(ASAPS) – Le
Sezioni Unite Penali della Suprema Corte hanno stabilito che il Giudice d’appello
può condannare l’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte
civile. Questo può accadere solo quando il giudice stesso ha dichiarato
l’estinzione del reato perché caduto in prescrizione e la parte civile è
ricorsa in appello contro la sentenza di primo grado di assoluzione del medesimo imputato dal reato contestato. Questo
quanto stabilito dalle Sezioni Unite Penali della Cassazione, con la sentenza
n. 25083 del 11 luglio 2006. (ASAPS)
SUPREMA
CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE PENALI
Sentenza
11 luglio 2006 - 19 luglio 2006, n. 25083
(Presidente
N. Marvulli, Relatore A. S. Agrò)
RITENUTO
IN FATTO
1. Il Tribunale di Brescia, con decisione dell’8
febbraio 2001, dichiarava non doversi procedere nei confronti di G. N. in
ordine ad alcuni episodi addebitatigli ai sensi degli artt. 81 e 594 c.p.
(commessi nel 1994) per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione,
assolvendolo dalla parte residua dell’imputazione(relativa al 1995) perché il
fatto non sussiste.
Contro questa decisione proponeva appello la parte civile A. C. e la Corte di
Appello di Brescia, con decisione del 19 ottobre 2004, nel dichiarare non
doversi procedere nei confronti del N. anche per la residua parte
dell’imputazione perché estinta per prescrizione, lo condannava al risarcimento
del danno in favore della parte civile oltre al pagamento delle spese di
costituzione della stessa per entrambi i gradi di giudizio.
2. Avverso la sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso per cassazione
il N. articolando tre motivi:
illogicità manifesta della motivazione, lamentando in particolare che non vi
sia corrispondenza tra la motivazione, che esclude la configurabilità del
delitto di diffamazione per l’assenza del destinatario delle espressioni
offensive, ed il dispositivo che dichiara non doversi procedere in ordine al
reato di diffamazione, così diversamente qualificata l’originaria imputazione
di ingiuria.
Violazione ed erronea applicazione dell’art. 578 cod. proc. pen., per essere
stata pronunciata condanna al risarcimento dei danni in favore della parte
civile nonostante la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, e
la mancanza di una sentenza di condanna in primo grado (ove il N. era stato
assolto per la parte non dichiarata già in quella sede prescritta).
Difetto di motivazione in relazione all’entità del risarcimento e alla condanna
alle spese del doppio grado di giudizio.
3. La Quinta Sezione della Corte, assegnataria del ricorso, ha rilevato come
sulla questione oggetto del secondo motivo di ricorso sussista un contrasto
giurisprudenziale e conseguentemente ha trasmesso il ricorso al Primo
Presidente, che lo ha assegnato alle Sezioni Unite Penali.
CONSIDERATO
IN DIRITTO
1. Come si è detto in narrativa, la Quinta Sezione
di questa Corte, rilevato il contrasto di giurisprudenza con riferimento al
secondo motivo di ricorso, ha rimesso alle Sezioni Unite la questione se il
giudice d’appello, nel dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione,
possa condannare l’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte
civile che abbia proposto appello contro la sentenza di primo grado di
assoluzione del medesimo imputato dal reato contestato.
A tale questioni le Sezioni Unite danno risposta affermativa per le seguenti
considerazioni e con i limiti che verranno precisati.
2. Il problema posto dalla Quinta Sezione, relativo ai limiti della cognizione
civile nel processo penale, si presenta, come è ovvio, nel caso in cui il
giudice dell’impugnazione, adito agli effetti civili, sia stato altresì investito
della cognizione penale, perché è esclusivamente in questa ipotesi che tale
giudice può dichiarare l’avvenuta estinzione del reato, dinanzi a una
precedente una sentenza assolutoria. Ed è poi circostanza priva di rilievo, sia
per il sorgere del quesito che per la sua soluzione, quella che l’impugnazione
agli effetti penali sia stata proposta o dal p.m. o, come nella specie accade,
ai sensi dell’art. 577 del codice di rito, dalla persona offesa per reati di
ingiuria e di diffamazione che ha richiesto anche il risarcimento.
