La
responsabilità del conducente di uno scuolabus non si limita al
trasporto dei bambini ma si estende anche all’attraversamento della strada
tutte le volte che siano assenti i genitori o coloro che normalmente accompagnano
i bambini. Sulla base di questo principio la Terza Sezione Civile della
Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un Comune del Nord Italia
al risarcimento dei danni in favore della famiglia di una bambina che
era stata investita da una automobile dopo essere scesa dallo scuolabus
comunale mentre attraversava la strada per andare a casa. In quella occasione,
il conducente del bus non si era preoccupato di accompagnare la bambina
che così aveva dovuto attraversare la strada da sola, e per questo
i genitori di lei lo avevano ritenuto responsabile. Il Tribunale di primo
grado aveva respinto le richieste dei genitori della bambina, accolte
invece in appello. La Suprema Corte ha invece confermato la condanna del
Comune, affermando che, "nel caso di accompagnamento di studenti
minorenni a mezzo di scuolabus, il fatto che la conduzione del minore
dalla fermata del veicolo alla propria abitazione competa ai genitori
o ai soggetti da loro incaricati non esime gli addetti al servizio di
accompagnamento, quando alla fermata dello scuolabus non sia presente
nessuno dei soggetti predetti, dal dovere di adottare tutte le necessarie
cautele suggerite dalla ordinaria prudenza in relazione alle specifiche
circostanze di tempo e di luogo, tra le quali va inclusa quella di curare
l’assistenza del minore nell’attraversamento della strada".
(18 maggio 2004)
Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, sentenza n.4359/2004
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA
SEZIONE CIVILE
SENTENZA
Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 9 luglio
1988 O.R. e R.T., nella loro qualità di genitori e legali rappresentanti
della minore K. R. (nata il 23 luglio 1975), convenivano davanti al
Tribunale di Pordenone il Comune di San Vito al Tagliamento e B.A.,
dipendente comunale, chiedendone la condanna solidale al pagamento della
somma di lire 7.000.000 (oltre rivalutazione ed interessi) dovuta quale
risarcimento del danno (patrimoniale, biologico e morale) patito dalla
figlia a seguito dell’incidente stradale avvenuto il 19 aprile
1986, allorquando ella fatta scendere, al previsto punto di fermata,
dal minibus utilizzato per il servizio di trasporto dei minori della
scuola elementare, nonostante ivi non ci fosse nessuno ad attenderla
era stata travolta, nell’attraversamento della strada, da una autovettura,
riportando plurime lesioni personali dalle quali erano derivati una
inabilità di 40 giorni e postumi permanenti nell’ordine
di tre punti di invalidità.
Costituitisi i due convenuti, il Tribunale adito, con la sentenza depositata
il 6 agosto 1996, rigettava la domanda.
K. R. (divenuta nel frattempo maggiorenne) proponeva appello. Costituitisi
i due appellati con separate comparse, la Corte di appello di Trieste,
con la sentenza depositata il 3 marzo 2000, riformava la sentenza di
primo grado, ravvisando la responsabilità del Comune (gestore
del servizio di trasporto dei minori) e della A. (accompagnatrice incaricata)
per la "mancata assistenza alla R. K. nella fase di attraversamento
della via Murano", ove il minibus si era fermato per fare discendere
la R., la quale abitava all’inizio diva Tolmezzo, posta sul lato
Opposto di via Murano. In ordine all’entità dei danni, la
Corte di appello liquidava alla R. il solo danno biologico per l’invalidità
temporanea totale di 30 giorni e per i postumi permanenti (nell’ordine
del 2-3%), escludendo la sussistenza del danno patrimoniale e del danno
morale.
Avverso la sentenza della Corte di appello il Comune di San Vito al
Tagliamento ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi,
a cui K. R. ha resistito con controricorso e ricorso incidentale, notificato
anche, il 2 novembre 2000, a B.A., la quale non ha svolto attività
difensiva davanti a questa Corte. La ricorrente incidentale ha presentato
memoria.Motivi della decisione 1. Il ricorso principale ed ìl
ricorso incidentale vanno riuniti, essendo stati proposti avverso la
medesima sentenza (articolo 335 Cpc).
2. È logicamente prioritario l’esame del ricorso principale
del Comune, con i cui due motivi si contesta la responsabilità
del Comune stesso.
