/12/2009 - Rv. 245664).

5. - Ciò posto, prima di passare all'esame delle singole posizioni (nel merito) dei ricorrenti, ed all'analitico vaglio delle censure dagli stessi rispettivamente dedotte, appare opportuno soffermarsi innanzi tutto sul tema generale dell'onere motivazionale, con particolare riferimento agli obblighi di motivazione del giudice di secondo grado, in relazione ai motivi dell'appello proposto dall'imputato, nel caso di conferma della sentenza di condanna pronunciata in primo grado. E' certamente ius receptum che, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello può integrarsi con quella precedente per formare un unico corpo argomentativo, sicchè risulta possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado, colmare eventuali lacune della sentenza di appello. Deve tuttavia ritenersi che incorra nel vizio di motivazione il giudice d'appello il quale - nell'ipotesi in cui le soluzioni adottate dal giudice di primo grado siano state censurate dall'appellante con specifiche argomentazioni -confermi la decisione del primo giudice, aggiungendo la propria adesione senza però dare compiutamente conto degli specifici motivi d'impugnazione, così sostanzialmente eludendo le questioni poste dall'appellante. In tal caso non potrebbe invero nemmeno parlarsi di motivazione "per relationem", trattandosi all'evidenza della violazione dell'obbligo di motivare, previsto a pena di nullità dall'art. 125 c.p.p., comma 3, e direttamente imposto dall'art. 111 Cost., comma 6, che fonda l'essenza della giurisdizione e della sua legittimazione sull'obbligo di "rendere ragione" della decisione, ossia sulla natura cognitiva e non potestativa del giudizio.

Più specificamente, l'ambito della necessaria autonoma motivazione del giudice d'appello risulta correlato alla qualità e alla consistenza delle censure rivolte dall'appellante. Se questi si limita alla mera riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell'impugnazione ben può trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati. Quando, invece, le soluzioni adottate dal Giudice di primo grado siano state specificamente censurate dall'appellante, sussiste, come detto, il vizio di motivazione - in quanto tale sindacabile ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) - se il giudice del gravame non si fa carico di argomentare sulla fallacia o inadeguatezza o non consistenza dei motivi di impugnazione. Nè può ritenersi precluso al giudice di legittimità l'esame dei motivi di appello, al fine di accertare la congruità e la completezza dell'apparato argomentativo adottato dal giudice di secondo grado con riferimento alle doglianze mosse alla decisione impugnata, rientrando nei compiti attribuiti dalla legge alla Corte di Cassazione la disamina della specificità o meno delle censure formulate con l'atto di appello quale necessario presupposto dell'ammissibilità del ricorso proposto davanti alla stessa Corte.

6. - Orbene, sulla scorta dei principi appena ricordati, risultano fondati i ricorsi del S. e del G. per quanto di ragione.

6.1. Per quel che riguarda il S., questi aveva presentato un atto di appello con cui aveva dedotto motivi specifici, con particolare riferimento alla interpretazione di talune telefonate cui il primo giudice aveva ritenuto di dover attribuire valenza probatoria di accusa. L'imputato aveva cioè contestato l'individuazione del suo interlocutore - con conseguenti riflessi sul significato del colloquio intercettato - non mancando di indicare specifici atti a sostegno del proprio assunto. Come evidenziato anche dal Procuratore Generale nel corso della sua requisitoria all'odierna udienza, a fronte di dette doglianze il giudice di appello ha confermato l'affermazione di colpevolezza in ordine al reato avente ad oggetto cocaina pari a 320 grammi (acquistata dalla coppia S. F./ T. per essere poi ceduta, secondo l'accusa, ad esso S.), ribadendo la valenza probatoria di talune circostanze senza farsi carico di vagliare le deduzioni difensive formulate in proposito con i motivi di appello, sia pure per ritenerle eventualmente inconferenti o infondate. Con riferimento alla conversazione del 17/12/2004, assume la Corte territoriale che essa sarebbe intervenuta fra il S. "ed un uomo non identificato" e che da essa si ricaverebbe logicamente che il S., una volta ricevuto lo stupefacente dalla T., lo avrebbe consegnato all'ignoto interlocutore. Il S. aveva invece sostenuto con l'appello - richiamando atti del processo - che l'interlocutore sarebbe stato lo stesso S. F. (la cui utenza cellulare era intercettata) e quindi la conversazione non avrebbe potuto riferirsi alla droga acquistata in Spagna dalla T. (cfr. pag. 3 dell'allegato 2 al ricorso).

