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Assicurazione RC avvocato: una soluzione per le clausole “claims made”

(Tribunale Rovigo, sez. Adria, sentenza 17 agosto 2011)

La giurisprudenza in tema di responsabilità dell’avvocato[1] si trova, ancora una volta, a dover fare i conti con le clausole claims made, inserite nella totalità dei contratti di assicurazione stipulati dai professionisti.

 

In estrema sintesi, con la clausola claims made (letteralmente “a richiesta fatta”), assicuratore e assicurato pervengono ad una definizione convenzionale della nozione di sinistro rilevante ai fini dell’art. 1917, c. 1 c.c., che è fatta coincidere con la richiesta di risarcimento del danno avanzata dal terzo e non più, dunque, col comportamento del danneggiante-assicurato generativo della responsabilità[2].

 

Ne deriva il rischio, a carico del professionista assicurato, di trovarsi sprovvisto di copertura assicurativa per il caso in cui la richiesta di risarcimento, pur essendo riferita a fatti risalenti al tempo dell’assicurazione, pervenga all’avvocato in un’epoca in cui il rapporto assicurativo sia cessato. Rischio al quale si può ovviare attraverso l’inserimento in polizza di apposite clausole, definite sunset clause(“clausole del tramonto”) o tail-coverage o (“copertura della coda”), che tuttavia sono assai costose.

 

La sentenza del Tribunale di Rovigo offre, prima di tutto lo spunto per evidenziare la distinzione tra c.d. clausola claims made “pura” e “spuria”.

 

La clausola claims made è pura allorché garantisce tutte le richieste di risarcimento pervenute durante il tempo dell’assicurazione, con la conseguenza che la copertura assicurativa risulterà estesa anche per le eventuali condotte negligenti tenute nel passato, la cui azione risarcitoria non sia ancora prescritta (dieci anni). In questo caso, non si assiste ad una vera e propria limitazione della garanzia ma, più semplicemente, uno spostamento convenzionale del periodo di copertura, con la conseguenza che ne essere esclusa la natura vessatoria.

 

La claims made c.d.spuria, invece, garantisce le richieste di risarcimento pervenute durante il periodo di assicurazione e, inoltre, limita anche la c.d. “retroactive date”, ossia l’estensione alle condotte negligenti tenute dal professionista nel passato: in definitiva, la copertura riguarderà le richieste di risarcimento pervenute durante il periodo di assicurazione, relative a condotte tenute durante lo stesso periodo o, comunque, un periodo inferiore ai dieci anni (termine di prescrizione).

 

Secondo il Giudice lombardo, solo le clausole claims made spurie, limitando la copertura assicurativa, assumono il carattere della vessatorietà e, ai sensi dell’art. 1341 c.c., il contratto necessita della doppia sottoscrizione, in mancanza della quale la clausola claims made è inefficace.

 

Quale sono le conseguenze dell’accertata inefficacia della clausola?

 

Secondo una prima impostazione, sarebbe applicabile l’art. 1419 c.c., con la conseguenza che alla declaratoria di nullità della clausola seguirebbe l’applicazione dell’art. 1917 c.c. che individua il sinistro assicurato in ogni “fatto accaduto durante il periodo di assicurazione”.

 

Secondo diversa impostazione, la dichiarazione di nullità sarebbe destinata a colpire soltanto la parte vessatoria della clausola, ossia la mancata estensione della claims made ai fatti verificatisi nel decennio precedente alla stipula del contratto.

 

Il Tribunale di Rovigo non condivide nessuna delle due opzioni ricostruttive e ne propone una terza, secondo cui la clausola claims made non specificamente approvata non è affetta da nulla, ma è semplicemente inefficace, con la conseguenza che deve essere sostituita con la disciplina legale prevista per l’istituto negoziale oggetto di accordo, senza che all’uopo debba trovare applicazione l’art. 1419, co. II, c.c.

