Sabato 18 Maggio 2024
area riservata
ASAPS.it su

RCAuto e accordo di cartello: risarcimento anche con prova presuntiva

(Giudice di Pace di Roma, VII sezione, sentenza 24.02.2004)
Da "Altalex"
RCAuto e accordo di cartello: risarcimento anche con prova presuntiva

(Giudice di Pace di Roma, VII sezione, sentenza 24.02.2004)
Con sentenrza del 24.02.2004 il Giudice di pace di Roma ha condannato una compagnia assicurativa al risarcimento dei danni e alla corresponsione dell’indebito percepito nei confronti di un proprio assicurato per una polizza r.c.a., il cui contratto deve considerarsi nullo ( ex art. 1343 e 1418 c.c.) nella parte in cui la condotta della compagnia ha creato una disfunzione causale per violazione dei diritti fondamentali del consumatore.

E’ responsabile la compagnia assicurativa che si è conformata ad un’intesa restrittiva della concorrenza sanzionata dal Garante della concorrenza e del mercato con provvedimento definitivo, per la violazione del principio generale di correttezza (art. 1175, 1337, 1375 c.c.) e per violazione dell’art. 1 c. 2 l. 281 del 30 luglio 1998. "Ai sensi dell’art. 1, 2° comma, della legge n° 281 del 30 luglio 1998 (disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti), "ai consumatori ed agli utenti sono riconosciuti come fondamentali i diritti: (omissis) e) alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi", del quale il diritto "c) ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità" è corollario."

Il giudice ha ritenuto provato il nesso causale sulla base della prova presuntiva, fondata su elementi gravi, precisi e concordanti ex art. 2729 I c., quali gli accertamenti effettuati dall’Autorità della Concorrenza e del mercato e dati economico-statistici: "Passando a trattare il rapporto giuridico oggetto del presente giudizio, è accertato che l’attore (vedasi polizze agli atti del fascicolo di parte) ha subito costanti aumenti del premio di polizza, i quali non trovano giustificazione né nell’inflazione (nel quinquennio il premio è aumentato di oltre il 50% a fronte di un’inflazione contenuta nel 16%), né nella maggiore sinistrosità (era onere della Compagnia Assicurativa provare detta circostanza), né nel declassamento dell’assicurato (non risultante in atti), né nel contratto stesso (non rinvenuto in atti; ai sensi dell’art. 1469 bis, nn. 11, 12 e 13 gli ingiustificati aumenti del prezzo del bene o servizio oggetto della prestazione non rientrano nel contenuto tipico del contratto ed il consumatore ha diritto di conoscere, per iscritto, le ragioni che giustifichino gli aumenti dei premi in corso di rapporto, nonchè il diritto di recesso; le clausole in senso contrario si presumono abusive e l’inefficacia di esse è rilevabile d’ufficio dal Giudice)"

La lesione dei diritti fondamentali del consumatore alla trasparenza e all’informazione si è manifestata attraverso il mancato rispetto di obblighi quali: a) l’obbligo di informare l’assicurato che i premi crescenti richiesti erano superiori al tasso di inflazione ed al tasso medio di crescita dei premi a livello europeo; b) l’obbligo di informare il consumatore che le tariffe venivano stabilite a seguito dello scambio di informazioni con la concorrenza operante sul territorio nazionale; c) l’obbligo di informare l’assicurato che l’aumento irragionevole del premio di polizza gli dava diritto di recedere dal contratto (art. 1469 bis, n° 13); d) l’obbligo di informare il consumatore sulle ragioni che giustificavano gli aumenti del premio (art. 1469 bis, n°11); e) l’obbligo di dare trasparenza all’illegittimo aumento, riportando nel certificato di assicurazione ovvero nella lettera di accompagnamento la percentuale di aumento del premio nell’ultimo semestre, anche al fine di consentire al consumatore di procedere al raffronto con i dati di mercato (inflazione, aumento costo risarcimenti, andamento mercato comunitario).

(Altalex, 8 giugno 2004. Si ringrazia l’avv.Alberto Rossi. Nota a cura della dott.ssa Emanuela Tiramani)

 

 

UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI ROMA

7A sezione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL GIUDICE DI PACE


Avv. Alberto Rossi, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n° 84650/2003 R.A.Cont., passata a decisione all‚udienza del 13.02.2004 e vertente

TRA

G. M., elett. dom/to in Roma, Via Boncompagni n° 47, presso lo Studio legale dell‚Avv. Massimo Vergara Caffarelli, che lo rappresenta e difende in virtù di procura a margine dell’atto di citazione,

attore

E

SOCIETA’ REALE MUTUA di ASSICURAZIONI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elett. dom/ta in Roma, Via F. Denza n° 15 presso lo Studio legale dell‚Avv. Giorgio Maria Losco, che la rappresenta e difende in virtù di procura in calce alla copia notificata dell’atto di citazione,

convenuta


OGGETTO: Rimborso premi assicurativi.

