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La "tassa" di parcheggio : profili rilevanti sotto il profilo della contabilità pubblica di Angelo Canale, Vice Procuratore Generale della Corte dei conti

La "tassa" di parcheggio : profili rilevanti sotto il profilo della contabilità pubblica
di Angelo Canale, Vice Procuratore Generale della Corte dei conti

 


Una recente iniziativa della Procura regionale della Corte dei conti per il Lazio offre l’occasione per portare l’attenzione su due temi, entrambi di particolare attualità ed interessanti sotto diversi profili.

L’iniziativa in questione è consistita nella istanza, ai sensi dell’art. 45 del T.U. Corte dei conti, approvato con R.D. 12 luglio 1934 n. 1214, avanzata alla competente sezione giurisdizionale, per la resa del conto delle somme riscosse da una società per azioni a capitale pubblico incaricata da un comune della gestione della sosta a pagamento.

Va detto che la sezione giurisdizionale ha accolto l’istanza ed ha fissato alla società, considerata nella circostanza allo stesso modo di un agente contabile di fatto, un termine per la presentazione dei conti (riscossioni, spese) relativi alla gestione della sosta .

L’iniziativa, come si è detto, consente di affrontare due temi di indubbio interesse.

Il primo concerne la sottoposizione di una S.p.A. pubblica alla speciale giurisdizione della Corte dei conti in materia di "conti"; ed infatti è stato attivato nei confronti della società il "giudizio di conto" previsto dall’art. 74 della legge di contabilità generale dello Stato.

Per la verità il fatto che un soggetto di diritto privato sia sottoposto a giudizio di conto non è affatto una novità (è noto che il rapporto contabile pubblico può derivare anche da una concessione amministrativa o da un appalto); qui la novità sta nel fatto che la società è una S.p.A. interamente a capitale pubblico locale, la quale per un verso è soggetto di diritto privato (ed in quanto tale ha autonoma capacità giuridica e quindi autonoma legittimazione processuale nel giudizio di conto), per altro verso è in uno stretto rapporto funzionale con l’ente locale, sul quale riversa gli effetti finanziari della propria attività.

Quest’ultima circostanza pone inediti problemi in caso di condanna del contabile.

Infatti, trattandosi di una società le cui azioni sono interamente di proprietà dell’ente locale, non c’è dubbio che la condanna finisce per ripercuotersi sul comune/azionista, che però è anche il soggetto danneggiato nell’interesse del quale è pronunciata la condanna.

La questione indubbiamente ingenera perplessità, che tuttavia possono essere superate alla luce dei principi contenuti in una recente sentenza della stessa sezione giurisdizionale della Corte dei conti per il Lazio (per un commento sulla sentenza, ved. su Diritto&diritti, in http://www.diritto,it/ , materiali di diritto amministrativo, dello stesso autore).

La Corte, nella menzionata sentenza, ha pronunciato la condanna di alcuni sindaci ai quali ha inputato di non aver tempestivamente esercitato l’azione civile di responsabilità ex art. 2393 c.c. nei confronti degli amministratori di una S.p.A., quest’ultima azione essendo stata considerata obbligatoria a motivo del carattere pubblico ed indisponibile dell’interesse alla tutela dell’integrità del patrimonio comunale : ciò significa che in caso di condanna della S.p.A./agente contabile in esito a giudizio di conto, gli amministratori comunali avranno l’obbligo di esercitare l’azione di responsabilità (che in realtà è un’azione di rivalsa) nei confronti degli amministratori della società.

Qualora gli amministratori comunali non esercitassero tale azione a tutela dell’integrità del patrimonio dell’ente locale, essi si esporrebbero all’azione di responsabilità amministrativa, allo stesso modo e con gli stessi effetti di cui alla sentenza appena menzionata.