Si legge ancora nella gravata sentenza che da una conversazione intercettata in data 7/10/2004 si intuirebbe che il S. si trovava in Spagna dal suo amico S.F. (evocando al riguardo la deposizione dell'ispettore Se.). In proposito, il S. ha rappresentato con il ricorso innanzi tutto che di tale telefonata (intercettata) non vi sarebbe traccia in atti e che il S. F. non poteva trovarsi in Spagna perchè agli arresti domiciliari in (OMISSIS), precisando di aver dedotto tale eccezione con i motivi di appello (a pag. 6): anche in proposito non si rinviene risposta nella sentenza di secondo grado; il ricorrente ha poi denunciato vizio di motivazione relativamente all'interpretazione di detta conversazione sostenendo che una mera "intuizione" non sarebbe idonea a rendere congrua una motivazione a sostegno della lettura di un colloquio intercettato: tale censura coglie nel segno posto che la Corte territoriale avrebbe dovuto esplicitare gli elementi valutati per pervenire ad una tale "intuizione". Ed ancora. La prenotazione dell'autovettura a Ciampino in data 11/1/2005 - oggetto di una telefonata intercettata - attribuita dai giudici del merito allo "stesso ignoto interlocutore", sarebbe stata invece effettuata, secondo il ricorrente, da S.F., come risulterebbe dal prospetto, allegato anche al ricorso, specificamente progr. 2980 ut.

(OMISSIS) in uso a S. F.: secondo la prospettazione difensiva, l'auto sarebbe servita alla T. per recarsi in Spagna e la donna sarebbe stata individuata dagli inquirenti proprio grazie a tale intercettazione, per poi essere bloccata a Ventimiglia al rientro in Italia: deduzione anche questa sottoposta al vaglio dei giudici di seconda istanza con i motivi di appello (a pag. 6).

Per la conversazione del 13/1/05, la difesa aveva evidenziato con i motivi d'appello (p. 10), richiamando anche il teste Se., che il colloquio era intervenuto fra il S. e il proprio cugino P.G., e non con un "uomo non identificato" (cfr. pag. 6 dell'allegato 2 al ricorso) e, pertanto, non poteva avere il significato che si era ritenuto di poter trarre: il Giudice d'appello, senza verificare donde la difesa avesse tratto il nome P.G., ha ribadito trattarsi di uomo non identificato per poi affermare - dunque senza dar conto della deduzione difensiva - che si trattava di soggetto interessato ad acquistare stupefacente.

Con il ricorso il S. sostiene che aveva sottoposto alla Corte doglianze specifiche circa il suo disinteresse rispetto ai fatti di droga di cui si sarebbe occupata la coppia T.- S. F., richiamando l'attenzione della Corte distrettuale anche sul contenuto delle telefonate intercettate successivamente all'arresto della T. (in particolare, quella del 24 gennaio 2005 nel corso della quale comunicava al suo interlocutore di non aver ancora risolto i propri problemi, questi ultimi già oggetto di conversazioni relative al periodo antecedente all'arresto della T.): anche in ordine a tali deduzioni (formulate a pag. 11 dei motivi di appello) non si rinvengono argomenti nell'impugnata sentenza.

Mette conto sottolineare ancora che la Corte territoriale ha ritenuto sussistente il reato per il quale è intervenuta condanna nei confronti del S. (quale unico addebito di cui detto imputato poteva essere chiamato a rispondere, per come precisato dai giudici di seconda istanza) - vale a dire l'accordo circa l'acquisto della droga (dalla T.) per poi rivenderla a terze persone - muovendo dal presupposto che ai fini della consumazione del reato stesso non rileverebbe la materiale consegna dello stupefacente all'acquirente essendo sufficiente solo "l'incontro delle volontà del compratore e dell'acquirente sulla qualità, quantità della sostanza e sul prezzo" e citando in proposito taluni precedenti della giurisprudenza di legittimità (pagg. 6-7 della sentenza); il S. con il ricorso ha dedotto che non sarebbero stati indicati gli elementi probatori cui poter ancorare in termini di certezza il convincimento della concretezza dell'accordo quale ipotizzato dall'accusa. Orbene, ferma restando la correttezza dell'affermazione della Corte d'Appello in termini di principio di diritto, si rileva peraltro un vizio motivazionale laddove non risulta precisato (ultimo rigo di pag. 6 della sentenza) a quali soggetti intendesse riferirsi la Corte d'Appello nell'indicare il "compratore" e l'"acquirente", trattandosi di termini che esprimono entrambi il concetto di acquisto, e manca poi al riguardo il riferimento ad elementi da cui poter trarre il convincimento della concretezza dell'accordo tra tali soggetti, una volta individuati, nella fattispecie, il "compratore e l'"acquirente". Sussiste, pertanto, anche sul punto il denunciato vizio motivazionale.

