Giurisprudenza di legittimità
La Corte di merito così
ricostruiva i fatti. M., alla guida di una BMW (con a
bordo R. V. N. e R. B.), F., alla guida di una Opel Calibra (con a bordo M. N.)
e G., alla guida di una Lancia delta HF Integrale (con a bordo M. T. e M. C.),
procedendo ad elevata velocità sulla provinciale che da Montefalco va a
Foligno, gareggiavano tra loro, sorpassandosi, tra l’altro, la Ford Fiesta condotta
da G. P. e l’Alfa Romeo 75 guidata da O. D. V.. M. G., invece, alla guida di una
Fiat Punto, percorreva la stessa strada provinciale in direzione opposta. In prossimità di un incrocio, G.
che, pur essendo partito per ultimo, si era venuto a trovare in testa alla «gara»,
affrontava una curva ad una velocità superiore ai 140 chilometri orari,
invadeva l’opposta corsia di marcia e si scontrava frontalmente con la Fiat
Punto del G., che nell’incidente riportava lesioni a seguito delle quali
decedeva. La Corte di merito confermava la
condanna degli imputati anche per le violazioni amministrative di cui agli
articoli 140 e 141 del D. L.vo 30 aprile 1992, n. 285; in particolare, perché
gareggiavano in velocità, non moderavano la velocità in ora notturna e in
tratto di strada fiancheggiato da edifici, non adeguavano la velocità alle
condizioni della strada e del traffico e, in ogni caso, non si comportavano in
modo da salvaguardare la sicurezza stradale e da evitare pericoli per la
sicurezza di persone e cose. 1.1. –
La sentenza di primo grado era sostanzialmente fondata sulle dichiarazioni dei
testimoni P. e D. V. P. aveva riferito di aver notato
che le tre vetture provenienti alle sue spalle avevano percorso la discesa a
velocità sostenuta. Si erano, poi, per un breve
tratto, incolonnate dietro di lui; pur tentandovi più volte, non erano riuscite
a superarlo a causa dei veicoli che provenivano dalla direzione opposta. Ad un certo punto, comunque, lo
avevano superato a forte velocità tanto da sottrarsi alla sua vista dopo
qualche centinaio di metri. D. V. aveva, a sua volta, riferito
che le tre vetture procedevano a forte velocità e l’avevano sorpassato; prima
la BMW del M., poi la Lancia del G., quindi la Opel del F. Poiché P. aveva riferito che la
prima autovettura che l’aveva sorpassato era la BMW, la seconda era la Opel, e
la terza era la Lancia, il tribunale aveva rilevato che nel successivo tratto
di strada la Lancia del G. aveva sorpassato la Opel del F. D. V. aveva, inoltre, dichiarato
di avere notato che le autovetture continuavano a sorpassarsi tra loro e di
avere che la Lancia del G. aveva superato anche BMW del M., passando in testa
al correo; a sua volta, la Opel del F. si era posta in seconda posizione,
superando la BMW del B., che era rimasta leggermente distanziata. Il tribunale aveva reputato
attendibili le dichiarazione del P. e del D. V., inattendibili quelle delle
persone trasportante sulle autovetture e ritenuto che i veicoli, nel tratto
precedente il punto di impatto, avevano proceduto a velocità elevatissima,
certamente superiore a quella dichiarata dagli imputati e dai loro amici
trasportati. Secondo il primo giudice, M., F. e
G., con risoluzione estemporanea, avevano dato vita ad una gara di velocità, così
determinando, ciascuno per trascinamento reciproco e per adesione
all’imprudente condotta di guida dell’altro, la condotta del G. «che aveva
cagionato l’impatto». In particolare, F. e M. avevano contribuito
a far sì che la Lancia del G. raggiungesse l’elevata velocità tenuta al momento
dell’incidente. 1.2. – La Corte distrettuale
conferma il giudizio di attendibilità delle testimonianze di P. e D. V.,
confutando analiticamente le argomentazioni sul punto dell’appellante. Con riferimento al testimone D.