3. Con il primo motivo il ricorrente principale, deducendo "violazione
di legge ed omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo
della controversia", sostiene che la responsabilità dell’autista
e dell’assistente in materia di trasporto di bambini con il c.d.
scuolabus sussista soltanto per le fasi del trasporto, ivi comprese
quelle preparatorie ed accessorie di salita e discesa dal veicolo, ma
non anche per quelle situazioni di pericolo che si determinino nelle
fasi successive al trasporto, e quindi nell’attraversamento della
strada da parte del minore dopo che egli sia disceso dallo scuolabus
(salvo che siano stati assunti impegni ulteriori, che non vi sono stati
nel caso di specie). A suo favore il ricorrente fa richiamo a due sentenze
di questa Corte in sede penale (10201/87 e 9212/88).
Soggiunge che la sentenza della Cassazione civile (13125/97), che ha
affermato il principio opposto e che è stata richiamata dalla
pronunzia impugnata, è stata male interpretata dalla Corte di
appello, la quale non ha indicato "le specifiche circostanze di
tempo e di luogo che avrebbero dovuto suggerite all’A. di assistere
la bambina nell’attraversamento della strada", tenuto conto
delle differenze di fatto tra la fattispecie decisa dalla sentenza 13125/97
ed il presente caso.
4. Il motivo di ricorso è infondato.
Il ricorrente richiama pertinentemente due sentenze della Cassazione
penale (12201/87, Ciccocioppo, rv 176742 e 9212/88, Valerio, rv 179154)
che hanno limitato la responsabilità del conducente di uno scuolabus
adibito al trasporto di bambini alle fasi del trasporto (ivi comprese
quelle preparatorie ed accessorie di salita e discesa dal veicolo),
escludendo quindi che tale responsabilità possa estendersi anche
all’attraversamento della strada da parte del minore sceso dal
veicolo senza che vi sia qualcuno pronto a prenderlo in consegna. Ma
questo orientamento della giurisprudenza penale è stato già
motivatamente disatteso da questa Sezione con le sentenze 13125/97 (sulla
quale sì è fondata la pronunzia impugnata) e 2380/02.
Il principio affermato in sede civile, e condiviso da questo Collegio,
è che, nel caso di accompagnamento di studenti minorenni a mezzo
di scuolabus, il fatto che la conduzione del minore dalla fermata del
veicolo alla propria abitazione competa ai genitori o ai soggetti da
loro incaricati non esime gli addetti al servizio di accompagnamento,
quando alla fermata dello scuolabus non sia presente nessuno dei soggetti
predetti, dal dovere di adottare tutte le necessarie cautele suggerite
dalla ordinaria prudenza in relazione alle specifiche circostanze di
tempo e di luogo, tra le quali va inclusa quella di curare l’assistenza
del minore nell’attraversamento della strada.
La sentenza impugnata ha ritenuto che circostanza tale da rendere doverosa
l’assistenza della minore R. nell’attraversamento della strada
che ella doveva compiere una volta scesa dal veicolo per recarsi alla
sua abitazione (che si trovava dall’altro lato della strada) fosse,
nella occasionale assenza di una persona incaricata di prenderla in
consegna, l’età della stessa, inferiore ad 11 anni, e tale
quindi da non potere attraversare da sola la strada, senza "pericolo"
per la sua "incolumità fisica".
Non può, quindi, ritenersi che la sentenza impugnata abbia interpretato
il richiamato precedente di questa Sezione della Corte in modo errato
ovvero limitandosi alla sola massima, tenuto conto che il caso precedentemente
giudicato non presentava sostanziali differenze dalla fattispecie qui
decisa. Non assume rilievo, invero, la differenza di età del
minore (che, nel precedente caso, aveva sette anni), perché il
giudice del merito ha ritenuto che anche per il minore di poco meno
di anni undici era pericoloso l’attraversamento della strada; né
è rilevante il fatto, segnalato nel ricorso, che, nel precedente
caso, il minore fu investito da un autoveicolo che aveva superato lo
scuolabus, mentre nel presente caso l’investimento è stato
causato da un autoveicolo che procede a in senso opposto, perché
la situazione di pericolo (che si è addebitata agli addetti al
servizio di scuolabus di non avere evitato) è stata identificata
nell’attraversamento della strada da parte del minore lasciato
a se stesso, non ostante l’età inidonea a tale condotta.