Per le ragioni suesposte l'impugnata sentenza deve essere annullata nei confronti del S., con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Catania che, alla luce dei rilevati vizi motivazionali sopra evidenziati, procederà a nuova valutazione del complessivo compendio probatorio, tenendo conto compiutamente delle doglianze dedotte dal S. con l'appello. Restano assorbite le ulteriori censure relative al trattamento sanzionatolo, oggetto del ricorso.

6.2. Tenendo conto dei principi generali in tema di onere motivazionale, prima richiamati, è fondato, come detto, anche il ricorso del G.. A carico di quest'ultimo sono state valorizzate le telefonate con il L., ritenuto suo fornitore, e, quale elemento oggettivo di riscontro, è stato evidenziato il rinvenimento sulla persona del G. stesso di grammi 11,6 di cocaina in occasione del sequestro a casa del L. - che era in compagnia del G. - di un quantitativo di cocaina di circa 60 grammi; secondo i giudici del merito non rileverebbe la sentenza di assoluzione del G. per il possesso degli 11,6 grammi di cocaina, tenuto conto di quelle conversazioni che farebbero supporre che non si sarebbe trattato dell'unico episodio di coinvolgimento del G. in un acquisto di sostanza stupefacente (pag. 16 della sentenza di primo grado). Orbene, come per il S., anche per il G. la motivazione della Corte distrettuale non soddisfa l'esigenza di adeguata e logica risposta a quanto specificamente dedotto dall'imputato con i motivi di appello. Il G. aveva sollecitato il giudice di seconda istanza ad indicare quali elementi probatori potessero sorreggere il convincimento di un commercio di droga e non di approvvigionamento per esclusivo uso personale evidenziando che: era intervenuta una sentenza assolutoria - definitiva - che aveva sancito la destinazione ad uso personale dell'unico quantitativo di stupefacente rinvenuto nella disponibilità dell'imputato, vale a dire gli 11,6 grammi di cocaina;

egli era titolare di una fabbrica economicamente solida, con 12 dipendenti, e svolgeva un'attività commerciale i cui proventi ben potevano consentirgli l'acquisito di droga per soddisfare le sue esigenze di tossicodi pendenza da cocaina, anche mediante acquisti di "scorte" di cocaina, non potendo recarsi, per gli impegni di lavoro, quotidianamente presso il suo fornitore (ed ai motivi di appello era stato allegato anche il bilancio del 2004 relativo a tale attività commerciale); le conversazioni intercettate erano state interpretate in maniera distorta mediante l'estrapolazione di parole e stralci di tali colloqui, dalla cui integrale trascrizione (riportata nei motivi di appello), poteva invece desumersi, secondo la prospettazione difensiva, che la reazione indispettita del G., nei confronti del L. in occasione di una telefonata intercettata, era dovuta solo alla mancanza di disponibilità di droga di cui aveva necessità per il proprio fabbisogno; la sentenza di assoluzione, nonchè l'esito del drug test effettuato in occasione dell'arresto del 10 marzo 2005 - a mezzo del quale era stato riscontrato nelle urine un dosaggio di cocaina di gran lunga superiore ai valori normali - dimostravano che egli non acquistava dal L. droga da destinare allo spaccio; dagli atti non emergerebbe alcun elemento idoneo a dimostrare un qualsiasi contatto tra il G. e potenziali clienti ai quali cedere droga, ed egli non aveva subito altri controlli al di fuori di quello sfociato poi nella sentenza di assoluzione; ai fini della pena gli era stato inflitto un aumento a titolo di continuazione interna (un anno di reclusione e 2.000,00 Euro di multa in primo grado, poi ridotto in appello a sei mesi di reclusione ed Euro 1.000,00) - sul presupposto che le telefonate con il L. potessero accreditare l'ipotesi che la cessione della cocaina di 11,6 grammi non fosse stata la sola - senza tuttavia ancorare tale convincimento al benchè minimo elemento probatorio diverso da quell'unico episodio di detenzione di cocaina oggetto di sentenza di assoluzione passata in giudicato; le parole "impegni" e "programma", dal primo giudice ritenute rivelatrici di un linguaggio criptico che avrebbe mascherato illecite attività concernenti la droga, erano viceversa del tutto compatibili con la sua attività lavorativa.