E’ ancora irrilevante, sia pure ai soli fini della soluzione del caso concreto,
l’osservazione che l’art. 577 è stato esplicitamente abrogato dall’art. 9 della
legge 20 febbraio 2006, n. 46: la sentenza oggetto del ricorso è stata
pronunziata prima dell’abrogazione in parola e la sua validità deve essere
considerata con riguardo al sistema vigente al momento della decisione. Si deve
allora convenire che la Corte di Brescia, senza violare il divieto della
reformatio in peius, aveva il potere di dichiarare estinto il reato per
intervenuta prescrizione, in luogo della assoluzione pronunziata in primo
grado.
La qual cosa, dunque, non esime dal chiedersi ulteriormente se nella situazione
in cui si trovava la stessa Corte potesse condannare l’imputato al risarcimento
del danno.
3. E a questo proposito deve osservarsi che, in sostanza e con trascurabili
variazioni stilistiche, gli argomenti adottati dalle decisioni che abbracciano
la soluzione negativa fanno tutti leva sull’art. 578 cod. proc. pen..
Questa disposizione - si assume più o meno esplicitamente - disciplina per
intero la cognizione agli effetti civili del giudice dell’impugnazione, in ogni
caso in cui questi dichiari estinto il reato per prescrizione, anche in
presenza di un’impugnazione ai fini civili (cfr. Sez. IV,14 marzo 2002,
sent.19026, Colla ed altri secondo cui la norma in esame non distingue tra
impugnazioni proposte dal pubblico ministero e quelle delle altre parti nel
processo).
E’ così facile rilievo quello per cui la decisione agli effetti civili da parte
del giudice d’appello o della Cassazione, una volta sopravvenuta la
prescrizione del reato, è ammessa dalla norma in esame solo quando nei
confronti dell’imputato vi sia stata nel grado precedente una condanna, anche
generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato,
con conseguente difetto di giurisdizione "civile" del giudice penale
dell’impugnazione, nel caso in cui la prescrizione intervenga a seguito della
pronunzia di una sentenza di assoluzione dell’imputato o comunque di una
sentenza che già non contenga quella condanna alle restituzioni o al
risarcimento di cui s’è detto.
Nello stesso modo si è concluso che anche la Corte di Cassazione, ove, nel
ritenere fondati i ricorsi del procuratore generale e della parte civile
avverso sentenza assolutoria, annulli senza rinvio la sentenza impugnata per
prescrizione del reato, non può contestualmente decidere sull’impugnazione ai
soli effetti delle disposizioni concernenti gli interessi civili. Infatti,
l’applicazione dell’art. 578 cod. proc. pen. è subordinata alla condizione che
la pronuncia impugnata sia di condanna (Sez. fer., 28 luglio 1990, Calderoni,
m. 185.068).
4. In questa prospettiva, l’applicabilità dell’art. 578 cod. proc. pen., a ogni
giudizio di impugnazione che si risolva con l’estinzione del reato per
prescrizione o per amnistia, si ritrae dal fatto che il principio generale
vigente nel nostro ordinamento processuale, in ordine ai poteri del giudice
penale ed al riparto della giurisdizione tra giudice penale e giudice civile, è
quello secondo il quale il giudice penale, in tanto può pronunciarsi sulla
domanda risarcitoria o restitutoria, in quanto contestualmente giudichi e
accerti la sussistenza della responsabilità penale, alla quale consegue la
statuizione sulla responsabilità civile.
L’unica eccezione a questo principio– che, in quanto tale, non è suscettibile
di applicazione analogica -, eccezione che permette al giudice penale di
pronunciarsi sulla azione civile anche quando, per effetto di una sopravvenuta
amnistia o prescrizione, non può più giudicare sulla responsabilità penale,
sarebbe posta appunto dall’art. 578 cod. proc. pen. Questo consente sì al
giudice penale di statuire ai soli effetti civili anche allorché non può più
accertare direttamente la sussistenza di una responsabilità penale, ma richiede
necessariamente che sia già stata in precedenza emanata una valida sentenza di
condanna agli effetti penali e civili.
E’ stato così affermato che «quando … l’imputato in primo grado sia stato
prosciolto e, quindi, difetti qualsiasi delibazione in punto di responsabilità,
in sede di impugnazione, la declaratoria di prescrizione è ostativa in ordine a
qualsiasi indagine finalizzata alla decisione sugli effetti civili. Di
conseguenza, in tal caso, con l’estinzione del reato che la prescrizione
determina, viene meno anche il presupposto per una condanna al risarcimento dei
danni ed alle spese» (Sez.V, 3 ottobre 2000, sent. n. 11509, Macedonio e nello
stesso senso, Sez. III, 1 dicembre 2004, sent.
n.1988, Praticò, Sez. III, 5 dicembre 2005, sent. n. 13782, Trioni).