CONCLUSIONI: come da verbale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con atto di citazione ritualmente notificato G. M. conveniva in giudizio la soc. Reale Mutua di Assicurazioni, esponendo quanto segue: che a decorrere dal mese di gennaio 1996 e sino al luglio 2000 ha stipulato polizza r.c.a. n° 679-01-301564, della durata annuale con tacita rinnovazione e frazionamento semestrale del premio, relativamente al motociclo Jamaha XT, tg. AA97490; nel periodo ha complessivamente corrisposto la somma di • 1.527,74, previo pagamenti di ratei semestrali progressivamente crescenti; con provvedimento n° 8546 del 28.07.2000 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha comminato una multa pari a 700 miliardi di lire alle Compagnie di Assicurazione per aver partecipato ad accordo di cartello al fine di aumentare i costi delle polizze, le cui tariffe sono raddoppiate, con violazione dell’art. 2 della legge n° 287/1990 e dell’art. 1, punto e) della legge n° 281/1998, il quale riconosce e garantisce il diritto dei consumatori alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi; T.A.R. e Consiglio di Stato con sentenza hanno ritenuto legittimo il provvedimento dell’Antitrust; vittime degli aumenti sono stati i consumatori, i quali hanno diritto, ai sensi dell’art. 2033 c.c., alla ripetizione dei pagamenti indebiti effettuati, oltre interessi legali, in quanto la Reale Mutua è una delle diciassette compagnie condannate per l’illecito comportamento tenuto a danno dei consumatori, con illegittimo accrescimento del costo di polizza, che il Garante della Concorrenza ha accertato superiore alla media europea; che senza l’illecita alterazione degli equilibri di mercato l’istante avrebbe approssimativamente dovuto versare dei premi inferiori del 20% a quanto complessivamente pagato; in subordine chiedeva la liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c.; concludeva per la condanna della Compagnia convenuta al pagamento della somma di • 305,54 a titolo di ripetizione di indebito; in subordine alla liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c.; oltre interessi, rivalutazione monetaria e vittoria di spese.

Si costituiva in giudizio la Reale Mutua di Ass.ni contestando la domanda in punto di diritto, in quanto la prestazione riscossa era fondata su di un valido ed efficace titolo; eccepiva l’incompetenza funzionale ex art. 33 della legge n° 287/1990 e l’incompetenza per territorio, indicando il Giudice di Pace di Torino, ove ha sede la società; contestava nel merito sia l’illogicità della domanda che la carenza di prove, non essendo a tal uopo sufficiente l’esistenza a monte di un’intesa vietata; in ordine al quantum deduceva che la richiesta andava limitata temporalmente al gennaio 2000, e che a partire dal marzo 2000 un imprecisato provvedimento governativo ha disposto il blocco delle tariffe r.c.a.; in ogni caso la controversia andrà decisa secondo diritto ai sensi dell’art. 1 bis del d.l. n° 18/2003, convertito nella l. n° 63/2003; concludeva conformemente alle formulate eccezioni e controdeduzioni; vittoria di spese.

Nell’udienza del 13.02.2004 le parti precisavano le conclusioni ed il giudice tratteneva la causa a decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va rigettata l’eccezione di incompetenza funzionale del Giudice adito.

Come recentemente chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione (sentenza n° 17475/2002), l’art. 33, comma 2°, della legge n° 287/1990 disciplina la competenza in materia di azioni di nullità e di risarcimento danni avviate da imprese che subiscono un pregiudizio diretto ed immediato (interesse ad agire) in conseguenza di comportamenti ed intese fra altre imprese che ledono la libera concorrenza nel mercato (intese restrittive, abuso di posizione dominante).

Nella ratio della normativa "antitrust", che si configura, quindi e in primo luogo, quale disciplina di rapporti giuridici fra imprese, il "consumatore" riveste il mero ruolo di interessato "mediato", potendo l’intesa restrittiva o l’abuso di una posizione dominante indirettamente arrecare un pregiudizio agli interessi economici del consumatore, riversandosi sul rapporto contrattuale individualmente instaurato.

Il consumatore che, come nel caso di specie, aziona un singolo rapporto giuridico (contratto di assicurazione da R.C.A.) intercorso con una singola Compagnia Assicurativa, non ha un interesse diretto alla declaratoria di nullità dell’intesa restrittiva della libera concorrenza fra le imprese operanti sul mercato, ponendosi tale intesa come mero presupposto di fatto rispetto ad una condotta contrattuale della Compagnia assicurativa connotata, per deduzione di parte e proprio con riguardo al singolo rapporto giuridico azionato, dal carattere di antigiuridicità.

Sia l’azione di ripetizione dell’indebito che la subordinata azione risarcitoria (per implicito, in considerazione del richiamo alla nozione di danno ed ai criteri di valutazione previsti dalla legge) introdotte dal sig. Gandoglia non sono fondate (causa petendi) sulla nullità in sé dell’intesa restrittiva, bensì sulla condotta asseritamente antigiuridica della Compagnia Assicurativa convenuta la quale, conformandosi incidentalmente all’intesa restrittiva (quale motivo che ha determinato la condotta censurata), avrebbe applicato illecitamente degli aumenti sul premio di assicurazione, violando in tal modo, per espressa deduzione di parte, l’art. 1 della legge n° 281/1998, che riconosce e garantisce il diritto dei consumatori alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi.

