Appello
penale contro la sentenza del giudice di pace: i limiti per
la parte offesa
(Tribunale
Treviso, sez. dist. Conegliano V.to, sentenza 26.11.2003)
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La
sentenza in commento è uno dei primi pronunciamenti in materia di impugnazioni
delle sentenze rese dal Giudice di Pace, in funzione di giudice penale,
ad opera della parte civile non ricorrente. Il Giudice ha operato una
ricostruzione del sistema delle impugnazioni, dettato dal d.lgs 274/2000,
del tutto innovativa. IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice di APPELLO del TRIBUNALE DI TREVISO - Sezione Distaccata di CONEGLIANO dott. Deli Luca ha pronunciato la seguente SENTENZA a seguito di appello proposto dalla Parte Civile. in relazione alla sentenza in data 15.05.2003 con la quale il Giudice di Pace di Vittorio Veneto così decideva: "visti gli artt. 530, 2° co. c.p.p. art. 32 ss D.L.gs 28.08.2000, n.274 assolve 1’imputato dai reati a lui contestati; dichiara ex art. 599 cp non punibile l’imputato per il reato di cui al capo a), in ordine all’ art. 594, l cp per reciproche offese. Condanna il querelante al pagamento delle spese processuali." nel procedimento penale nei confronti di [omissis] LIBERO-PRESENTE IMPUTATO A) del reato p. e p. dall’art. 594/1 ° co. C.P. perché offendeva l’onore ed il decoro di [omissis], proferendo al suo indirizzo le parole "ladro e coglione"; B) del reato p. e p. dall’art. 612 c.p. perché proferendo all’indirizzo di [omissis] la frase "vieni qui che ti faccio fuori", minacciava allo stesso un danno ingiusto; C) del reato di cui all’art. 582 c.p. perché sferrandogli una forte spinta e facendolo cadere a terra, nonché sbattere la testa contro un muretto, afferrandolo per il collo con le mani, cagionava in tal modo a [omissis] lesioni personali costituite da trauma cranico non commotivo, con contusione cervicale ed al bacino, dalle quali derivava allo stesso una malattia nel corpo di durata inferiore ai venti giorni. In [omissis] in data [omissis] Motivazione Gioverà ricordare innanzitutto alcuni principi generali in tema di impugnazione dei provvedimenti emessi dal giudice penale. Rilevante, per la decisione del caso in esame, appare il principio di tassatività, fissato dall’art. 568 I° c. CPP. Tale norma, con riferimento all’art. 111 Cost. stabilisce che sono sempre suscettibili di ricorso per cassazione, quando non altrimenti impugnabili, i provvedimenti con cui il giudice decide sulla libertà personale. La stessa norma dispone che le sentenze sono sempre ricorribili in cassazione, mentre sono appellabili solo se la legge riconosce espressamente che è proponibile l’appello. Il principio di tassatività vale anche per individuare il titolare del diritto di impugnazione che spetta, ex art. 568, esclusivamente a coloro a cui la legge conferisce tale potere. Il principio di tassatività, di cui si è fatto cenno, trova puntuale applicazione anche nella pur scarna normativa che disciplina il procedimento penale avanti il giudice di pace dove le esigenze di semplificazione, di deflazione e di non congestione del contenzioso hanno indotto a limitare il novero dei provvedimenti impugnabili. Ad esempio il P.M., fermo restando la possibilità di impugnare con ricorso per Cassazione tutte le sentenze - di condanna o di assoluzione - del Giudice di Pace (comprese quelle di improcedibilità per particolare tenuità del fatto), può appellare le sentenze di condanna solo se hanno applicato una pena diversa da quella pecuniaria; le sentenze di proscioglimento invece possono essere impugnate solo se sono relative a reati puniti con pena alternativa, non invece se sono relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria (art. 36 Decr. Leg. Vo 274/2000). Ai sensi dell’art. 37 l’imputato invece non può mai appellare le sentenze di proscioglimento contro le quali può solo esperire il ricorso per Cassazione; per le sentenze di condanna l’art. 37 distingue a secondo che applichino la sola pena pecuniaria o una pena diversa da quella pecuniaria: nel caso di condanna a sola pena pecuniaria la sentenza è inappellabile ed è aperta solo la via della giurisdizione di legittimità (Cassazione) a meno che il Giudice non abbia condannato l’imputato anche al risarcimento del danno e questo ultimo impugni anche il capo "civile"... Già da queste norme risulta evidente la volontà del legislatore di limitare i mezzi di impugnazione escludendo la regola del terzo grado di giudizio. L’elenco tassativo dei soggetti che hanno il diritto di interporre appello contro le sentenze del giudice di pace si chiude con l’art. 38 che attribuisce al -solo- ricorrente che ha chiesto la citazione a giudizio dell’ imputato gli stessi mezzi di impugnazione del P.M. previsti dall’art. 36 contro le sentenze di prosciog1imento. La ratio di questa ultima norma appare evidente: se avanti il giudice di pace il cittadino - previo parere favorevole del PM - può esercitare personalmente l’azione penale, all’interno del procedimento egli deve essere munito degli stessi poteri processuali della pubblica accusa. Laddove invece la parte offesa, pur costituitasi pare civile, non si sia avvalsa di tale facoltà, essa non avrà il diritto di appello perché nessuna norma lo prevede. La conclusione non cambia considerando anche una norma precedente dello stesso decreto, (art 28) collocata nel CAPO III relativo alla citazione a giudizio. Questa disposizione, che non fa parte del capo VI (DISPOSIZIONI SULLE IMPUGNAZIONI) sembra integrare l’elenco dei soggetti muniti del potere di Essa invero stabilisce al primo comma: "Il ricorso presentato da una fra più persone offese non impedisce alle altre di intervenire nel processo, con l’assistenza di un difensore e con gli stessi diritti. che spettano al ricorrente principale." Quindi anche la parte offesa, una volta costituitasi parte civile, ha gli stessi diritti (compreso quello di impugnazione) del "collega" che ha intrapreso per primo l’azione penale (secondo il nuovo istituto previsto dal decr. Citato). Il principio di tassatività (e la ratio che lo ispira) tuttavia non consente un0interpretazione estensiva di questa disposizione. Vale a dire che la parte civile avrà diritto di appello solo in due ipotesi: a) quando abbia esercitato personalmente la azione penale con la citazione diretta a giudizio;. b) quando si sia, per così dire "accodata" ad un’altra parte offesa che, per prima, abbia direttamente citato l’indagato. Il presupposto è unico: la parte offesa (o uno dei danneggiati nell’ipotesi di pluralità di parti offese) deve aver citato direttamente l’imputato a giudizio per avere il diritto di interporre appello contro la sentenza pronunciata dal giudice di pace. In caso contrario - quando sia stato il PM a intraprendere l’azione penale - rimane salvo il diritto della parte civile di ricorrere in cassazione. Nel caso in esame l’appellante, costituitosi parte civile nel procedimento avanti il giudice di pace, non aveva citato direttamente l’imputato lasciando alla pubblica accusa il relativo incombente. In questo contesto egli non ha dunque il diritto di impugnare e il suo atto d’appello risulta inammissibile. Le spese, liquidate in dispositivo, conseguono. P.Q.M. Visti gli art. 591 e 592 c.p.p. dichiara inammissibile l’appello. Condanna la parte civile [omissis] al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento delle spese di difesa dell’imputato che liquida in euro 1000,00 oltre iva e c.p.a. Conegliano, 26 novembre 2003. Il Giudice d’Appello Dott. Deli Luca |