V., la C. chiariva che, contrariamente a quanto affermato dall’appellante, non
erano state poste a fondamento della decisione le dichiarazione rese da D. V. nella
fase delle indagini preliminari ed utilizzate ai fini delle contestazioni
dibattimenti ma le dichiarazioni dal medesimo rese in dibattimento, dal momento
che non vi era alcuna contrasto tra le dichiarazione, o meglio un iniziale
contrasto era stato immediatamente rimosso. Erano, pertanto, pienamente
condivisibili le affermazioni del primo giudice in ordine alla velocità tenuta
dagli imputati, ai sorpassi compiuti ed al fatto che avessero gareggiato tra
loro in velocità. Sussisteva il rapporto di
causalità tra le condotte degli imputati e l’evento: gareggiando in velocità,
seppure a seguito di decisione estemporanea, senza cioè un preventivo accordo,
si erano indotti l’uno con l’altro a raggiungere una velocità eccessiva,
inadeguata alle condizioni della strada, superiore ai limiti previsti. 2. – Ha proposto ricorso per
cassazione il difensore degli imputati (integrato da successiva memoria
illustrativa). 2.1. – Con il primo deduce
l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità,
segnatamente dell’articolo 500, commi 1 e 2, c.p.p. La Corte di merito avrebbe
utilizzato ai fini della decisione le dichiarazione rese dal D. V. alla polizia
municipale nella fase delle indagini preliminari ed utilizzate per le
contestazioni, in tal modo violando le disposizioni anzidette, alla cui stregua
le dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo
del pubblico ministero che siano lette per le contestazioni nell’esame
dibattimentale possono essere valutate soltanto ai fini della credibilità del
teste e non ai fini della prova. La violazione avrebbe – secondo il
ricorrente – un rilievo fondamentale in quanto, nel corso dell’esame
dibattimentale, a differenza di quanto avvenuto nella fase delle indagini
preliminari, D. V. aveva riferito solo di sorpassi effettuati dal G. e non
anche di sorpassi degli (o tra gli) imputati, in relazione ai quali si era
limitato a confermare quanto dichiarato alla polizia, dopo avere, peraltro,
premesso di non ricordare la circostanza. 2.2. – Con il secondo motivo
lamenta la manifesta illogicità della sentenza impugnata, dapprima riproponendo
la questione di inutilizzabilità delle dichiarazioni del testimone D. V.,
quindi contestando il giudizio di attendibilità espresso dalla Corte di merito in
relazione alle dichiarazioni rese dal D. V. e dal P.. In particolare, la deposizione del
P. sarebbe inattendibile nella parte in cui aveva affermato che le tre
autovetture, raggiuntolo, avevano dovuto accordarsi alla sua perché vi era
traffico nell’opposta corsia di marcia; lo aveva smentito il testimone P.,
affermando di essersi, a seguito dell’incidente, attivato per fermare la marcia
dei veicoli che stavano percorrendo la stessa corsia di marcia delle tre
autovetture, non quella opposta. 2.3. – Con il terzo motivo il
ricorrente denuncia l’erronea applicazione degli articoli 40 e 113 c.p.. Non sussisterebbero, in
particolare, elementi sufficienti per affermare che l’evento sia stato
determinato dalle condotte colpose degli imputati, anziché dalla grave ed
esclusiva colpa del G.. Quand’anche si fosse accertato che
il corteo delle tre autovetture procedeva, quando ancora si trovava a circa due
chilometri di distanza dal punto d’urto, a velocità elevatissime e con sorpassi
«interni», da ciò non potrebbe farsi derivare l’affermazione di responsabilità
degli imputati. Non sarebbe provato, in
particolare, il legame psicologico fra le condotte dei concorrenti; in altre
parole, che ognuno di loro fosse consapevole della convergenza tra il proprio
intendimento e quello degli altri. motivi
della decisone. 3. – Il primo motivo e la prima parte del secondo motivo del ricorso
sono inammissibili perché manifestamente infondati, nonché aspecifici. I motivi ripropongono, invero, le
stese ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame. La mancanza di specificità del
motivo deve, infatti, essere apprezzata non solo per la sua genericità, come
indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazione del giudice
censurato. Nella specie, la Corte di merito
aveva, invero, chiarito che, contrariamente a quanto affermato dall’appellante,
non vi erano state dichiarazione «difformi» del D. V., che aveva subito
affermato che rispondevano a verità le dichiarazioni rese nell’immediatezza dei
fatti, sicché non si erano realizzate le condizioni prospettate dalla difesa. 4. – La seconda parte del secondo
motivo del ricorso è inammissibile perché propone questioni di fatto,
suggerendo spunti, tra l’altro generici, dai quali si dovrebbe trarre argomenti
idonei a ritenere che le dichiarazioni del testimone P. sarebbero
inattendibili. Si è visto, per contro, che le
dichiarazioni del P: e di D. V., oltre che chiare e precise, si integrano
perfettamente, consentendo, la logica ricostruzione dei fatti proposta dai
giudici di merito. 5. – Il terzo motivo del ricorso è
infondato. La necessità o meno, affinché vi
sia cooperazione colposa (intesa quale concorso colposo nel delitto), di un