5. Con il secondo motivo il ricorrente principale, deducendo "omessa
ed insufficiente motivazione", censura la ricostruzione del fatto
compiuta dalla sentenza impugnata, contestando che "su via Murano
vi fosse la piazzola" (ove lo scuolabus si è fermato per
fare discendere la R.) e che "l’attraversamento (scil: della
strada da parte della minore) sia avvenuto quando ancora l’autobus
era fermo o partito da poco".
Il motivo di ricorso è infondato.
La sentenza impugnata ha ricostruito il fatto sulla base della relazione
dei carabinieri di San Vito al Tagliamento, accertando motivatamente
che la minore discese dallo scuolabus "in corrispondenza della
fermata sita nella via Murano, sul lato opposto a quello dove sbocca
la via Tolmezzo (al civico n. 2 della quale si trova la sua abitazione)"
e che ella attraversò "la carreggiata per portarsi sul lato
opposto" della via Murano, quando fu investita dall’autovettura
di Vegnaduzzo Enrico, il quale transitava su via Murano ed era "giunto
all’altezza della via Tolmezzo (sita sulla sua destra)".
Non rileva, poi, se l’autobus era o meno fermo o partito da poco
quando è avvenuto l’investimento della R., dato che la responsabilità
dei convenuti è stata affermata per avere lasciato senza assistenza
la minore R. discesa dallo scuolabus, la quale doveva attraversare la
strada (via Murano) per andare alla propria abitazione.
6. Ritenuto infondato il ricorso principale, con cui si è contestata
la responsabilità del Comune, occorre esaminare il ricorso incidentale
proposto dalla R. con cui si è censurato il diniego del danno
morale. La ricorrente osserva che è stato violato l’articolo
2059 Cc e che manca la motivazione della sentenza impugnata.
Il motivo di ricorso è fondato.
In ordine al danno morale la Corte di appello si è limitata ad
osservare che "non si ravvisano i presupposti richiesti dall’articolo
2059 c.c. [1] per la liquidazione del danno morale". Tale motivazione
è generica, perché non precisa quali sono i presupposti
ritenuti assenti dal giudice del merito, onde essa si riduce ad una
mera formula di stile inidonea ad esprimere la ratio decidendi sul capo
della domanda relativo al risarcimento del danno morale subito dalla
R. per il reato di lesioni personali colpose da lei sofferte.
L’esistenza del reato causativo del danno non patrimoniale può
essere accertata, incidenter tantum, anche dal giudice civile, onde
non è ostativo al suo risarcimento il fatto che non vi sia stato
un processo penale a carico dei dipendenti o incaricati del Comune convenuto,
responsabili del fatto (Cassazione 2380/02). Va, inoltre, tenuto presente
che, come ha recentemente affermato la Corte costituzionale 233/03,
l’interpretazione conforme a Costituzione dell’articolo 2059
c.c. esige che il riferimento al reato contenuto nell’articolo
185 Cp (che è uno dei "casi determinati dalla legge"
in cui trova applicazione la risarcibilità dei danni non patrimoniali
prevista dal citato articolo 2059) non sia limitata alla "ricorrenza
di una concreta fattispecie di reato", ma, più in generale,
comprenda "una fattispecie corrispondente nella sua oggettività
all’astratta previsione di una figura di reato", "con
la conseguente possibilità che ai fini civili la responsabilità
sia ritenuta per effetto di una presunzione di legge".
7. In conclusione, mentre il ricorso principale va respinto, va accolto
il ricorso incidentale, con la conseguente cassazione della sentenza
impugnata nella parte in cui ha negato la sussistenza del danno non
patrimoniale. La causa va, perciò, rinviata ad altra sezione
della Corte di appello di Trieste, che giudicherà nuovamente
sulla domanda dell’appellante R. di risarcimento del danno non
patrimoniale conformandosi al principio di diritto espresso nel precedente
§ 6.
8. Il Comune, soccombente, va condannato a pagare alla ricorrente R.
le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi rigetta il ricorso principale ed accoglie
il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al
ricorso accolto e rinvia la causa ad altra Sezione della Corte di appello
di Trieste. Condanna il Comune di san Vito al Tagliamento a pagare a
K. R. le spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi
Euro 1.100,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre le spese generali
e gli
accessori di legge.
Così deciso in Roma il 12 novembre 2003.
Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2004.
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