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Articoli 29/05/2003

L’autovelox: l’antimacchina del tempo

 L’autovelox: l’antimacchina del tempo


di Ugo Terracciano *

 L’autovelox? è uno strumento antistorico: non solo fa arrabbiare gli automobilisti frettolosi che si vedono sanzionare quell’insuperabile necessità di correre; non solo fa lavorare come facchini i giudici di pace che, tra le righe del codice (e talvolta di chi sa quale altro libro o romanzo), devono arrovellarsi per cestinare, con sentenze a dir poco originali, il verbale prodotto da questi micidiali aggeggi, ma l’autovelox è qualcosa di molto peggio, è "l’antimacchina del tempo". Sì, perché è la stessa storia dei trasporti e della motorizzazione civile a dimostrarci che senza velocità non c’è progresso. Quindi, mettere due agenti muniti di macchinetta per registrare quel singolo episodio, fotografarlo e sanzionarlo, è un atto contro la libertà dei popoli e delle nazioni. Nessuno può negare quale impulso abbia dato allo sviluppo dei rapporti umani la scoperta della ruota. Con questa nasce e si sviluppa la pratica dei trasporti, degli scambi commerciali, del trasferimento di beni. Cosa sarebbe stata, poi, la potenza economica e militare dell’impero romano senza quella formidabile rete di "autostrade" che rappresenta ancora oggi la struttura principale della viabilità statale nel nostro Paese? Già a quei tempi si correva piuttosto forte: è storicamente provato che Cesare percorse millecinquecento chilometri in otto giorni, mentre il messaggero che il senato mandò a Galba, per annunziargli la morte di Nerone, impiegò trentasei ore a battere cinquecento chilometri. Certo, allora il tempo si misurava con le clessidre, ma anche volendo farne la tara resta comunque una bella velocità se consideriamo che le strade venivano percorse a cavallo. Ciò non toglie che il problema della sicurezza stradale, anche allora, doveva essere discretamente avvertito se è vero che risale ai tempi di Giulio Cesare, nel 45 a.C., il primo provvedimento formalmente emanato in materia. Si tratta della lex Iulia Municipalis che vietava l’accesso in Roma, nelle ore diurne, dei carri adibiti al trasporto delle merci, con la sola esclusione di quelli che caricavano materiale edilizio per la costruzione degli edifici di culto. All’epoca di Nerone, poi, nel 54 d.C. con un provvedimento dell’imperatore viene affrontato per la prima volta nella storia il problema della velocità e della visibilità del mezzi: un editto impone l’obbligo a tutti i conducenti di carri veloci, cioè di quelli trainati da cavalli, di tenere, di notte, una torcia accesa per evitare ai passanti di rimanere travolti sotto le ruote. Come si vede i provvedimenti del Ministro Lunardi sui fari accesi in autostrada e sulle statali hanno un antecedente storico di tutto rilievo. Nel Medioevo il problema della disciplina stradale sembra essere accantonato: le strade diventano terreno di caccia di briganti e predoni ed a prevalere evidentemente è il problema della sicurezza tout curt, divenendo più che lecito e comprensibile correre e scappare a gran velocità. La vera rivoluzione avviene alla fine del 1700 ed agli inizi del diciannovesimo secolo, quando scienziati e costruttori cercano di creare mezzi veloci per soppiantare il trasporto con traino animale. In questo periodo, prima tiepidamente, poi con un interesse più marcato, intervengono anche gli ordinamenti statuali per disciplinare il nuovo fenomeno della motorizzazione. Erano passate quasi inosservate, alle pubbliche autorità parigine, per esempio, nel 1796, le nuove potenzialità sviluppate dal prototipo di Cugnot: un veicolo a tre ruote, propulsione a vapore, che spinto al massimo della velocità poteva battere i 10 km/h. Per la verità non si trattava ancora di un valido sostituto delle carrozze trainate