coefficiente psicologico che «leghi» le singole condotte dei soggetti che
«cooperano», ossia che concorrono nel delitto colposo, coefficiente psicologico
che viene in genere identificato nella consapevolezza della convergenza della
propria condotta con la condotta altrui (ovvero dell’altrui comportamento
concorrente con il proprio) in almeno dei partecipi (consapevolezza che sarebbe
l’elemento idoneo a differenziare la cooperazione colposa del concorso di
condotte colpose indipendenti), è questione di fondamentale importanza sul
piano dogmatico, ma che in questa sede non rileva. Ciò che rileva, nel caso in esame,
è che ciascuna condotta – sia che la si voglia ricondurre alla cooperazione,
sia che la si voglia assumere quale causa indipendente – possieda già in sé i
«crismi» che – in base ad una valutazione normativa – consentano di
qualificarla come «colposa». In altri termini, la singola
condotta colposa deve autonomamente caratterizzarvi per la violazione di una
regola cautelare. E così è stato nel caso in esame. Come puntualmente osservato dai
giudici di merito, gli imputati si sono resi responsabili di plurime violazioni
di norme sulla circolazione stradale, poste a presidio della sicurezza di
persone e cose; in ora notturna, in un tratto di strada fiancheggiato da
edifici, hanno messo in scena una competizione di velocità, sorpassandosi
vicendevolmente a velocità sostenuta e, comunque, non adeguata al contesto. Va, poi, osservato che dette
condotte sono state «causali» rispetto al drammatico evento, materialmente da
ascriversi al violento impatto dell’autovettura condotta dal G. il quale,
peraltro, mai si sarebbe venuto a trovare in quella situazione se non fosse
stato spinto dall’impeto suo e da quello dei suoi rivali quell’improvvisata
gara. Secondo i ricorrenti, non
sussisterebbero – come sopra si è detto – elementi sufficienti per affermare
che l’evento sia stato determinato dalle condotte colpose degli imputati,
anziché dalla grave d esclusiva colpa del G. Quand’anche si fosse accertato che
il corteo delle tre autovetture procedeva, quando ancora si trovava a circa due
chilometri di distanza dal punto d’urto, a velocità elevatissima e con sorpassi
«interni», da ciò non potrebbe farsi derivare l’affermazione di responsabilità
degli imputati. L’assunto non è condivisibile. A norma degli articoli 40 e 41
c.p. è, invero, causa penalmente rilevante la condotta umana, attiva o
omissiva, che si pone come condizione necessaria – condicio sine qua non – nella catena degli antecedenti che hanno
concorso a produrre il risultato, senza la quale l’evento da cui dipende
l’esistenza del reato non si sarebbe verificato. Per stabilire se una condotta
attiva o meno condicio sine qua non (e
quindi causa) di un certo evento, si deve ricorrere ad un processo di «eliminazione
mentale»: occorre cioè «eliminare mentalmente» l’azione che in effetti si è
verificata nella realtà, e chiedersi se, nella ipotesi in cui questa non vi
fosse stata, l’evento si sarebbe prodotto ugualmente, oppure no. Qualora a tale domanda si debba
rispondere negativamente, e cioè se si concluda che l’evento non si sarebbe
prodotto in mancanza di quell’azione, il nesso di causalità sussiste. Il
rapporto causale va invece escluso qualora si possa che l’evento si sarebbe
verificato comunque, anche se il soggetto agente non avesse posto in essere la
condotta de qua. Si perviene, dunque, senza dubbi
ragionevoli, ad affermare che sussiste il nesso causale tra la condotta degli
imputati e la morte di G. Se, invero, gli imputati non
avessero improvvisato quella gara di velocità, in ora notturna e su strada trafficata,
reciprocamente «eccitandosi» e proponendo, in un breve volgere di tempo, un
condensato di gravi violazioni delle norme in materia di circolazione stradale,
l’impatto mortale non si sarebbe verificato. Era, in particolare, agevolmente
prevedibile, secondo la migliore esperienza, che da quell’estemporanea gara
avrebbe potuto scaturire quell’evento. La gara avrebbe portato i veicoli
a raggiungere velocità elevatissime, eccessive rispetto alle situazioni
oggettive dei luoghi, con il rischio, in quella strada a curve, di perdere il
controllo del mezzo a causa della velocità o comunque di doversi trovare a
fronteggiare possibili ostacoli e, in ogni caso, di mettere a repentaglio
l’incolumità degli utenti della strada medesima, anche di quelli che procedevano
nell’opposto direzione di marcia. Queste considerazioni portano
altresì ad escludere l’invocata sussistenza di causa sopravvenute (nella
specie, la condotta del G.) da sole sufficienti a determinare l’evento. L’articolo 41, comma secondo,
c.p., afferma, invero ed in sostanza, che c’è nesso causale se l’evento è
(co)determinato da fatti sopravvenuti assolutamente imprevedibili ed anomali. Ciò che – come si è detto – non si
è verificato nel caso in esame. 6. – A seguito dei ricorsi
consegue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese
processuali ed alla rifusione in favore delle parti civili costituite delle
spese, che si liquidano in complessivi euro 3.585, di cui euro 85 per spese,
oltre Iva e C.P.A. (Omissis). |
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