 

Infatti, “l’art. 1419, II comma c.c. prevede uno schema di sostituzione fondato proprio sulla nullità della clausola per violazione di norme imperative, integrata dalla disciplina legale inderogabile; la vessatorietà della clausola, invece, non è un parametro di violazione di una disposizione imperativa, quanto una ammissibile limitazione contrattuale gravante sulla parte debole che è valida ed efficace solo in quanto sia stata sottoposta all’attenzione del contraente attraverso una doppia sottoscrizione”.

 

(Altalex, 13 ottobre 2011. Nota di Raffaele Plenteda)

 

[1] Per una sintetica inquadratura della tematica, si veda anche R. Plenteda, La responsabilità dell’avvocato, pubblicata in www.plentedamaggiulli.it.

 

[2] Per un maggior approfondimento, si veda anche R. Plenteda, Assicurazione professionale: attenzione alle clausole claims made, nota a Tribunale Milano, Sentenza n. 3527/2010, pubblicata su Altalex.

 

Tribunale di Rovigo

Sezione distaccata di Adria

Sentenza 17 agosto 2011

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

D. C. ha convenuto in giudizio l’avv. F. P. al fine di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali asseritamente subiti a causa di un errore professionale; quest’ultimo ha chiesto il rigetto della domanda, contestando sia l’an, sia il quantum richiesto, convenendo in giudizio la “Ras Assicurazioni s.p.a.” e la “Fondiaria Sai Assicurazioni s.p.a.” per essere garantito in caso di soccombenza.

Entrambe le assicurazioni hanno eccepito la non operatività temporale della copertura assicurativa; la Ras ha anche eccepito l’intervenuta prescrizione dei diritti nascenti dal contratto, la Fondiaria Sai ha invocato l’applicazione dell’art. 1892, I comma c.c. e 1910, II comma c.c. oltre all’applicazione della franchigia e del massimale contrattualmente pattuito..

SULLA RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE DELL’AVV. F. P.

 

D. C. ha dedotto la responsabilità professionale dell’avv. F. P. per non aver ritualmente citato G. P. quale curatore del fallimento del socio occulto D. C., bensì G. P. quale curatore del fallimento della “B. V. s.n.c.”, con ciò determinando un difetto di legittimazione passiva del convenuto che ha impedito al Tribunale adito di decidere sulla fondatezza dell’opposizione.

La responsabilità professionale consegue alla colpevole condotta del legale che, errando nella propria attività, non consenta al cliente di ottenere il risultato richiesto ovvero il bene della vita assicurato dall’accoglimento della domanda giudiziale.

Pertanto, la responsabilità del convenuto presuppone l’accertamento giudiziale in questa sede del verosimile accoglimento dell’opposizione - fondata sulla non attribuibilità della qualifica di socio occulto della “B. V. s.n.c.” a D. C. - e della negligenza professionale nell’esercizio del dovere difensionale attribuito.

Appare palese che la citazione in giudizio della stessa persona fisica quale curatore del fallimento della “B. V. s.n.c.” in luogo del fallimento di D. C. costituisce un evidente e grave errore professionale perché ha impedito di instaurare correttamente il contraddittorio e al Tribunale adito di esaminare le ragioni di merito sottese.

Per altro, dati i brevissimi termini concessi normativamente per l’opposizione alla sentenza di fallimento, l’errata instaurazione del giudizio non avrebbe consentito una emendatio attraverso la reintroduzione del giudizio con nuova vocatio in ius del soggetto passivo correttamente individuato.

Per comodità espositiva e inconfutabilità delle argomentazioni giuridiche circa l’erroneità dell’instaurazione del giudizio si richiama per relationem la motivazione della sentenza n. 755/02 del Tribunale di Rovigo, pubblicata il 14 ottobre 2002 (doc. 3 del fascicolo di parte attrice).

Sul punto la difesa di parte convenuta ha eccepito che costituendosi il curatore del fallimento del socio D. C. e prendendo ritualmente posizione nel merito sulle argomentazioni giuridiche fondanti la negazione dei presupposti per la dichiarazione di fallimento per mancanza della qualità di socio occulto, avrebbe sanato il vizio di forma.