Non può non ammettersi che una siffatta procedura è quanto meno lunga, non agevole e tortuosa; meglio sarebbe direttamente chiamare a rendere il conto della gestione non già la società per azioni, come persona giuridica, ma le persone fisiche degli amministratori o dei funzionari della società specificamente incaricati del "maneggio" delle somme di pertinenza pubblica (sul problema della responsabilità degli amministratori delle società per azioni pubbliche, ved. su Diritto&diritti, in http://www.diritto.it/ , materiali di diritto amministrativo, di questo stesso autore).

Per far ciò bisogna tuttavia prima argomentare sulla natura di "organo" del comune delle società per azioni a capitale pubblico e quindi sulla sussistenza di un diretto rapporto contabile tra i funzionari (della S.p.A.) preposti al maneggio del denaro pubblico e l’ente locale danneggiato, superando le contrarie opinioni che hanno causa nella stessa natura (privatistica) di società per azioni del "gestore".

Un rapporto contabile pubblico allo stato è invece pacificamente ammesso tra la società per azioni (incaricata anche in via di fatto della riscossione di una entrata di diritto pubblico) ed il comune , tanto da determinare la legittimazione passiva della società sia nel giudizio di conto , sia, e a maggior ragione, in un eventuale giudizio di responsabilità amministrativa (per i danni non conseguenti al maneggio di denaro ma arrecati al comune in occasione della esecuzione di attività e servizi svolti per conto dell’ente locale).

Il secondo tema di particolare interesse concerne la stessa esistenza di una "tassa" di parcheggio ovvero di entrata di diritto pubblico dipendente dalla gestione della sosta a pagamento.

A questo proposito si impongono alcune riflessioni sulla ragione che ha determinato la procura regionale a promuovere un giudizio di conto nei confronti della S.p.A. incaricata della gestione del servizio della sosta a pagamento : la ragione fondamentale è che la procura regionale ha ritenuto che le somme pagate dai cittadini per poter sostare nelle aree appositamente delimitate siano una imposizione patrimoniale, un "tributo", mentre la società di gestione riteneva che tali somme costituissero proventi di diritto privato, cioè il corrispettivo dovuto dal cittadino per fruire del "servizio" (!) della sosta.

Alla detta conclusione la procura regionale è giunta attraverso il seguente ragionamento sulla natura dei "pagamenti" effettuati dai cittadini per poter sostare nelle zone sottoposte al regime della sosta a pagamento e non custodite.

Precisato che, sino alla c.d. Legge Tognoli (L. 24 marzo 1989, n. 122), la P.A. non poteva pretendere alcunchè per la semplice occupazione del suolo pubblico da parte di un veicolo, l’imposizione di un pagamento progressivo secondo la durata della sosta era stata ritenuta legittima, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, solo in caso di parcheggi con custodia (Cass. 3 dicembre 1990, n. 11568, Cass. 13 gennaio 1988, n. 179, Cass. 9 agosto 1985, n. 4420). Nel caso di parcheggio incustodito, invece, mancando un rapporto privatistico (scambio di prestazioni), l’onere economico restava privo di causa ed un eventuale pagamento poteva dar luogo alla ripetizione dell’indebito secondo l’art. 2033 del c.c.

Solo con la Legge Tognoli, come si è detto, è stata autorizzata l’esazione di una somma a prescindere dalla custodia. Fu infatti apportata una integrazione (V comma dell’art.4) al vecchio codice della circolazione stradale del 1959, consentendo ai comuni di stabilire, con deliberazione del Consiglio comunale, aree destinate al parcheggio sulle quali la sosta sarebbe stata subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante dispositivi di controllo di durata della sosta, anche senza custodia del veicolo. La medesima facoltà è stata poi confermata con la legge delega n. 190 del 13 giugno 1991 e quindi definitivamente consacrata negli artt. 7, numero 1 lettera "f" e 6, n.4, del nuovo C.d.S. del 1992.

