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Danni da insidia: quando il concorso di colpa esclude responsabilità della p.a.

(Tribunale Livorno, sez. Cecina, 9 novenbre 2011, n. 170)

La sentenza Tribunale di Livorno, Sez. Cecina, 9 novembre 2011, n. 170 si segnala per la pregevole ricostruzione dello stato dell’arte in tema di responsabilità della pubblica amministrazione per danni cagionati da beni demaniali[1], fornendo al lettore una lucida prospettiva sull’argomento.

La vicenda processuale prende le mosse dalla richiesta di risarcimento per le lesioni patite in conseguenza di una caduta causata da un dislivello della pavimentazione del marciapiede comunale. Il Giudice, seguendo l’ordine logico delle questioni, affronta prima il tema della natura della responsabilità dell’ente illustrando le quattro teorie succedutesi nel tempo e, poi, quello dell’incidenza della condotta del danneggiato.

Secondo l’orientamento tradizionale[2], in subiecta materia, la responsabilità della P.a. deve essere inquadrata nell’ambito dell’art. 2043 c.c. per violazione delle regole di prudenza e di esperienza.

In virtù di tale ricostruzione, il danneggiato avrebbe il complesso onere di provare il danno, il nesso causale e l’elemento soggettivo (rectius colpa)[3].

Per facilitare la prova dell’elemento soggettivo, la dottrina aveva elaborato la figura della “insidia o trabocchetto”come dato sintomatico dell’attività colposa della P.a., sussistente ogni qualvolta sia provato che il pericolo non fosse visibile né prevedibile dal danneggiato. Per la giurisprudenza, tuttavia, il concetto di “insidia o trabocchetto” si è trasformato nel tempo da elemento di facilitazione probatoria ad indice tassativo ed ineludibile della responsabilità della P.a., che il danneggiato è obbligato a provare attivamente.

Altro orientamento[4] riconduce invece la responsabilità della P.a. all’art. 2051 c.c., che configura l’ipotesi di responsabilità per danni cagionati da cose in custodia.

In quanto custode dei beni pubblici[5], la P.a. è chiamata a rispondere dei danni da essi cagionati ogniqualvolta il danneggiato fornisca la prova dell’evento dannoso e del nesso di causalità con la cosa, senza dover dimostrare l’elemento soggettivo. L’unico modo per esimersi dalla responsabilità sarebbe quello di provare che il danno sia riconducibile al caso fortuito.

Il concetto di caso fortuito, peraltro, cambia fisionomia a seconda che si propenda per una ricostruzione dell’art. 2051 c.c. in chiave di responsabilità oggettiva o di presunzione di colpa: nel primo caso il fortuito si dovrà individuare in un evento esterno, idoneo ad elidere il nesso eziologico tra cosa e danno (responsabilità oggettiva), nel secondo la prova del fortuito atterrà al profilo della mancanza di colpa da parte della P.a. nell’esercizio dei suoi poteri custodiali[6] (presunzione di colpa).

Si segnala, poi, un orientamento intermedio[7], secondo cui l’art. 2051 c.c. sarebbe applicabile alla P.a. solo nei confronti dei beni che possono essere concretamente oggetto del controllo e della vigilanza del custode.

Tale vigilanza, secondo questa giurisprudenza, è possibile solo nel caso in cui i beni siano di estensione particolarmente limitata[8] o, comunque, non siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei terzi. In caso di impossibilità di un controllo in concreto, quindi, la forma di tutela da invocare sarebbe quella classica dell’art. 2043 c.c.[9].

Si rinviene, infine, una quarta opzione, espressa in Corte di Cassazione n. 15383/06, secondo cui sarebbe certamente configurabile una responsabilità per danni da cose in custodia, essendo “l’estensione del bene demaniale e l’utilizzazione generale e diretta del bene da parte di terzi, mere figure sintomatiche dell’impossibilità della custodia da parte della p.a.”, la cui sussistenza deve essere di volta in volta valutata in concreto dal giudice.