Tuttavia la disamina degli atti del giudizio di opposizione al fallimento non consente di addivenire alla prospettata sanatoria giuridica: l’avv. G. A., infatti, si è costituito ricevendo l’incarico dal curatore del fallimento di D. C., ma eccependo fin dalla comparsa il difetto di legittimazione passiva.

Se la costituzione del soggetto passivo correttamente individuato, potrebbe far ritenere sanato il profilo di nullità della vocatio in ius, in forza dell’insegnamento della Suprema Corte (cfr. ex multis Cass., 11 aprile 2011, n. 8177: “La nullità del ricorso proposto nei confronti di soggetto privo di legittimazione "ad causam" è sanabile, con effetto "ex tunc", dal momento della costituzione in giudizio del soggetto passivamente legittimato, impedendo detta costituzione sempre e comunque l'inammissibilità per tardività del gravame”), il vizio, rilevabile d’ufficio, di errata individuazione del destinatario della domanda avrebbe comunque impedito un accoglimento della domanda nel merito.

In altri termini, la domanda giudiziale può essere esaminata solo ed in quanto sia formulata nei confronti del soggetto destinatario astratto della domanda (c.d. legittimazione passiva processuale); ma l’attore opponente, nonostante la costituzione in giudizio del soggetto processualmente legittimato (curatore del fallimento di D. C.) ha concluso, in sede di precisazione delle domande, ancora una volta nei confronti del soggetto non legittimato passivamente (curatore del fallimento della “B. V. s.n.c.”), impedendo al Tribunale di far valere la sanatoria della nullità della vocatio in ius.

Quanto detto non avrebbe consentito una riforma della sentenza in appello.

Si osserva, in ogni caso, come, anche accedendo ad una tesi più estrema prospettata dalla difesa di F. P., in forza della quale la sanatoria si sarebbe estesa anche alle conclusioni assunte dall’opponente verso un soggetto diverso, dovrebbe rilevarsi come, in virtù del mandato ricevuto ed esteso ai successivi gradi di giudizio, l’avv. F. P., avrebbe dovuto impugnare la sentenza.

Tale omissione rappresenterebbe, in quest’ottica, comunque un errore professionale.

Sul punto eccepisce la parte convenuta l’impossibilità di proporre appello derivante dall’intervenuta revoca del mandato; tuttavia non vi è prova agli atti di quanto affermato. Non vi è prova né scritta né orale di alcuna comunicazione di revoca del mandato.

Al contrario, il teste G. P. ha dichiarato che il C. era sorpreso nell’apprendere che il processo di opposizione alla sentenza di fallimento si era concluso con esito negativo, così introducendo un indizio della non comunicazione degli esiti del contenzioso.

Posta la negligenza professionale del difensore, occorre altresì verificare giudizialmente la fondatezza nel merito dell’opposizione.

L’estensione del fallimento all’asserito socio occulto della “B. V. s.n.c.” è stata operata sul dato oggettivo che quest’ultimo aveva prestato garanzie a copertura dei debiti sociali ed era intervenuto direttamente con i creditori per individuare e concordare piani di rientro dei debiti maturati.

A fondamento della qualifica di socio occulto era stato richiamato il costante insegnamento giurisprudenziale in forza del quale “l'esistenza del rapporto sociale, anche ai fini della dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile a norma dell'art. 147 legge fallim., può risultare da indici rivelatori quali le fideiussioni e i finanziamenti in favore dell'imprenditore, allorquando essi, per la loro sistematicità e per ogni altro elemento concreto siano ricollegabili ad una costante opera di sostegno dell'attività di impresa, qualificabile come collaborazione di un socio al raggiungimento degli scopi sociali” (Cass., 14 febbraio 2007, n. 3271).