Per i motivi sopra considerati non possono condividersi i dubbi che hanno di recente indotto la IIIa sezione della Suprema Corte a rimettere gli atti al Primo Presidente della Cassazione per valutare l’opportunità della rimessione della questione alle Sezioni Unite (ordinanza interlocutoria n° 15538 del 17.10.2003): la questione sulla competenza non può essere risolta prescindendo dal concreto risultato che la parte mira a conseguire a mezzo dello strumento giudiziario di cui si serve, e nel caso di specie non può dubitarsi che l’attore abbia fatto valere diritti soggettivi di portata ampiamente più circoscritta rispetto a quelli riconoscibili in conseguenza immediata e diretta dell’intesa abusiva.

Del pari infondata è l’eccezione di incompetenza territoriale del Giudice adito.

Il rapporto giuridico controverso è, a tutti gli effetti, assoggettato alla disciplina legale interna e comunitaria in materia di tutela del consumatore: l’attore è una persona fisica e le parti hanno stipulato un contratto su modulo prestampato (fatto notorio - è comunque onere dell’Assicuratore di provare la specifica trattativa sul contenuto delle clausole contrattuali e, a maggior ragione, l’eventuale predisposizione bilaterale di esse), contratto avente ad oggetto un bene o servizio non finalizzato al soddisfacimento delle esigenze professionali del consumatore.

Secondo la Suprema Corte di Cassazione (ordinanza a sezioni unite n° 14669/2003) l’art. 1469 bis, n° 19 c.c. individua nel cd. "foro del consumatore" (residenza o domicilio elettivo del consumatore) un foro esclusivo, derogabile solo alle condizioni di legge: la clausola derogatrice si presume abusiva sino a prova contraria (in particolare l’imprenditore deve dimostrare l’esistenza della clausola derogatrice e che la medesima è stata oggetto di specifica trattativa).

Nel caso di specie neppure risulta dedotta l’esistenza di una clausola sulla competenza territoriale in deroga al "foro del consumatore", essendo, di contro, i richiami legislativi superati dal carattere speciale della richiamata norma.

In ordine alla applicabilità del foro del consumatore anche al di fuori delle fattispecie previste dagli artt. 1469 bis e ss. si osserva: in primo luogo che la norma, prevedendo in via generale l’abusività della clausola in deroga, implicitamente dispone che tutti i rapporti contrattuali che involgono interessi dei consumatori sono assoggettati al previsto foro esclusivo (residenza o domicilio del consumatore); né d’altra parte è sostenibile la natura eccezionale delle norme generali previste dal codice civile a tutela del consumatore, norme che lungi dal porsi in contraddizione con i principi consolidati del nostro diritto civile, ne rappresentano una concreta attuazione pur nella specificità dei concreti interessi di cui le parti si fanno portatrici (in particolare l’esigenza di riequilibrio del rapporto contrattuale attua il principio della libertà negoziale, spostando l’attenzione dal profilo formale - regole uguali per tutti - al profilo sostanziale - regola di favore preordinata a rimuovere l’ostacolo di ordine sociale ed economico che limita la libertà del consumatore -, ponendosi in tal senso come norma di diretta attuazione dei principi costituzionali sanciti dagli art. 2 e 3, 2° comma della Costituzione).

L’attore è residente in Roma; la competenza territoriale appartiene quindi al Giudice di Pace di Roma.

Nel merito la domanda andrà decisa secondo diritto (art. 113, 2° comma, c.p.c.).

La legge n° 63/2003, di conversione del d.l. n° 18/2003, ha infatti abrogato il giudizio secondo equità nei rapporti giuridici fra imprese e consumatori; l’art. 1 bis prevede espressamente che "le disposizioni di cui all’articolo 1 si applicano ai giudizi instaurati con citazione notificata dal 10 febbraio 2003" (nel caso di specie la citazione è stata notificata il 02.10.2003), così superando eventuali dubbi interpretativi legati alle norme ed ai principi che disciplinano la successione delle leggi (in particolare sulla da taluni asserita natura processuale della norma che prevede la risoluzione secondo equità - ossia secondo un insieme indeterminato di norme giuridiche SOSTANZIALI non scritte - delle controversie su rapporti giuridici aventi un determinato valore economico).

La domanda dell‚attore è fondata.

La soc. Reale Mutua di Assicurazioni rientra fra le imprese assicurative sanzionate dal Garante della Concorrenza e del Mercato per aver dato vita ad un accordo di "cartello" vietato (art. 2, legge n° 287/1990), provvedimento amministrativo n° 8546 del 2000 divenuto definitivo, almeno con riguardo all’accertata illegittimità dell’intesa restrittiva della libera concorrenza, a seguito delle sentenze del T.A.R. Lazio (n° 6139/2001) e del Consiglio di Stato (n° 2199/2002).