A fronte di tali specifiche deduzioni, la Corte territoriale ha riproposto sostanzialmente i medesimi argomenti addotti dal primo giudice, eludendo le deduzioni difensive sottoposte al suo vaglio, e valorizzando una situazione di "droga parlata" ritenuta riferibile ad attività di spaccio senza però indicare elementi idonei a dar prova concreta di contatti - quanto meno telefonici - tra il G. e potenziali acquirenti, nè circostanze cui poter ancorare il convincimento della disponibilità in più occasioni da parte del G. di droga da destinare allo spaccio, e tali quindi da poter legittimare una sentenza di condanna "oltre ogni ragionevole dubbio" ed un conseguente trattamento sanzionatorio caratterizzato anche da un aumento di pena a titolo di continuazione. La stessa telefonata del 9 marzo 2005 cui allude la Corte d'Appello (pagg. 12 e 13 della sentenza impugnata) - che peraltro avrebbe avuto ad oggetto la marijuana (pag. 13 della sentenza della Corte d'Appello), e non cocaina - non risulta collegata ad alcun quantitativo di marijuana nè è stato precisato se poi quella cessione di marijuana, dal L. al G., vi sia stata effettivamente; così come non è stato indicato a quale acquisto avrebbero dovuto essere eventualmente destinati i mille Euro che, come risulterebbe da una telefonata tra il G. ed il L., costituiva l'importo di un assegno che il G. stesso aspettava di incassare, dopo che il L. gli aveva detto che stava aspettando "l'erba che Dio aveva maledetto": mette conto sottolineare, al riguardo, che a pag. 17 della sentenza di primo grado si afferma che all'appuntamento poi fissato presso la casa del L. questi aveva dato al G. cocaina pari a grammi 11,6 - da cui poter ricavare circa 30 dosi - oggetto però della sentenza di assoluzione (per la ritenuta destinazione di detta sostanza ad uso personale, con conseguente impossibilità di porre tale specifico episodio a fondamento di una dichiarazione di penale responsabilità). Nè risulta dalle sentenze di primo e secondo grado alcun contatto tra il G. e soggetti eventualmente destinatari della droga che il G. stesso avrebbe dovuto spacciare.

La sentenza impugnata deve essere dunque annullata anche nei confronti del G., con rinvio, per nuovo esame del compendio probatorio tenuto conto di quanto sopra evidenziato.

7. - Passando all'esame delle posizioni degli altri ricorrenti, il Collegio rileva l'infondatezza dei motivi posti a sostegno dei rispettivi ricorsi.

7.1 Ricorso del S. P.- Quanto all'eccezione in rito si rimanda a quanto già sopra esposto (paragrafo 4).

Le doglianze concernenti l'affermazione di colpevolezza presentano profili ai limiti della inammissibilità perchè sostanzialmente relative ad apprezzamenti di merito e valutazioni probatorie non deducibili in sede di legittimità perchè sorretti da motivazione adeguata e priva di connotazioni di illogicità.

Nella concreta fattispecie, invero, la decisione impugnata si presenta formalmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali - quali sopra riportati nella parte narrativa in relazione alla posizione del S. P., e da intendersi qui integralmente richiamati onde evitare superflue ripetizioni - forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti posti dalla difesa dell'imputato. Con le dedotte doglianze il ricorrente, per contrastare la solidità delle conclusioni cui è pervenuto il giudice del merito, non ha fatto altro che riproporre in questa sede - attraverso considerazioni e deduzioni svolte in chiave di puro merito - tutta la materia del giudizio, adeguatamente trattata, in relazione ad ogni singola tematica, dalla Corte territoriale. Sicchè le critiche mosse alla sentenza impugnata si risolvono in censure che tendono ad una diversa valutazione delle risultanze processuali. In tema di sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito, ma solo quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, dandone una corretta e logica interpretazione, con esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti; se abbiano, quindi, correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass., Sez. Un., 13.12.1995, n. 930/1996; id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12). E poichè il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato, o - a seguito della modifica apportata all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 - da "altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame", tanto comporta, quanto al vizio di manifesta illogicità, per un verso, che il ricorrente deve dimostrare in tale sede che l'iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e, per altro verso, che questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un'altra interpretazione o di un altro iter, quand'anche in tesi egualmente corretti sul piano logico; ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si presterebbero ad una diversa lettura o interpretazione, ancorchè, in tesi, munite di eguale crisma di logicità (cfr. Cass., Sez. Un., 27.9.1995, n. 30; id., Sez. Un., 30.4.1997, n. 6402; id., Sez. Un., 24.11.1999, n. 24; in termini sostanzialmente identici, ancorchè con riferimento alla materia cautelare, Sez. Un., 19.6.1996, n. 16; e non dissimilmente, Sez. Un., 27.9.1995, n. 30; id., Sez. Un., 25.10.1994, n. 19/1994; e, con riguardo al giudizio, Sez. Un., 13.12.1995, n. 930/1996; id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12). Inoltre, l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, proprio perchè l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi - come s'è detto - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Cass., Sez. Un., 24.9.2003, n. 47289; id., Sez. Un., 30.11.2000, n. 5854/2001; id., Sez. Un., 24.11.1999, n. 24).