Tuttavia, si osserva, come la mera prestazione di garanzie sociali non sia sufficiente di per sé a dar prova del fatto che D. C. fosse un socio occulto della “B. V. s.n.c.”; al contrario, dalla disamina delle deposizioni testimoniali assunte sia nel presente giudizio, sia in quello civile di opposizione alla sentenza si fallimento, sia in quello penale, conclusosi con la assoluzione dall’accusa di bancarotta (con valenza di prova atipica), emerge come D. C. non avesse affatto avuto un ruolo sociale, bensì avesse cercato di preservare la situazione sociale al fine di proteggere il genero (A. R.), su richiesta della figlia (S. C.), socio della “B. V. s.n.c.”.

In altri termini, l’aver prestato garanzie, nel caso di specie, non è indice di una finalità gestoria della società, bensì il disperato tentativo di un padre di proteggere la figlia e il marito.

Il teste D. B. ha affermato di non aver mai ricevuto ordini da D. C., ma soltanto da G. B., dando atto della partecipazione del C. ad una sola riunione tra soci e dipendenti, ove ascoltava in “silenzio ed in disparte”; dello stesso tenore le dichiarazioni di G. R. e L. L. - rispettivamente direttore della filiale di Porto Viro della Banca Popolare Veneta e della filiale di Taglio di Po della Banca di Credito Cooperativo del Polesine - di A. R. e S. C..

Si rimanda anche alla lettura delle deposizioni del teste G. B. nella causa di opposizione alla sentenza di fallimento (doc. 11 del fascicolo di parte attrice), di G. P. (curatore del fallimento) nel processo penale (ove ammette di non aver avuto prova di una gestione sociale da parte del C.; cfr. p. 17 del verbale del 28 maggio 2001, doc. 17 del fascicolo di parte attrice) di C. C., maresciallo della finanza (cfr. p. 11 , 12 e 17 del verbale di udienza del 7 gennaio 2002 p.11 e 12).

Quanto affermato ha l’avallo delle argomentazioni logico-giuridiche della sentenza penale del 7 gennaio 2002 di assoluzione del C. dall’imputazione di bancarotta (doc. 5 del fascicolo di parte attrice); anche in questo caso, per sinteticità espositiva si richiama la motivazione per relationem, sentenza che, pur non potendo dispiegare effetti di giudicato nel presente giudizio, tuttavia corrobora gli elementi istruttori esaminati per fondare l’assunto attoreo, ovvero che D. C. non era un socio occulto della “B. V. s.n.c.”.

Ciò posto, si può ragionevolmente affermare che se il Tribunale avesse esaminato nel merito l’opposizione proposta da D. C. alla sentenza di fallimento in proprio quale socio occulto della “B. V. s.n.c.” l’opposizione sarebbe stata accolta e il fallimento revocato.

SULLA INDIVIDUAZIONE DEL DANNO RISARCIBILE

La parte attrice ha lamentato danni sia di natura patrimoniale sia di natura non patrimoniale. Innanzi tutto, deve affermarsi che dalla disamina dei documenti prodotti - approvazione dello stato passivo e piano di liquidazione dei creditori - è possibile evincere che in seguito all’esecuzione operata dal fallimento in proprio di D. C. è conseguito un danno patrimioniale pari a € 122.539,22 (di cui € 113.780,49 ricavati da un libretto di deposito vincolato, acquisito presso la Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo s.p.a., intestato a D. C. a garanzia della “CSA Abbigliamento s.r.l.” e € 8.758,73 sul conto di deposito n. 600/101559K intestato a D. C. e S. A.; cfr. doc. 33 ss. del fascicolo di parte attrice ove si evince che le spese legali sono rimaste a carico del fallimento).

Non provati sono, invece, gli ulteriori danni non patrimoniali. Il danno all’immagine è solo prospettato e non può dirsi provato in re ipsa. Se è vero che il fallimento costituisce un evento negativo per chi svolge attività imprenditoriale, non altrettanto può dirsi nella realtà sociale. Per altro, è noto come molti ed importanti imprenditori di successo siano anche “incappati” in eventi analoghi nel corso della loro carriera. Il fallimento non può neppure configurarsi come danno all’onore e al decoro della persona.