Ai sensi dell’art. 1, 2° comma, della legge n° 281 del 30 luglio 1998 (disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti), "ai consumatori ed agli utenti sono riconosciuti come fondamentali i diritti: (omissis) e) alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi", del quale il diritto "c) ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità" è corollario.

Tali posizioni giuridiche sono espressamente qualificate dalla legge quali "diritti" "fondamentali" del "consumatore"; integrano di conseguenza diritti soggettivi pieni del cittadino, il quale incidentalmente si trovi a rivestire lo status giuridico di "consumatore" (persona fisica - acquisto di bene o servizio funzionalmente estraneo alla propria attività professionale), in sede di trattative, nonché di stipula, esecuzione e rinnovo di un "contratto di massa" con un’impresa, nel cui ambito sono pacificamente riconducibili i contratti assicurativi obbligatori per la R.C.A.

Vieppiù diritti fondamentali, ossia da un lato permeanti tutte le posizioni giuridiche e di fatto ipotizzabili nell’ambito del rapporto (anche precontrattuale) fra consumatore ed impresa, dall’altro cogenti ed inviolabili quali espressione di una garanzia minima ed irrinunciabile che l’ordinamento giuridico riconosce alla parte debole del rapporto contrattuale (il consumatore per l’appunto).

La tutela del consumatore si caratterizza, pertanto, su due livelli di rilevanza giuridica.

Il primo livello, di diretta derivazione del principio generale di correttezza (artt. c.c. 1175, 1337, 1375·), si sostanzia in regole di condotta che, nella specifica materia, assumono particolare rilievo con riguardo alla posizione giuridica del contraente forte del rapporto, l’imprenditore, a carico del quale sono individuabili precisi obblighi di informazione, trasparenza, salvaguardia, i quali, laddove non sia la legge stessa ad attuare in via diretta il precetto generale (vedasi i tanti obblighi specifici di informazione e trasparenza espressamente previsti dalla legislazione speciale, comunitaria ed interna), vanno commisurati alle concrete circostanze in cui il rapporto si sviluppa nella realtà sociale; dette regole di condotta danno vita ad obbligazioni in senso proprio (artt. 1173 ss. c.c.), con tutte le conseguenze giuridiche che l’inadempimento comporta (artt. 1218 ss. c.c.).

Il secondo livello di tutela, di natura ancor più incisiva e giuridicamente rilevante, sposta l’attenzione dal profilo passivo del soggetto giuridicamente vincolato al profilo attivo del soggetto tutelato dalla legge, non limitandosi a conformare quest’ultima posizione giuridica al tradizionale genus dei diritti di credito, a contenuto esclusivamente patrimoniale, bensì qualificandola espressamente come diritto FONDAMENTALE del consumatore, ossia inerente la sua stessa persona di cittadino che, a mezzo del rapporto contrattuale instaurato, realizza la propria personalità quale individuo e nella società civile (art. 2 della Costituzione), spostando il centro dell’interesse dal punto di vista patrimoniale a quello morale, sociale, personale, con la conseguenza che la norma acquista valenza imperativa (sia per l’imprenditore, sia per il consumatore che non può preventivamente rinunciare alla tutela) e che la sua violazione da parte dell’imprenditore, pur se incolpevole, determina la nullità parziale o totale del contratto secondo le comuni regole del diritto civile (artt. 1343, 1418 e 1419 c.c.), vizio che può eventualmente essere fatto valere solo dal consumatore (la rilevabilità di ufficio del giudice è rigorosamente subordinata al previo accertamento del concreto interesse perseguito da quella parte, il consumatore, a cui ESCLUSIVO vantaggio - pur nel perseguimento di un interesse di ordine pubblicistico, il riequilibrio del potere contrattuale delle parti in funzione di garanzia del principio di libertà negoziale - è posta la norma imperativa violata).

In ordine a quest’ultimo profilo, si segnala che già nel nostro ordinamento giuridico è prevista la inefficacia e/o invalidità parziale o totale del contratto per violazione di norme imperative in cui l’interesse pubblico (necessariamente sotteso alla norma) si identifica nell’interesse di una parte (con conseguente legittimazione parziale all’azione, in deroga all’art. 1421 c.c.) con particolare rilievo proprio nell’ambito delle norme che disciplinano i diritti dei consumatori (si vedano ad esempio l’art. 1469 quinquies c.c., l’art. 12 del d.p.r. n° 224/1988, l’art. 11 del d.lgs. n° 185/1999).

Il trattamento di favore riservato dalla legge ad esclusivo vantaggio di una parte del rapporto contrattuale rappresenta, come già rilevato, attuazione di norme e principi costituzionali (in primo luogo gli artt. 2 e 3, 2° comma della Costituzione) e realizza l’insopprimibile esigenza di riequilibrare il potere giuridico e di fatto dei contraenti e tutelare in modo incisivo la parte debole del rapporto.