Inoltre, configurandosi una responsabilità di tipo oggettivo, il danneggiato avrà esclusivamente l’onere di provare il “nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza”[10].

Che si parli di responsabilità ex art. 2051 c.c. piuttosto che ex art. 2043 c.c., alla medesima soluzione si giunge in tema di comportamento colposo nell’uso del bene da parte del soggetto danneggiato.

L’uso anomalo o non diligente del bene esclude la responsabilità della P.a
., “se tale comportamento è idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, integrando, altrimenti, un concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227 c.c. comma 1, con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante in proporzione all’incidenza causale del comportamento del danneggiato”.

(Nota di Valentino Aventaggiato e Raffaele Plenteda)

 

Note:
[1] Sul tema, si veda PLENTEDA-MAGGIULLI, Danni da insidie stradali, analisi e casistica, Altalex ed., 2011.
[2] Ex multis Cass. n. 10132/04, Cass. n. 3991/99, Cass. n. 5989/98, Cass. n. 7062/97 e Cass. n. 7742/97.
[3] Tra le più recenti sentenze di merito, si veda Tribunale Caltanissetta, Sentenza 19.12.2009 n.614, reperibile in www.plentedamaggiulli.it con nota di R. Plenteda, Insidia stradale, vale ancora la teoria del pericolo occulto e imprevedibile?
[4] Ex multis Cass. n. 4070/98, Cass. n. 11749/98, Cass. n. 4673/96, Cass. n. 3392/82.
[5] Nella fattispecie, dalla circostanza che il Comune sia proprietario della pubblica via ex. Art. 16, let. B, allegato F della legge 20 marzo 1865 n. 2248 discende non solo l’obbligo dell’Ente alla manutenzione, ma anche quello della custodia.
[6] La questione è stata affrontata specificamente da Cass. n. 3651/06, nella quale si giunge ad individuare nell’art. 2051 c.c. un’ipotesi di presunzione di colpa. Tale ricostruzione, tuttavia, è stata smentita da successive sentenze di legittimità.

Sul tema, si veda la recentissima Cassazione Civile, Sezione 3, 24.05.2011 n.11430, reperibile su www.plentedamaggiulli.it e pubblicata su Altalex, con nota di R. Plenteda, Il piede nella buca piena d’acqua: insidia o caso fortuito.

[7] Ex multis Cass. n. 166675/05, Cass. n. 11446/03, Cass. n. 22592/04.
[8] La giurisprudenza qualifica “di estensione particolarmente limitata” le strade comunali, per le quali il Comune avrebbe in concreto il potere di controllarne lo stato e scongiurare i pericoli.
[9] Invero, presumere aprioristicamente che sia impossibile custodire beni di notevole estensione o di uso generale e diretto da parte di terzi comprime in maniera ingiustificata la vis applicativa dell’art. 2051 c.c., esattamente come il concetto di “insidia o trabocchetto” complica ingiustamente la tutela dell’art. 2043 c.c. Sul punto, la sent. n. 156/99 della Corte Costituzionale ha avuto modo di sottolineare che “la notevole estensione del bene e l’uso generale e diretto da parte dei terzi costituiscono meri indici dell’impossibilità del concreto esercizio del controllo”, e che “la nozione di insidia è una figura sintomatica di colpa, elaborata dalla giurisprudenza, con il preciso fine di meglio distribuire tra le parti l’onere probatorio, secondo un criterio di semplificazione analitica della fattispecie”.
[10] In quest’ottica, il caso fortuito è rappresentato da un fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell’evento, ricondåucibile non alla cosa -che se è fonte immediata- ma ad un elemento esterno come un fatto del terzo o dello stesso danneggiante.
 
 
Tribunale di Livorno
Sezione di Cecina
Sentenza 9 novembre 2011, n. 170
 
 
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Lunedì, 16 Gennaio 2012
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