Il danno per perdita di chances non è nemmeno prospettato: è evidente che la dichiarazione di fallimento ha conseguenze civili sul piano della capacità di agire; tuttavia se a tale limitazione non consegue in concreto la perdita di concrete prospettive economiche il danno potenziale non si verifica. Non può, dunque, operarsi un’equazione fallimento-perdita di chances; era onere della parte attrice evidenziare e provare che se il C. non fosse fallito avrebbe iniziato determinate operazioni commerciali che si sarebbero trasformate in opportunità economiche.

La correttezza del sillogismo giuridico è provata dal fatto che ragionando solo in astratto si potrebbe addirittura immaginare che, data la congiuntura economica (fatto notorio), l’eventuale nuova iniziativa economica si sarebbe potuta trasformare per l’attore in un danno rilevante, risolvendosi il fallimento in un evento favorevole. Il danno alla salute paventato non è stato provato: la documentazione medica non dimostra il nesso di causa tra i problemi cardiaci e la dichiarazione di fallimento. il Dott. F. ha affermato che i problemi di natura sessuale non derivavano da una situazione di stress e ansia, anche se, ovviamente, ciò ha aggravato la situazione.

Anzi ha affermato che i problemi di ansia non gli erano neppure stati evidenziati dal paziente. Il dott. B. ha asserito di aver riscontrato una situazione di ipertensione già nel 2001: cioè già durante il giudizio di opposizione alla sentenza di fallimento si era verificata la situazione di ansia e stress, sicché deve escludersi un collegamento causale tra la condotta negligente del professionista, che ha comportato la reiezione dell’opposizione, e l’evento, posto che l’evento si era già verificato prima che il giudizio si fosse concluso (e l’errore professionale manifestato).

1. CENNI SUL CONTRATTO DI ASSICURAZIONE (LINEE GENERALI INTERPRETATIVE) E CONSEGUENZE APPLICATIVE

La prassi assicurativa delle polizze stipulate da chi svolge una professione intellettuale ha relegato il contenuto del primo comma dell’art. 1917 c.c. (c.d. loss occurance o “ad insorgenza del danno”)ad una ipotesi meramente marginale, essendo invalso l’uso dell’inserimento della clausola c.d. “claims made” (o “a richiesta fatta”); sul punto è sufficiente esaminare il testo della polizza R.C. professionale elaborata dall’ANIA.