Così il comma 2° dell’art. 1469 quinquies c.c. dichiara inefficaci determinate clausole vessatorie, anche se oggetto di specifica contrattazione, implicitamente escludendo che il consumatore possa preventivamente rinunciare alla posizione giuridica soggettiva di privilegio che la legge gli conferisce; ancor più incisivamente il primo comma dell’art. 11 del d.lgs. n° 185/1999 dichiara espressamente l’irrinunciabilità dei diritti attribuiti al consumatore e la nullità di ogni pattuizione in contrasto con le disposizioni contenute nel provvedimento legislativo.

Né può dubitarsi sulla sufficiente determinatezza del diritto fondamentale che si asserisce violato, e dei conseguenti obblighi che ne derivano: l’eventuale difficoltà interpretativa della norma, sia in fatto che in diritto, non può incidere sulla sua valenza ed efficacia; si osserva anzi che proprio le norme a contenuto maggiormente cogente, quali in primo luogo le norme costituzionali che disciplinano i diritti della personalità dell’individuo, si caratterizzano per la loro genericità e l’apparente affermazione di regole di mero principio (taluni diritti della personalità non sono neppure determinati per iscritto nella Costituzione, ma si ricavano implicitamente a mezzo dello strumento generale fissato nel richiamato art. 2 della Costituzione).

E’ d’altra parte opinione diffusa che la Costituzione, quale norma fondamentale dell’ordinamento giuridico, viva e si plasmi in funzione dell’evoluzione della società civile, assorbendo, a mezzo della clausola generale di cui all’art. 2 della Costituzione, valori nuovi e conferendo ad essi il connotato dell’inviolabilità.

Né può tacersi sul particolare rilievo giuridico della normativa comunitaria, fonte di grado sovraordinato alla legge ai sensi dell’art. 11 della Costituzione; si rileva anzi che proprio in sede di predisposizione del testo provvisorio destinato all’emananda Costituzione dell’Unione Europea, cui tutti gli Stati membri dovranno necessariamente soggiacere, la tutela del consumatore è stata ricompresa nella più ampia sezione relativa alla disciplina di tutela dei diritti della personalità del cittadino.

Dalle considerazioni sopra esposte ne discende da un lato che il principio generale di correttezza (artt. 1337, 1175 e 1375 c.c.) nei rapporti giuridici fra consumatore ed imprenditore è assurto a ruolo di diritto fondamentale del consumatore, in quanto tale inviolabile e non preventivamente rinunciabile (proprio in ragione della carenza di potere contrattuale in capo al "consumatore"), sotto altro profilo gli obblighi di correttezza, trasparenza ed informazione ricadenti sul soggetto "forte" del contratto (l’imprenditore) sono preordinati all’instaurazione di un rapporto giuridico che sia connotato, in ogni momento della sua esistenza, dalla salvaguardia della salute e della sicurezza del consumatore, dalla qualità ed efficienza del servizio o del bene, nonché dall’equità delle condizioni contrattuali poste in essere, siano esse di natura principale od accessoria.

Sarà quindi preciso dovere del giudice, laddove la legge non determini espressamente le regole di condotta a carico dell’imprenditore preordinate alla tutela dei diritti fondamentali dei consumatori, di provvedere alla loro individuazione nel caso concreto, tenuto conto sia del limite processuale dell’allegazione dei fatti (art. 112 c.p.c.) che della generale rilevabilità d’ufficio delle nullità.

Gli obblighi di correttezza (di cui trasparenza ed informazione costituiscono concreta attuazione) devono essere ritenuti ancor più rigorosi laddove il consumatore non solo non abbia il potere di sindacare il contenuto del contratto, ma addirittura, come avviene nell’assicurazione per la r.c.a., sia obbligato dalla legge a stipulare il contratto (la libertà negoziale, nella fattispecie, è limitata alla scelta dell’impresa assicurativa con la quale contrarre).

In presenza di siffatti presupposti giuridici e di fatto l’intesa restrittiva della concorrenza del mercato, allorquando si risolva nell’applicazione di premi di polizza uniformi e maggiorati - rispetto al rischio assunto dall’assicuratore ed alla media dei premi applicati negli altri paesi europei - da parte delle maggiori compagnie assicurative (rappresentative dell’80% della quota di mercato), annulla nel concreto il potere contrattuale del consumatore, il quale viene privato di ogni strumento necessario per operare la sua scelta.

Il diritto fondamentale del consumatore alla correttezza, trasparenza ed equità non può non ritenersi violato ogni qual volta la compagnia assicurativa, in sede di stipula o rinnovo del contratto, abbia applicato una tariffa maggiorata e non giustificata dall’ordinamento giuridico (funzione pratica del contratto, principio della libertà negoziale) o dalla logica del mercato (principio della concorrenza), omettendo di fornire al consumatore le dovute informazioni o, peggio, operandosi per occultare la pratica anticoncorrenziale messa in atto in associazione con altre imprese.

Passando al merito della controversia, occorre premettere che la prova della fondatezza della domanda può essere ricavata, per espressa previsione di legge (art. 2729, 1° comma, c.c.), anche a mezzo di presunzioni, purchè le stesse siano fondate su elementi obiettivi di prova gravi, univoci e concordanti.