da cavalli, non solo perché quelle correvano di più, ma anche a causa della scarsissima autonomia, di appena 15 minuti, di questo strano veicolo antenato dell’automobile moderna. Il quarto d’ora di autonomia, tradotto in termini di distanza corrispondeva alla possibilità di percorrere due chilometri e mezzo con un pieno. Per questa scarsa rilevanza nessun provvedimento di legge riguardò la macchina di Cugnot. Le cose andarono diversamente in Inghilterra dove agli inizi dell’800 i modelli "preistorici" di automobile venivano sempre meglio perfezionati. Nel 1828 Marc Siguin inventa il differenziale, i veicoli a vapore correvano ormai speditissimi alla velocità di ben 20 km/h e quindi in circolazione iniziano a vedersi signorotti benestanti a bordo di queste nuove diavolerie del progresso. Le lobbies delle compagnie di trasporto ferroviario incominciarono a temere la concorrenza di questi veicoli capaci di viaggiare senza rotaie ed attivarono, timorosi delle perdite economiche che in prospettiva potevano derivarne, una vera e propria azione di pressing sul Parlamento affinché ponesse qualche rimedio. Nasce così, nel 1837, la legge "red flag bill", che prescriveva ai conducenti di questi "pericolosi" veicoli a vapore di non superare la velocità di 4 miglia orarie, con l’obbligo di farsi precedere da un uomo munito di bandierina rossa o, di notte, di lanterna. Se non è un rigoroso esempio di prevenzione stradale questo, il nostro autovelox può essere considerato niente più che un paliativo. Ma in realtà, i provvedimenti dell’autorità, non potendo vietare la circolazione dei veicoli ad autopropulsione, cercavano di bloccarne lo sviluppo, guarda caso imponendo una velocità limitata. Resta il fatto che la legge "della bandierina rossa" rimane un provvedimento isolato — e poco efficace a conseguire lo scopo per cui era stata promulgata - poiché solo dopo anni si giungerà a un corpo di norme più completo. Nel frattempo il veicolo ad autopropulsione si perfeziona e soprattutto acquista maggiore velocità ed autonomia. Dal 1843 al 1876 si sviluppano gli studi sul motore a scoppio. Il 26 gennaio 1886 Karl Benz di Manneim brevetta il primo veicolo a miscela: la Mercedes diventa la prima macchina, intesa in chiave moderna, nel mondo. Dal 1883 al 1886 avvengono le prime gare su strada e nella Parigi-Bordeaux i fratelli Michelin montano per la prima volta i pneumatici sui veicoli da corsa. Con le gomme aumenta la velocità e la stabilità del veicolo: la strada che conduce ai moderni autodromi è oramai tutta in discesa. E’ avvenuta la rivoluzione della motorizzazione civile e parallelamente lo Stato interviene con le sue leggi a regolamentare, disciplinare e vietare. Nel 1901 il regio decreto n. 416, nel 1913 la legge n. 739, nel ’23 e nel ’28 altri due decreti: il 3043 e 3179. Poi il codice della strada del ’59 e finalmente quello vigente del 1992. La lunga storia della motorizzazione, insomma, si risolve in atavica lotta tra la necessità di muovesi velocemente ed il contenimento dei costi che questa velocità comporta. Nuovi strumenti di rilevazione, provvedimenti di legge rigorosi, giudici di pace propensi a credere che correre forte sia un fatto più che accettabile, esercizi di diritto bizantino per scovare la virgola sbagliata sul verbale: tutto normale, tutto perfettamente in linea con la storia. Ma se è la velocità il vero volano del progresso, la perdita di vite umane, i feriti e gli invalidi, le tragedie familiari, il dolore, le stragi del sabato sera e quelle del week-and, sono il costo che dobbiamo accettare? Fermate il mondo: vogliamo scendere. O almeno rallentatelo.

* Funzionario della Polizia di Stato
Comandante della Polizia Municipale di Forlì



di Ugo Terracciano

da "Il Centauro" n. 77
Giovedì, 29 Maggio 2003
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