In base alla prima, vi è garanzia assicurativa per tutti i fatti e comportamenti colposi del professionista posti in essere durante la vigenza del contratto, anche se l’evento dannoso conseguente e la richiesta risarcitoria si manifestano successivamente alla scadenza contrattuale (entro il termine prescrizionale del diritto del danneggiato). In base alla seconda, vi è garanzia assicurativa per i sinistri denunciati durante la vigenza del contratto, anche se avvenuti in un periodo antecedente (nel termine ordinario di prescrizione), salvo l’introduzione di apposite clausole (c.d. sunset clause o “clausole del tramonto” oppure tail-coverage o “copertura della coda”) che sono assai costose. Ciò posto, si riscontra una difformità interpretativa giurisprudenziale sulla natura giuridica delle c.d. claims made. In una sentenza il Tribunale di Bologna (2 ottobre 2002, n. 3318) ne ha negato la natura aleatoria e la compatibilità con la causa assicurativa; mentre successivamente la Suprema Corte (Cass., 15 marzo 2005, n. 5624) ne ha affermato la piena legittimità, quale contratto atipico, salvo prospettare la possibile natura vessatoria nella sua formulazione, perché limitatrice della responsabilità, pur demandando al giudice di merito la valutazione caso per caso. La tesi è stata confermata e sviluppata nelle sue linee teoriche recentemente dal tribunale di Milano (sezione V, 18 marzo 2010, n. 3527). Nella decisione richiamata, si nega la atipicità del contratto assicurativo stipulato con la clausola claims made pura e la natura vessatoria della stessa: in effetti ciò che cambia rispetto allo schema di cui all’art. 1917 c.c. è solo la prospettiva temporale. Nella applicazione di tale disposizione si garantisce per il futuro la condotta negligente del professionista; nell’applicazione della claims made si garantisce anche per il passato. La disamina letterale della clausola introdotta nell’art. 2 delle condizioni particolari del contratto di assicurazione stipulato con la RAS (periodo di validità 14 luglio 1989-14 gennaio 2000) consente di chiarire il concetto, apparendo (ad una prima e superficiale disamina) essa una clausola claims made pura: “l’assicurazione vale per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta all’Assicurato nel corso del periodo di efficacia del contratto, qualunque sia l’epoca in cui è stato commesso il fatto che ha dato origine alla richiesta di risarcimento”. Se è vero che tutte le richieste di risarcimento formulate dopo il 14 gennaio 2000 per fatti commessi nel decennio precedente non sono coperti dalla garanzia assicurativa - con modifica in pejus rispetto a quanto previsto dall’art. 1917 c.c. - è altresì vero che tutte le richieste di risarcimento presentate fino al 14 gennaio 2000, anche se attinenti a condotte colpose del professionista antecedenti ad un decennio dal 1989, erano garantite - con modifica in melius rispetto alla disciplina di cui all’art. 1917 c.c.. Ne deriva che per scelta contrattuale - legata alla maggior prevedibilità del danno durante la vigenza contrattuale e più corretta determinazione del premio assicurativo - si è spostato il periodo di copertura professionale, ma non la garanzia. Non vi sarebbe, pertanto, limitazione della responsabilità, ma modifica negoziale della durata oggetto del contratto e sembrerebbe esclusa la natura vessatoria della clausola (“il contratto di assicurazione della responsabilità civile contenente claims made è tipico.

Questa statuizione, determinata dalla deroga (consentita) all’art. 1917 c.c., esclude in radice che possa ravvisarsi la eccepita nullità della clausola e dell’intero contratto. E’ di tutta evidenza che, di regola, può ravvisarsi un’equivalenza tra le due ipotesi in esame nella valutazione del rischio assicurato e nel rapporto sinallagmatico tra le parti; talora potrebbe essere addirittura vantaggioso per l’assicurato stipulare la polizza contenente la clausola claims made”). Quanto detto presuppone l’impiego di una clausola claims made pura, che cioè garantisce le condotte negligenti compiute prima della data di stipulazione del contratto assicurativo; nel caso di c.d. claims made spurie, ove tale estensione manchi è, invece, evidente come si determini una vessatorietà della clausola dovuta alla limitazione della responsabilità dell’assicuratore.

Ciò avviene, per esempio, quando si limita a due o tre anni precedenti la stipulazione del contratto assicurativo la garanzia per i fatti denunciati in vigenza del contratto o addirittura per i soli fatti verificatisi durante il periodo di efficacia del contratto. In altri termini, se la garanzia copre solo le condotte negligenti del professionista poste in essere durante la vigenza del contratto e denunciate nel medesimo periodo si deroga alla durata legale di copertura contrattuale (il termine prescrizionale decennale) e si limita, dunque, il rischio e la responsabilità dell’assicuratore. In tal caso, ai sensi dell’art. 1341 c.c., il contratto necessita della doppia sottoscrizione. Tornando alla clausola contrattuale di cui al contratto assicurativo stipulato con la “Ras Assicurazioni”, e richiamato l’insegnamento sopra citato della Suprema Corte, in virtù del quale occorre effettuare una disamina caso per caso ad opera del Giudice, onde verificare la vessatorietà o meno della clausola, si deve precisare come le astratte e generiche conclusioni sopra riportate non possono essere applicate nel caso di specie. Infatti, a ben vedere, la clausola in oggetto, pur avendone la forma, non ha anche la sostanza di una claims made clause pura: l’avv. F. P. risulta, infatti, iscritto all’albo degli avvocati dal 19 aprile 1991 e, dunque, considerata la durata massima di efficacia del patrocinio (5 anni), in nessun caso si giungerebbe al decennio antecedente l’entrata in vigore della polizza assicurativa di copertura idonea a configurare la clausola nei termini puri riportati. In realtà, la clausola era efficace solo per il futuro, visto l’inizio dell’attività professionale del legale, ma limitava la garanzia assicurativa ai fatti denunciati in vigenza del contratto: trattandosi, dunque, di claims made spuria deve accertarsi la sua vessatorietà. Data la mancata doppia sottoscrizione la clausola è inefficace.