D’altra parte nella fattispecie in considerazione, nella quale non possono non essere presi in considerazione dati economici complessi quali l’andamento del mercato e dei prezzi, e la valutazione finale non può prescindere da variabili incerte, di natura sì tecnico-matematica, ma scientificamente non dimostrabili, quali l’accertamento del verosimile andamento dei prezzi in presenza di un mercato di libera concorrenza, richiedere al comune cittadino la prova rigorosa dell’illecito e del danno equivarrebbe ad escluderlo automaticamente da qualsivoglia tutela giurisdizionale.

Si aggiunga, da ultimo, che la previsione legislativa dell’equità nel rapporto contrattuale quale diritto fondamentale del consumatore automaticamente conferisce una particolare rilevanza giuridica ai richiamati dati di mercato, siano essi obiettivi, sintomatici o variabili, il cui accertamento non può che competere alle autorità amministrative a ciò preposte (in primo luogo gli organi governativi di programmazione economica e la Autorità Garante della concorrenza e del mercato), non essendo neppure ipotizzabile, in questa sede, per i costi enormi che essa richiederebbe, del tutto sproporzionati rispetto al valore della domanda, un’indagine approfondita del mercato a mezzo di C.T.U., né potendosi ragionevolmente onerare la parte di documentare analiticamente i dati medesimi (trattasi di migliaia di documenti).

L’autorevolezza degli accertamenti e delle valutazioni compiute dalle richiamate autorità, unitamente alla garanzia della legge, che disciplina il procedimento di formazione dei richiamati atti, e della sindacabilità giurisdizionale dell’atto, limitatamente al provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, consentono al Giudice la piena cognizione di essi ai fini e per gli effetti probatori previsti dal 1° comma dell’art. 2729 c.c.

Del pari rilevanti, sempre ai sensi dell’art. 2729, 1° comma, c.c., sono gli accertamenti e le valutazioni compiute dalle autorità giurisdizionali amministrative (T.A.R. e Consiglio di Stato): il sindacato giurisdizionale del provvedimento amministrativo del Garante è infatti stato pieno, di legittimità e di merito, sui fatti oggetto di accertamento (come anche compiutamente spiegato nella sentenza del Consiglio di Stato), essendo il limite della legittimità unicamente riferito alla opportunità del provvedimento ed alle valutazioni tecniche opinabili, non certo ai fatti posti a fondamento di esso, materiali ed obiettivi, in quanto tali sindacabili in ogni sede.

Ebbene i richiamati atti amministrativi, governativi e giurisprudenziali pervengono, in modo univo e concordante, alle medesime gravi e certe conclusioni: le principali imprese assicurative operanti sul territorio italiano, detentrici dell’80% del portafoglio in materia di assicurazione per la r.c.a., attraverso una società intermediaria, hanno operato uno scambio di informazioni preordinato alla uniformazione delle condotte commerciali e delle strategie aziendali; ciò ha determinato, nel periodo in esame, un irragionevole innalzamento del prezzo delle polizze r.c.a. (dal 1996 al 2001 addirittura del 92%, a fronte di un tasso di inflazione di appena il 16%), il quale non trova riscontro nell’aumento della sinistrosità stradale e dei risarcimenti pagati dalle compagnie assicurative ai danneggiati e si discosta considerevolmente dall’andamento dei prezzi negli altri paesi comunitari.

Di preciso:


L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha accertato che:

a) le compagnie assicurative hanno perseguito una politica uniforme di fidelizzazione della clientela, rifiutando la copertura assicurativa del rischio di incendio e furto dell’autoveicolo separatamente dalla stipula della polizza per la r.c.a. (cd. tie in), elidendo, in tal modo, la libertà negoziale del consumatore, il quale, per la copertura dei suddetti rischi, non poteva rivolgersi a società diversa da quella scelta per la copertura del rischio da r.c.a.;

b) le compagnie assicurative, per il tramite di una società terza, hanno dato vita ad una complessa rete di scambio di informazioni dirette ed indirette relative sia alle strategie commerciali perseguite, sia ai comportamenti contrattuali adottati, in forma disaggregata, analitica e periodicamente aggiornata (esclusa quindi ogni finalità meramente statistica e/o storica); nella sostanza tutte le informazioni inerenti l’attività delle compagnie venivano scambiate, suddivise in tre grandi osservatori: incassi, portafoglio, numero di sinistri e tempo medio di liquidazione; andamento dei singoli rami assicurativi e possibile sviluppo del mercato assicurativo, con aspettative sulla raccolta dei premi e sull’incidenza dei costi e dei sinistri; condizioni contrattuali applicate da ciascuna impresa;

c) con particolare riferimento al settore r.c.a. le compagnie assicurative hanno dato vita ad un intenso scambio di informazioni focalizzato proprio sulle tariffe;

le compagnie assicurative interessate, nei loro ricorsi, non hanno mai posto in discussione la verità di buona parte degli accertamenti compiuti, limitandosi a rilevare carenze istruttorie nel procedimento amministrativo o a sindacare la configurabilità dei richiamati comportamenti come condotte anticoncorrenziali (circostanza che in questa sede interessa in modo assai limitato, anche considerato che la lesione del diritto fondamentale del consumatore alla trasparenza ed equità nel rapporto contrattuale determina rilevanti conseguenze giuridiche - nullità parziale del contratto - anche in presenza di una condotta non colpevole della compagnia assicuratrice).