5. Ad accettare questo senso dell’art. 578 cod. proc. pen e cioè a
ritenere che la disposizione sia sempre applicabile in caso di dichiarazione di
prescrizione del reato nella fase di impugnazione, si danno tuttavia delle
conseguenze paradossali.
Avverrebbe cioè che, in presenza di assoluzione nel grado precedente, il
giudice potrebbe sempre conoscere dell’impugnazione agli effetti civili se il
giudizio a lui devoluto riguardasse soltanto tali effetti e quindi fosse
irrilevante la prescrizione del reato.
Ma, ove tale prescrizione potesse e dovesse dichiarare, perché gli è stato
devoluto anche il tema della responsabilità penale e non sussistono le condizioni
per la conferma della soluzione più favorevole per l’imputato, non potrebbe più
conoscere della responsabilità civile di quest’ultimo.
In altri termini proprio la mancata devoluzione della cognizione penale del
caso consentirebbe al giudice dell’impugnazione, ferma restando l’assoluzione
penale, di accertare, sia pure incidentalmente e ai fini civili, la sussistenza
di tutti gli elementi del fatto reato. Al contrario, una volta che il giudice
dell’impugnazione penale, accertati in via diretta gli elementi della specie,
abbia ritenuto che per quello stesso fatto non può adottarsi la soluzione
liberatoria raggiunta nel grado precedente e abbia dunque dichiarato la
prescrizione (decisione penalmente più sfavorevole per l’imputato), ogni
pronunzia sulla responsabilità civile di costui gli sarebbe preclusa dalla
precedente assoluzione. E ciò nonostante che in quest’ultima ipotesi la duplice
devoluzione sembrerebbe conferirgli maggiori poteri.
Né per superare simile aporia potrebbe immaginarsi che il giudice, adito per i
soli interessi civili, debba comunque accertare incidentalmente l’avvenuta
prescrizione del reato al momento della pronunzia, quale condizione per la
permanenza della sua cognizione. Rende irreale un simile accertamento
incidentale il dato di natura sostanziale che, per effetto della mancata
impugnazione ai fini penali della pronunzia assolutoria, la prescrizione penale
nella specie sottoposta a giudizio non decorre.
6. A ben vedere il paradosso appena delineato non è che un sintomo, sia pure
vistoso, dell’erroneo ambito di operatività che i sostenitori del difetto di
potere del giudice dell’ impugnazione necessariamente conferiscono all’art. 578
cod. proc. pen., come già hanno rilevato Sez. IV, 12 febbraio 2002, sent.12762,
Manca, Sez. II, 24 ottobre 2003, sent. 897/04, p.c. in proc. Cantamessa e Sez.
III, 11 febbraio 2004, sent. 18056, Rontani.
Comune alle decisioni appena citate è infatti l’osservazione che la disciplina
di cui all’art. 578 cod. proc. pen. non è applicabile allorché appellante o
ricorrente sia la parte civile, alla quale l’art. 576 del codice di rito
riconosce il diritto ad una decisione incondizionata sul merito della propria
domanda.
L’art. 578 cod. proc. pen. si riferisce invece al caso in cui l’impugnazione
sia dell’ imputato o del p.m. e solo in questa ipotesi richiede che, in
presenza di una declaratoria di amnistia o di prescrizione,per decidere agli
effetti civili,vi debba essere stata in precedenza una valida pronuncia di
condanna alla restituzione o al risarcimento.
In altri termini l’art. 576 e l’art. 578 disciplinano situazioni processuali
diversificate, mirando l’art. 578, nonostante la declaratoria della
prescrizione, a mantenere, in assenza di un’impugnazione della parte civile, la
cognizione del giudice dell’impugnazione sulle disposizioni e sui capo della
sentenza del precedente grado che concernono gli interessi civili, mentre
l’art. 576 conferisce al giudice dell’ impugnazione il potere di decidere sulla
domanda al risarcimento ed alle restituzioni, pur in mancanza di una precedente
statuizione sul punto.
7. L’art. 578 cod. proc. pen., erede dell’art. 12 della legge 3 agosto 1979, n.
405, costituisce dunque una deroga al principio della devoluzione, stabilendo
che la pronunzia di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione,
intervenuta dopo una prima condanna, non comporta effetti automatici sui capi
civili della decisione impugnata (salvo stabilire se questi effetti debbano poi
essere di caducazione o di conferma). Simile pronunzia di estinzione non esenta
invece il giudice dell’impugnazione dal prendere in considerazione a questi
fini il gravame.