Rientra in questo tipo di clausola anche l’art. 16 delle condizioni generali del contratto stipulato dall’avv. F. P. con la Fondiaria Sai con decorrenza dal 26 maggio 2004, visto il tenore letterale: “la garanzia vale per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta all’Assicurato nel corso del periodo di efficacia del contratto a condizione che tali richieste siano conseguenti a comportamenti colposi posti in essere nello stesso periodo”. Data l’assenza della doppia sottoscrizione la clausola vessatoria deve, anche in questo caso, essere dichiarata inefficace. Occorre, quindi, verificare le conseguenze della accertata inefficacia delle clausole. Astrattamente sono giuridicamente ammissibili quantomeno due tesi: la sostituzione ex art. 1419 c.c., con applicazione dell’art. 1917 c.c., oppure la dichiarazione di nullità della clausola soltanto nella parte vessatoria ed estensione della claims made al rapporto per i fatti verificatisi nel decennio precedente.

La prima è stata adottata dal Tribunale di Milano con la sentenza n. 5235/09; la seconda con la citata sentenza n. 3527/10. Entrambe non sembrano condivisibili. La seconda poiché l’eliminazione giuridica di una sola parte della clausola finirebbe per determinare una ricostruzione giuridica, per così dire, spuria, ove la volontà contrattuale è sostituita da una pseudo-volontà giudiziale.

La prima perché non è corretto far ricorso all’art. 1419, II comma c.c., poiché la vessatorietà di una clausola priva della doppia sottoscrizione non ne determina la nullità, bensì la inefficacia. L’art. 1419, II comma c.c. prevede uno schema di sostituzione fondato proprio sulla nullità della clausola per violazione di norme imperative, integrata dalla disciplina legale inderogabile; la vessatorietà della clausola, invece, non è un parametro di violazione di una disposizione imperativa, quanto una ammissibile limitazione contrattuale gravante sulla parte debole che è valida ed efficace solo in quanto sia stata sottoposta all’attenzione del contraente attraverso una doppia sottoscrizione.

Ne consegue che, in assenza della doppia sottoscrizione, la clausola è inefficace e deve essere sostituita con la disciplina legale prevista per l’istituto negoziale oggetto di accordo. Nel caso di specie la disciplina è dettata dall’art. 1917, I comma c.c., il cui contenuto non imperativo, ai sensi dell’art. 1932 c.c., non è preclusivo, come esplicitato, della sostituzione legale. In relazione all’eccezione di prescrizione dell’azione di garanzia formulata dalla “Ras Assicurazioni s.p.a.”, ai sensi dell’art. 2952, III comma c.c., si osserva che è dato pacifico tra le parti che l’avv. F. P. abbia ricevuto la richiesta risarcitoria il 4 novembre 2004 (cfr. p. 5 della comparsa di costituzione e risposta della difesa RAS) e vi è prova che la richiesta alla compagnia di Assicurazione è avvenuta il 4 novembre 2005 (cfr. doc. 11 con allegata cartolina di invio, del fascicolo di parte convenuta).