Del pari le sentenze del T.A.R. e del Consiglio di Stato, pur annullando e riformando in parte il provvedimento amministrativo, in nessun punto disconoscono la verità degli accertamenti compiuti dall’Autorità Garante della concorrenza.

Nel documento di programmazione economico-finanziaria del governo per gli anni 2003-2006 si legge: "la liberalizzazione dei prezzi in presenza di un mercato scarsamente concorrenziale si è tradotta in una accelerazione delle dinamiche di prezzo: è il caso delle assicurazioni sulla responsabilità civile, aumentate del 92% nei 6 anni dal 1996 al 2001, a fronte di una crescita dell’indice generale del 16% per cento".

D’altra parte può considerarsi come dato processuale non contestato la circostanza che i premi assicurativi nella r.c.a., almeno sino al 2000, abbiano subito delle maggiorazioni pari a quelle rilevate dalle richiamate autorità, determinando un irragionevole sperequazione economica nel rapporto contrattuale; la stessa società convenuta deduce che nel marzo del 2000 il Governo ha decretato il blocco delle tariffe, al fine evidentemente di porre un freno all’ingiustificato aumento dei premi di polizze per la r.c.a.

Passando a trattare il rapporto giuridico oggetto del presente giudizio, è accertato che l’attore (vedasi polizze agli atti del fascicolo di parte) ha subito costanti aumenti del premio di polizza, i quali non trovano giustificazione né nell’inflazione (nel quinquennio il premio è aumentato di oltre il 50% a fronte di un’inflazione contenuta nel 16%), né nella maggiore sinistrosità (era onere della Compagnia Assicurativa provare detta circostanza), né nel declassamento dell’assicurato (non risultante in atti), né nel contratto stesso (non rinvenuto in atti; ai sensi dell’art. 1469 bis, nn. 11, 12 e 13 gli ingiustificati aumenti del prezzo del bene o servizio oggetto della prestazione non rientrano nel contenuto tipico del contratto ed il consumatore ha diritto di conoscere, per iscritto, le ragioni che giustifichino gli aumenti dei premi in corso di rapporto, nonchè il diritto di recesso; le clausole in senso contrario si presumono abusive e l’inefficacia di esse è rilevabile d’ufficio dal Giudice).

Ne consegue in primo luogo la lesione del diritto del consumatore ad un prezzo equo, che tenga conto dell’inflazione, del numero e dei costi dei sinistri in Italia, nonché all’andamento dei prezzi nel mercato assicurativo comunitario.

Vieppiù la richiamata lesione, già da sola idonea ad integrare una nullità parziale del contratto (per l’eccedenza iniquamente versata), è stata realizzata dalla compagnia assicurativa mediante una condotta lesiva del parimenti diritto fondamentale del consumatore alla trasparenza ed informazione (fatto parimenti allegato in citazione ai sensi art. 112 c.p.c.).

In tale ambito erano agevolmente individuabili le seguenti obbligazioni a carico della compagnia assicurativa: a) l’obbligo di informare l’assicurato, anche con strumenti di natura generale (ad esempio depliant ad uso di tutti gli utenti), che i premi crescenti richiesti erano superiori al tasso di inflazione ed al tasso medio di crescita dei premi a livello europeo (ben potendo il consumatore, in presenza della richiamata intesa restrittiva che riduceva gravemente la concorrenza nel mercato interno, potersi rivolgere a impresa straniera nell’esercizio della sua libertà negoziale, di fatto annullata dalla condotta delle compagnie assicurative operanti in Italia e detentrici dell’80% del portafoglio nazionale, e nello specifico dalla condotta della società convenuta che non ha tenuto fede agli obblighi di informazione che ne derivavano); b) l’obbligo di informare il consumatore, eventualmente sempre a mezzo di depliant, che le tariffe venivano stabilite a seguito dello scambio di informazioni con la concorrenza operante sul territorio nazionale, per i medesimi fini di cui sopra (l’obbligo di informazione va sempre tenuto in stretta connessione con il principio, di rilievo costituzionale, della libertà negoziale, laddove non emergano interessi di rilievo addirittura superiori, quali la salute e la sicurezza, comunque estranei alla fattispecie in esame); c) l’obbligo di informare l’assicurato che l’aumento irragionevole del premio di polizza gli dava diritto di recedere dal contratto (art. 1469 bis, n° 13); d) l’obbligo di informare il consumatore sulle ragioni che giustificavano gli aumenti del premio (art. 1469 bis, n°11); e) l’obbligo di dare trasparenza all’illegittimo aumento, riportando nel certificato di assicurazione ovvero nella lettera di accompagnamento la percentuale di aumento del premio nell’ultimo semestre, anche al fine di consentire al consumatore di procedere al raffronto con i sopra rilevati dati di mercato (inflazione, aumento costo risarcimenti, andamento mercato comunitario).

