Premessa: cos’è
l’osservatorio L’idea – abbiamo detto più volte – nasce dalla sensibilità
acquisita con l’osservazione costante della cronaca. Il concetto racchiuso in
un graffito, sul muro di una grande città: “sbirri pikkiati”. Subito è stato
aperto un cassetto vuoto o, come diciamo oggi nell’era dell’informatica, una
“cartella”, riempitasi già il primo giorno. “Calci e pugni” le parole più
frequenti, e poi “alcol”, “droga”, “armi”. Uomini e donne in divisa presi a
botte da pregiudicati e da casalinghe, segno di un’insofferenza crescente che
deve essere analizzata. Così, mentre la cartella si riempiva, la Facoltà di psicologia
dell’Università di Bologna ha studiato i primi dati da noi raccolti ed i vari
corpi hanno attinto le informazioni per mettere a punto nuove strategie. All’indirizzo
e-mail arrivano segnalazioni, storie, particolari che hanno segnato
pesantemente la vita della gente in divisa, presa a calci e pugni, a
bottigliate, coltellate, colpi d’arma da fuoco o investita. Nella storia di
questo Osservatorio, uno dei tanti dell’Asaps, abbiamo saputo di auto fatte
saltare, di caserme prese a pistolettate, di pazzi che scagliano massi sulle
pattuglie in transito, di casalinghe che aggrediscono agenti impegnati a far
attraversare i bambini sulle strisce davanti a scuola o fatti attaccare da cani
feroci. L’ordinario è ancora più semplice, con scariche di botte innescate dai
fumi dell’alcol, dalla rabbia di essersi sentiti chiedere la patente, o di
essere finiti nel mirino di un telelaser. Un gesto – quello incivile della trasgressione
– che sembra essere stato assunto a modello legittimo, l’esatto contrario di
quello che invece è – ormai nell’immaginario – l’atto di chi contrasta
l’illecito. Insomma, “beccare” chi viaggia forte, chi è fuori regola, è
considerato un atto vigliacco l’unico
modo di far valere “il proprio diritto violato” è quello di reagire con la
forza. Una realtà diversa che pare essere quasi ordinaria, che l’Asaps si è
sentita in dovere di raccontare e di analizzare. Senza vittimismo, ma con la
voglia di capire “perché”. Una risposta ancora non ce l’abbiamo: l’osservatorio
vive da molti anni e si è evoluto con noi. Oggi la puntuale analisi dei fatti
di cronaca ci permette di archiviare centinaia di episodi, che sappiamo essere
– purtroppo – solo la punta di un iceberg. Speriamo di venirne a capo, speriamo
di poterne cavare qualcosa: intanto capire la motivazione di questa violenza,
crescere dunque la nostra professionalità e infine sperare che qualcuno prenda
provvedimenti. Che insomma, ci tuteli.
L’analisi del
fenomeno Non è attualmente possibile, per l’Asaps, effettuare
osservazioni diverse: la ricerca è stata improntata all’analisi degli episodi
per i quali potesse essere certa la dinamica. 372 episodi, tutti rilevati dalla
nostra rete di referenti sul territorio italiano, pervenuta e corredata di
adeguate garanzie sulla veridicità delle informazioni su un apposito account di
posta elettronica e, infine, dall’analisi della cronaca. È possibile affermare, con certezza, che gli episodi più
gravi finiscano nel nostro archivio, ma è altrettanto vero che si tratta della
punta minuscola di un iceberg immenso, in continua espansione. Si tratta di reati per i quali l’accertamento della
colpevolezza è relativamente più semplice rispetto a molte altre fattispecie di
reato: insomma, chi aggredisce un tutore della legge, dovrebbe sapere che le
conseguenze sono certe, eppure nel 2002 le persone denunciate per reati di
violenza e resistenza a pubblico ufficiale sono state 19.256, divenute 25.800
nel 2004. Il trend è confermato dal numero di persone condannate per questi
tipi di reati: nel 2000 erano state 6.866, nel 2001 8.973, nel 2002 8.805, nel
2003 10.101 e, infine, nel 2004 ben 10.928. Questi dati sono stati estratti
dall’annuario delle Statistiche Giudiziarie Penali redatto da Istat nel 2006. Ciò che rende “cieca” questa violenza è in larga parte l’assunzione
di alcol (o droga) da parte dei protagonisti: se infatti un operatore di
polizia è addestrato a misurarsi con le figure criminali, tanto che il rigido
rispetto delle tecniche operative mette spesso al sicuro gli operatori
dall’azione/reazione di un delinquente, la persona in stato di ebbrezza (cosa
assolutamente diversa dall’ubriachezza), ha invece reazioni inaspettate:
l’organismo umano risente pesantemente degli effetti depressivi esercitati
dall’alcol sul sistema nervoso centrale che, nel giro di pochi istanti, possono
trasformare un soggetto apparentemente inoffensivo in una belva, che rende l’aggressività
così amplificata in vera e propria arma. Si pensi dunque alle effettive dimensioni del fenomeno e
si capirà che il numero di episodi monitorati dall’osservatorio è
effettivamente basso rispetto alla reale consistenza della fattispecie
criminale. Abbiamo potuto notare che una buona parte di questi
fenomeni, come si potrà evincere scorrendo il report (sul sito www.asaps.it)
trova origine in contesti di controllo della circolazione stradale, ma non
mancano episodi legati al controllo del territorio: per questo motivo, i tutori
dell’ordine più a rischio sono gli operatori della Polizia di Stato (in larga
parte Polizia Stradale e Squadra Volanti) e dei Carabinieri (Territoriale e
Nucleo Radiomobile), seguiti dalla Polizia Locale. A differenza di quanto rilevato nel corso delle precedenti