Si ricorda che in subiecta materia la Corte di Cassazione ha affermato l’applicabilità del noto principio - introdotto dalla Corte Costituzionale - della scissione soggettiva degli effetti della notificazione: “ai fini della tempestività dell'interruzione della prescrizione ai sensi dell'art. 2943, primo comma, cod. civ., in applicazione del principio della scissione del momento perfezionativo della notificazione per il richiedente e per il destinatario, occorre aver riguardo non già al momento in cui l'atto con il quale si inizia un giudizio viene consegnato al destinatario, bensì a quello antecedente in cui esso é stato affidato all'ufficiale giudiziario che lo ha poi notificato (nella specie a mezzo del servizio postale), posto che l'esigenza che la parte non subisca le conseguenze negative di accadimenti sottratti al proprio potere d'impulso sussiste non solo in relazione agli effetti processuali, ma anche a quelli sostanziali dell'atto notificato” (Cass., 19 agosto 2009, n. 18399): ne deriva che l’anno non era decorso allorché la missiva di richiesta di copertura assicurativa è stata inviata.

La responsabilità contrattuale della Ras e la non copertura assicurativa della polizza stipulata dalla Fondiaria Sai, in virtù del periodo temporale di riferimento della condotta negligente dell’assicurato, rendono superflua la disamina degli ulteriori profili di doglianza avanzati dalla difesa della terza chiamata. Sull’eccezione di nullità dell’atto di citazione sarà sufficiente rilevare come le parti abbiano potuto ampiamente prendere posizione su tutte le domande come formulate per evidenziarne i profili di infondatezza. Le spese di lite, così come liquidate in dispositivo e parametrate al danno accertato, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Giudice Unico del Tribunale di Rovigo – sez. distaccata di Adria – nella persona del dott. Mauro Martinelli, ogni ulteriore domanda eccezione, deduzione o istanza disattesa, definitivamente pronunciando nella causa n. 251/2006 R.G., così provvede:

1. CONDANNA F. P. al pagamento a D. C. di € € 122.539,22, oltre interessi legali dalla data di costituzione in mora al saldo effettivo, a titolo di danno patrimoniale subito a causa della negligente condotta professionale nell’espletamento del mandato professionale di opposizione alla sentenza di fallimento di D. C., quale socio occulto della “B. V. s.n.c.”, conclusosi con la sentenza del Tribunale di Rovigo n. 755/2002;

2. RESPINGE le ulteriori richieste risarcitorie formulate dall’attore per asseriti danni non patrimoniali;

3. RESPINGE l’eccezione di prescrizione formulata dalla “Ras Assicurazioni s.p.a.”;

4. CONDANNA la “Ras Assicurazioni s.p.a.”, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla rifusione all’avv. F. P. di quanto versato a D. C. in virtù di quanto disposto ai capi A) ed E) della presente sentenza in forza del contratto di assicurazione stipulato tra le parti e previa dichiarazione di inefficacia della clausola di cui art. 2 delle condizioni particolari del contratto di assicurazione perché vessatoria e priva di doppia sottoscrizione, sostituita ex art. 1917, I comma c.c.;

5. RESPINGE la domanda di garanzia formulata da F. P. nei confronti della “Fondiaria SAI Assicurazioni s.p.a.”;

6. CONDANNA F. P. rifusione delle spese di lite sostenute da D. C., quantificate in complessivi € 924,35 per spese, € 2.404,00 per diritti e € 5.000,00 per onorari, oltre accessori come per legge;

7. CONDANNA F. P. alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla “Fondiaria Assicurazioni s.p.a.” quantificate in € 2.400,00 per diritti e € 4.200,00 per onorari, oltre accessori come per legge;

8. CONDANNA la “Ras Assicurazioni s.p.a.”, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla rifusione all’avv. F. P. delle spese di lite, quantificate in € 2.400,00 per diritti e € 5.000,00 per onorari, oltre accessori come per legge;

9. RESPINGE nel resto. Adria, 17 agosto 2011. IL GIUDICE Dott. Mauro Martinelli


da altalex.cpm

Sabato, 15 Ottobre 2011
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