E' solo il caso di aggiungere come il giudice di seconda istanza abbia sottolineato, quale circostanza significativa, che il L. non aveva contestato il tenore delle telefonate in cui risultava coinvolto il S. P., che avevano portato alla condanna del L. stesso in relazione al traffico illecito: e ciò, in aggiunta all'esito dell'attività di investigazione.

7.2. Posizioni L. e Si. - Entrambi deducono vizio di motivazione in ordine al diniego dell'attenuante dell'ipotesi della lieve entità del fatto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

Anche in proposito ci si trova di fronte a censure che presentano connotazioni ai limiti della inammissibilità. La Corte territoriale - in risposta alle deduzioni difensive - ha motivato il proprio convincimento al riguardo sottolineando le modalità della condotta, la sistematicità di essa, i quantitativi consistenti di droga trattati nel corso delle telefonate intercettate, le rilevanti somme di denaro impiegate per l'approvvigionamento della droga oggetto della illecita attività, indici questi ritenuti dalla Corte stessa del tutto dissonanti rispetto ai parametri richiesti dalla norma speciale invocata dalla difesa degli imputati; orbene, è appena il caso di ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte, ribadendo un principio costantemente affermato nella giurisprudenza di legittimità, hanno precisato che detta attenuante "può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell'azione), con la conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l'eventuale presenza degli altri" (Sez. Un., n. 17/2000, imp. Primavera ed altri, RV. 216668): l'impugnata decisione si pone perfettamente in sintonia con tale principio.

7.2.1. Il Si. ha inoltre denunciato vizio di motivazione relativamente al diniego dell'attenuante della minima partecipazione al fatto ex art. 114 del codice penale ed al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. Anche in proposito le doglianze non colgono nel segno, posto che: a) quanto all'attenuante della minima partecipazione al fatto, la Corte territoriale ha ritenuto ostativo, al beneficio invocato, il contributo fornito dall'imputato nella delittuosa attività, essendo emerso che egli riceveva da numerose persone richieste di fornitura e raccoglieva denaro per l'acquisto della droga; b) le attenuanti generiche sono state negate avuto riguardo alla condotta del Si. il quale si riforniva costantemente dal L. di rilevanti quantitativi di droga: orbene le ragioni addotte dalla Corte territoriale a sostegno del proprio convincimento in proposito, risultano adeguate e congrue, e del tutto conformi ai principi enunciati in materia dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui "ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo" (in tal senso, tra le tante, Sez. 1, N. 3772/94, RV. 196880).

7.2.2. Anche il L. ha denunciato vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche: in primo luogo mette conto sottolineare che in proposito non era stata sollevata questione con i motivi di appello, con conseguente inammissibilità della doglianza in quanto dedotta per la prima volta in questa sede; a ciò aggiungasi comunque la genericità della censura - sovrapponibile, dal punto di vista argomentativo, a quella proposta dal Si. per il diniego del medesimo beneficio - ed al riguardo valgono le considerazioni già innanzi svolte esaminando l'analoga doglianza del Si. stesso.

8. - Al rigetto dei ricorsi del S. P., del Si. e del L. segue la condanna dei medesimi al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di S.A. e G.C.A. con rinvio alla Corte d'Appello di Catania per nuovo esame. Rigetta i ricorsi di S.P., Si.Da.Gi. e L.P.A. che condanna al pagamento delle spese processuali.

 

 

da altalex.com
 

Mercoledì, 02 Gennaio 2013
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