Tutti questi inadempimenti devono ritenersi come implicitamente dedotti dall’attore, giusto il collegamento evidenziato in citazione fra il principio di correttezza (doveri di informazione e trasparenza) e l’irragionevole aumento dei premi di polizza, ragione che conferisce ad essi piena rilevanza in questa sede.

La violazione dei diritti fondamentali del consumatore (norme imperative) determina la nullità del contratto ex artt. 1343 e 1418 c.c. nella parte in cui la condotta della compagnia assicurativa (foss’anche incolpevole) ha creato una disfunzione causale (sproporzione di prestazioni) nel rapporto giuridico instaurato.

Si osserva altresì che gli aumenti ingiustificati dei premi della polizza configurano lesione dei diritti regolamentati dalle disposizioni contenute nell’art. 1469 bis, nn. 11, 12 e 13, norme (introdotte dalla legge n° 52 del 06.02.1996) che, presumendo l’abusività delle clausole contrattuali elencate, abusività, si badi bene, rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 1469 quinquies, 3° comma, c.c. nei limiti di cui all’art. 112 c.p.c. (rileva solo la allegazione dei fatti, essendo dovere specifico del giudice la qualificazione giuridica della causa petendi - iura novit curia), implicitamente individuano il contenuto tipico del contratto (se una clausola si presume abusiva, la clausola contraria costituisce contenuto tipico del contratto!), ammettendo la deroga solo nel caso in cui la clausola sia stata oggetto di trattativa fra le parti, attività che sotto il profilo logico, ancor prima che giuridico, presuppone necessariamente adeguata informazione nei confronti del consumatore: gli obblighi di informazione, come sopra rilevato, non sono stati adempiuti (carenza assoluta di prova); di conseguenza gli aumenti dei premi sono stati posti in essere, anche ai sensi dell’art. 1469 bis, in via abusiva, con relativa inefficacia (e, quindi, diritto di ripetizione dell’indebito) degli aumenti medesimi nella parte in cui non trovano giustificazione (la quale deve essere indicata per iscritto nel contratto ex art. 1469 bis, n° 11, c.c.) in alcuno dei fatti tipici che condizionano il sinallagma contrattuale (inflazione, costo medio dei risarcimenti).

La domanda, qualificata come restitutoria in via principale, è altresì fondata sotto il profilo risarcitorio (inadempimento dell’obbligazione), implicitamente dedotto in via subordinata (viene lamentato un danno e richiesta l’applicazione dell’art. 1226 c.c.), il quale copre la statuizione di condanna per le somme dovute anteriormente all’entrata in vigore delle l. n° 287/1998 e degli artt. 1469 bis, ss., c.c.

Trattandosi di responsabilità contrattuale (inadempimento delle obbligazioni sopra richiamate nascenti dai precetti generali di cui agli artt. 1175, 1337 e 1375 c.c.), la colpa è presunta (art. 1218 c.c.), salva prova contraria a carico della società convenuta, che non vi è stata.

L’indebito oggettivo può equitativamente (art. 1, l. n° 281/1998) e presuntivamente (alla luce dei più volte richiamati accertamenti eseguiti dalle autorità amministrative e governative) essere quantificato nella misura del 15% dei premi di polizza pagati alla società convenuta nel periodo di riferimento.

Del pari il danno coincide, anche ai sensi dell’art. 1223 e 1226 c.c., ed in carenza di prova diversa, con l’indebito sopra rilevato (15%).

I tre profili di fondatezza della domanda evidenziati nella motivazione incidono in via cumulativa sull’accoglimento di essa, con la conseguenza che solo a seguito del venire meno di ciascuno di essi la presente sentenza potrà essere ritenuta riformata quanto al dispositivo.

Ne consegue che l’attore ha diritto, a titolo restitutorio ed a titolo risarcitorio, al pagamento della somma di euro 229,16, oltre interessi al saggio legale dal giorno della costituzione in mora del debitore (racc. ricevuta il 31.01.2003) al saldo.

Le spese seguono la soccombenza.

P. Q. M.

Il Giudice di Pace, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa e respinta, così decide:

Condanna la società Reale Mutua di Assicurazioni, nella persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in favore di G .M., della somma di euro 229,16, oltre interessi al saggio legale dal 31.01.2003 al saldo..

Condanna la società Reale Mutua di Assicurazioni, nella persona del legale rappresentante pro tempore, al rimborso, in favore di Gandoglia Marco, della somma complessiva di • 602,00 (come da parcella), oltre Cna ed Iva.

Roma 24.02.2004



IL GIUDICE DI PACE
(Avv. Alberto Rossi)
Mercoledì, 09 Giugno 2004
stampa
Condividi


Area Riservata


Attenzione!
Stai per cancellarti dalla newsletter. Vuoi proseguire?

Iscriviti alla Newsletter
SOCIAL NETWORK