Dal quadro normativo surriferito deriva che il pagamento delle sosta nei parcheggi pubblici privi di custodia costituisce una "imposizione" "ex lege", una prestazione patrimoniale (che giuridicamente potrebbe essere considerata una "tassa", atteso il carattere pubblicistico ed autoritativo della imposizione, ma che sicuramente non è un "corrispettivo") che ha nella legge e solo nella legge la propria fonte autorizzatoria e che è finalizzata non già alla retribuzione di un servizio (difettando il rapporto sinallagmatico tra la società di gestione della sosta e il cittadino) ma alla tutela dell’interesse generale alla circolazione stradale e alla sua sicurezza; a tacere del fatto, in realtà non meno decisivo, che per legge le somme in tal modo riscosse sono destinate a pubbliche finalità (realizzazione parcheggi pubblici, etc.).

Anche in dottrina le opinioni sembrano convergere sulla natura di "tassa" delle somme riscosse a titolo di pagamento della sosta (ved. Giorgio Gallone, "Il parcheggio dei veicoli" Giuffrè 1999, che ha condotta una interessante analisi della questione; ved. anche Federico Pica, in "Manuale della finanza locale" u.e.).

E’ stato infatti scritto che la nozione di tassa si applica perfettamente alla "tassa di parcheggio" : vi è luogo alla applicazione di un tributo di tal genere se una attività in via di principio libera (come il parcheggiare la propria auto è attività in via di principio libera) viene sottoposta a divieto e se questo divieto viene poi rimosso attraverso una procedura che implica, da un lato, taluni adempimenti e, dall’altro il pagamento di una somma (Pica, opera cit.).

Altri (Gallone, op.cit.), concordando sulla definizione di "tassa", hanno affermato che escluso che possa instaurarsi un rapporto privatistico tra il comune e l’utente della strada qualora il parcheggio sia senza custodia, si è in presenza di una attività autoritativa dell’ente territoriale che realizza il depauperamento patrimoniale del privato; in sostanza una imposizione patrimoniale.

Dal canto suo la giurisprudenza ha definito il pagamento in questione in vari modi, qualificandolo di volta in volta come tributo, come peso di diritto pubblico, come canone, come tariffa : sempre - dal punto di vista della contabilità pubblica - come una "entrata" di diritto pubblico.

In questa prospettiva, le somme riscosse dai cittadini per l’anzidetta "causa" costituiscono con ogni ovvietà, e necessariamente, denaro pubblico, anche se la riscossione venga affidata, per contratto o anche solo in via di fatto, ad un soggetto privato, che tuttavia per tale ragione assume la veste giuridica di "agente contabile".

Del resto è pacifico che la natura giuridica di tali proventi non può essere data dalla natura giuridica del soggetto esattore, ma dalla "causa" del pagamento, che nella specie è sicuramente pubblica.

In questo senso non poteva essere ritenuta conforme al diritto la pretesa della società di gestione di considerare i detti proventi (pubblici) alla stregua di propri "ricavi" di diritto privato.

Semmai una simile qualità (di "ricavo") avrebbe avuto il solo corrispettivo dovuto dal comune alla società per la gestione del servizio dei parcheggi : tra i due soggetti intercorreva infatti un rapporto contrattuale, con reciproche obbligazioni.

In sostanza, ritenuta la natura pubblica delle somme riscosse dai cittadini, il "passo" successivo e del tutto conseguente è stato, per la procura, di considerare la società di gestione alla stregua di un agente contabile, tenuto alla resa del conto ai sensi dell’art. 58, 1° comma della L.142/1990.

La sezione, come si è detto, ha accolto l’istanza, condividendo l’impostazione data dalla procura alla questione ed in particolare ritenendo che la società di gestione "non sarebbe neppure legittimata a riscuotere, in nome proprio, alcuna imposizione patrimoniale o, come si è detto, "tassa"; lo può fare e lo fa solo in quanto "concessionaria" della gestione di un servizio pubblico la cui titolarità non può non appartenere del Comune, così come di conseguenza appartengono al Comune, per essere indirizzate verso le finalità di legge, le somme riscosse dai cittadini nei parcheggi regolamentati a tariffa."

Giovedì, 24 Aprile 2003
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