La disposizione tuttavia non rappresenta l’unica eccezione fatta dal
legislatore al principio che il giudice penale in tanto può occuparsi dei capi civili
in quanto contestualmente pervenga a una dichiarazione di responsabilità
penale.
Mentre il vigente codice di rito esclude che possa essere rivisto
l’accertamento penale in mancanza di una impugnazione da parte del p.m., lo
stesso codice sottolinea all’art. 576, in questa parte non toccato dalle
modifiche apportate dalla legge n. 46 del 2006, come, per effetto
dell’impugnazione della sola parte civile, si possa rinnovare l’accertamento
dei fatti posto a base della decisione assolutoria, al fine di valutare la
sussistenza di una responsabilità per illecito e così ottenere una diversa
pronunzia che rimuova quella pregiudizievole per i suoi interessi civili.
In sintesi, la normativa processuale penale vigente ha scelto l’autonomia dei
giudizi sui due profili di responsabilità, civile e penale, nel senso che
l’impugnazione proposta ai soli effetti civili non può incidere sulla decisione
del giudice del grado precedente in merito alla responsabilità penale del reo,
ma il giudice penale dell’impugnazione, dovendo decidere su una domanda civile
necessariamente dipendente da un accertamento sul fatto di reato e dunque sulla
responsabilità dell’autore dell’illecito extracontrattuale, può, seppure in via
incidentale, statuire in modo difforme sul fatto oggetto dell’imputazione,
ritenendolo ascrivibile al soggetto prosciolto.
8. Va in tal modo riconosciuto che l’art. 578 cod. proc. pen è inapplicabile
alla problematica in esame e che il giudice investito dell’impugnazione della
parte civile, contro una sentenza di assoluzione per gli interessi civili,
ripete per intero le sue attribuzioni dall’art. 576 cod. proc. pen.
Per la sussistenza di tali attribuzioni, come s’è visto, è irrilevante
un’eventuale simultanea impugnazione ai fini penali, talché una declaratoria di
sopravvenuta prescrizione, esito di questa simultanea impugnazione, in nulla
influisce sulla necessità di pronunziarsi sulla domanda civile.
Così il giudice dell’impugnazione, adito ai sensi dell’art. 576 cod. proc.
pen., ha, nei limiti del devoluto e agli effetti della devoluzione, i poteri
che il giudice di primo grado avrebbe dovuto esercitare.
Se si convince che tale giudice ha sbagliato nell’assolvere l’imputato ben può
affermare la responsabilità di costui agli effetti civili e (come indirettamente
conferma il disposto di cui all’art. 622 cod. proc. pen.) condannarlo al
risarcimento o alle restituzioni, in quanto l’accertamento incidentale equivale
virtualmente – oggi per allora - alla condanna di cui all’art. 538 comma 1 cod.
proc. pen., che non venne non pronunziata per errore.
Tanto, come sì è detto, anche nel caso in cui sia sopravvenuta l’estinzione del
reato per prescrizione, laddove se la prescrizione si sarebbe dovuta
pronunziare in primo grado, in luogo della formula più liberatoria, allora, e
solo in questo caso, il giudice dell’ impugnazione, sebbene adito ai sensi
dell’art. 576 cod. proc. pen., non può provvedere agli effetti civili, per
effetto dell’art. 538 comma 1 cod. proc. pen., che è stato appena richiamato.
9. Queste considerazioni conducono a ritenere privo di fondamento il ricorso
proposto da G. N., perché, come già rilevato dalla Quinta Sezione, il primo
motivo dedotto è inammissibile. Infatti, con esso il ricorrente, pur
riconoscendo che la soluzione raggiunta è giuridicamente corretta, si limita a
lamentare l’errore di motivazione con cui tale soluzione è stata giustificata.
Ma inammissibile è anche il terzo motivo di ricorso, dato che la valutazione
del danno non trasmoda in palese irragionevolezza e non è dunque censurabile in
questa Sede. Altrettanto va detto per la liquidazione delle spese: la richiesta
di una soluzione più equa consiste, all’evidenza,in una critica al modo di
esercizio di poteri discrezionali, improponibile nel giudizio di legittimità.
10. Alla reiezione del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta
il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
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