rilevazioni, nelle quali era stata la Polizia a far registrare il numero maggiore di
aggressioni, il primo semestre del 2007 ha evidenziato una sostanziale parità tra
113 e 112, con un leggero svantaggio dei Carabinieri, oggetto di 148 episodi di
violenza a carico di appartenenti all’Arma (39.8%), rispetto a 146 denunce
elevate nei confronti di violenti nei confronti delle “Giacche Blu”, bersaglio
del 39.2% di attacchi. Il prezzo pagato è evidentemente dovuto al fatto che la presenza
di operatori delle due forze di polizia è articolata nell’arco delle 24 ore. Le
unità di pronto intervento rispondono infatti alla maggior parte di richieste
ed eseguono il maggior numero di interventi territoriali. A carico della
Polizia Locale (in prevalenza Vigili Urbani), abbiamo preso in considerazione 80
violenze (21.6%). A questo proposito, dobbiamo ringraziare Stefano Mingoia
(SULPM di Bologna), che collabora giornalmente alla raccolta dati. Come al solito, abbiamo rilevato una certa incidenza di
violenze subite da altri rappresentanti dello pubblica amministrazione in
genere (14%) che, nell’esercizio delle proprie funzioni, rivestono la qualifica
di Pubblico Ufficiale (o Incaricato di Pubblico Servizio) nonché quella di
Ufficiale ed Agente di Polizia Giudiziaria: ci riferiamo alle altre polizie
dello stato (Guardia di Finanza, Polizia Penitenziaria e Corpo Forestale dello
Stato), ma anche ai Vigili del Fuoco, ai Sanitari del 118, alle Guardie
particolari giurate nel corso di specifici servizi di vigilanza, oltre a
tranvieri o ferrovieri. A proposito di questa distribuzione, dobbiamo chiarire che
le percentuali – sommate tra loro – non conducono al 100%: questo perché in
molti singoli episodi, le FFPP intervenute sono più di una, ma tutte prendono
puntualmente “calci e pugni”. Il maggior numero di eventi vede il Nord Italia nettamente
più “pericoloso”, con 206 eventi (55.4%), seguito a pari merito Centro del
paese e dal Mezzogiorno, curiosamente con 83 episodi ciascuno (22.3%). Questo particolare trova spiegazione nella maggior quantità
di controlli stradali relativi a velocità e stato di ebbrezza, con il
conseguente prelievo forzato di punti dalle patenti di guida: ci sembra
evidente che dove la presenza delle polizie è maggiormente avvertibile viene
poi rilevata questa crescente aggressività nei loro confronti. Un’ulteriore conferma, per gli esperti del settore, viene
dai fattori scatenanti, nei quali l’alcol – che nell’incidentalità viene
stimato causa di 1/3 dei sinistri – vanta l’assoluto primato. Dei 372 eventi
monitorati, infatti, ben 205 (55.1%) ha avuto come caratteristica peculiare l’assunzione
di alcol (o droga) da parte del/dei protagonista/i. Dunque, più di uno su due. Ciò corrobora la nostra vecchia tesi: se consideriamo che
una buona parte dei restanti attacchi violenti, 167 in tutto (44.9%) sono
connessi in larghissima parte a puri atti delinquenziali per i quali le forze
dell’ordine erano entrate in azione, possiamo tranquillamente sostenere che le
divise pagano in prima persona lo scotto di un crescente disagio sociale
alcol-correlato. Ma a questo disagio sociale se ne lega un altro: a
differenza delle precedenti rilevazioni, abbiamo infatti deciso di rilevare il
numero di violenze commesse da cittadini stranieri. In tutto, nel primo
semestre, ne abbiamo osservate 156, il 41.9% del totale: una cifra
considerevole, sul cui merito non possiamo esprimere giudizi. La maggior parte
di essi, sono comunque legati all’uso di alcol, a dimostrazione di quanto
rilevante sia anche questo problema e di quanto i vari mali del nostro tempo
siano in effetti collegati tra loro. 78 eventi (21%) hanno avuto come caratteristica peculiare
l’uso di strumenti d’offesa da parte degli aggressori. Precisiamo che, nella
nostra ricerca, è considerata arma qualsiasi oggetto che estenda il potenziale
offensivo dell’aggressore: veicolo lanciato contro gli agenti o bottiglie
rotte, alla stregua di armi da taglio (si è fatto uso anche di machete) o da
sparo. La Compagnia Carabinieri di Imperia, ha deciso di adottare
la Tolleranza Zero
proprio nei confronti di chi insulta un proprio militare, sostenendo che tale
condotta integra il reato di resistenza a Pubblico Ufficiale. Sono anni che gli
uomini e le donne in divisa devono subire umiliazioni ed offese – soprattutto
da quando il reato di oltraggio è stato depenalizzato – facendo venire meno la
certezza di essere rispettati: tuttavia, la classica goccia di troppo è
arrivata nella serata dello scorso 5 agosto, quando uno studente di 25 anni,
fermato per un controllo da una pattuglia del Nucleo Radiomobile, ha detto al
sottufficiale che gli chiedeva i documenti: “Anziché rompermi i coglioni, perché non vai a farti ammazzare a
Nassiriya?” La frase, di per sé, sarebbe già fin troppo offensiva, ma
quel Carabiniere era davvero davanti alla Base “Maestrale” al momento
dell’attacco e così – dopo aver visto morire 28 persone (19 italiani e 9
iracheni) – ha denunciato il giovane per resistenza. Altro che ingiurie e
minacce: l’insulto o la minaccia proferiti prima della stesura del verbale,
implicano un tentativo di impedire al pubblico ufficiale di proseguire con il
suo lavoro, quindi c’è la resistenza, che può comportare anche l’arresto
immediato.
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