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Articoli 28/04/2020

di Lorenzo Borselli*
Il mestiere del poliziotto ai tempi dei Covid-19. Cosa accade, perché, come comportarsi

Foto di repertorio dalla rete

“Nonostante tutte le critiche e i pregiudizi di chi vive al di fuori del gruppo, penso che esso non possa mai essere qualcosa di negativo e se a volte percorriamo una strada che non è la nostra a causa dell'influenza che gli amici hanno su di noi, non importa, perché alla fine saremo noi ad accorgerci di aver sbagliato, noi rimedieremo al danno fatto e non loro.
Questo è ciò che gli altri non riescono a capire.”

Enrico Brizzi, “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”.

 

 

 

(ASAPS) Forlì, 28 aprile 2020 – Nell’immensa quantità di filmati e di contenuti multimediali che si sono propagati nella rete, nel corso della quarantena planetaria, ce ne sono molti che rappresentano lo specchio di una parte della società moderna.
Parliamo degli odiosi video nei quali arroganti paladini della libertà sono andati letteralmente a caccia di agenti per rivendicare il proprio diritto a farsi i cavoli propri, in realtà assimilabili alla categoria di riottosi al rispetto delle regole che, nel pieno dell’emergenza Covid-19, hanno deciso di palesarsi ancora una volta documentando la loro offensiva a quelli che, in prima linea, ci stanno davvero.

Intendiamoci: in questa pandemia, il mondo moderno ha dovuto riscoprire l’ancestrale pratica di tenere al sicuro vecchi e bambini, mentre gli adulti, almeno una parte di essi, sono rimasti fuori a garantire i beni essenziali e l’assistenza ai malati.
Attenzione però: l’assistenza è andata in gran parte solo ai malati di Covid, perché: 1) è questa la minaccia più forte per la società; 2) gli Stati, Italia in testa, hanno scoperto di non essere affatto preparati.

Ora: al netto dei soliti complottismi, è fuori discussione che il coronavirus (anzi, il “nuovo” coronavirus) abbia letteralmente mietuto, e mieterà, centinaia di migliaia di vite e in attesa che la scienza ci consegni un vaccino o una cura, la sola arma che abbiamo è l’adesione collettiva alle regole che ci sono state impartite.
Non bisogna essere scienziati, e nemmeno particolarmente intelligenti, per capire che se stiamo distanti il virus non ci becca: presto capiremo quanto distanti si debba stare, se saranno necessari altri accorgimenti, tipo una bella barriera tra ombrelloni sul bagnasciuga o tra i tavoli di una trattoria, se dovremo rassegnarci ad andare in giro mascherati e guantati, se, tra i beni di prima necessità per il calcolo dell’inflazione, finiranno anche i gel disinfettanti e se dovremo far sanificare gli impianti di condizionamento dell’aria una volta alla settimana. Nel frattempo, l’unica difesa possibile è il rispetto delle regole e, come in tutti gli scenari nei quali sia necessario che tutti si attengano alle norme, bisogna che qualcuno vada in giro a controllare.
Ed eccoci al dunque: i controllori.
Siamo noi. Persone come tutte le altre, che hanno dovuto continuare a lavorare per garantire i servizi essenziali, ma che, prima e dopo il turno, se ne devono stare in quarantena come tutti gli altri.

All’inizio era tutto un cantare “Fratelli d’Italia” dalla finestra e abbiamo visto un’infinità di balconi decorati con arcobaleni e hashtag vari (i più famosi? #andràtuttobene e #restateacasa). Abbiamo visto video emozionanti di un popolo, il nostro, dei suoi monumenti e delle sue bellezze naturali. Immagini festose, le Frecce Tricolori, il crescendo vocale del Nessun Dorma intonato dalla voce potente di Luciano Pavarotti, colonna sonora naturale della nostra comune lotta.
Poi, iniziano i problemi. Moltissimi. Le rivolte nelle carceri, scoppiate tutte insieme, sincronizzate, alle quali sono seguite le inquietanti scarcerazioni di calibri da novanta della criminalità organizzata; i soldi che tardano ad arrivare, le introvabili mascherine, ospedali costruiti a tempo record senza dottori e infermieri e, le lasciamo per ultime perché il tema riguarda l’odierno nostro contributo, multe vessatorie e prepotenze varie di uno Stato che sopprime le libertà.
Ma cosa sono le sanzioni? Facciamo un passo indietro: cos’è un “illecito”? Chi studia, o ha studiato, il Diritto, nelle sue varie forme, sa bene che l’illecito è un comportamento umano: una persona, cioè, viola un dovere o un obbligo, spesso posto da una norma giuridica, al quale un’altra norma ricollega una sanzione.

Una piccola analisi in merito alle regole. Diciamoci la verità: che palle le regole! Chi ha il diritto di vietarci qualcosa? Vado a correre? Vado a farmi un giro in macchina? Vado a fare la spesa sette volte alla settimana (o sette volte al giorno)? Vado qualche giorno nella mia seconda casa? Che male faccio? L’ex Procuratore della Repubblica di Torino, Giancarlo Caselli, alcuni anni fa, aveva fatto l’esempio, in un articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano”, degli escrementi del cane lasciati per strada, della revisione periodica dell’auto, del rosso semaforico: raccogliamo le deiezioni perché qualcuno non le calpesti o perché, se ci beccano, ci fanno la multa? C’è qualcosa di più, spiegò Caselli: “il rispetto della legge conviene. Serve ad evitare effetti dannosi per sé e per i terzi (se al semaforo passiamo col rosso, rischiamo di andare a sbattere e di fare del male a noi stessi e alle altre persone o cose coinvolte). C’è poi una della legalità persino superiore. Vale a dire che l’osservanza della legge non solo può evitare conseguenze negative: può anche causare effetti positivi, benefici. Nel senso che solo seguendo le regole si può vivere serenamente insieme (ancora utilizzando l’esempio del semaforo: se nessuno rispettasse le regole della circolazione stradale, nelle grandi città la vita sarebbe di fatto impossibile, per il caos e la paralisi permanenti)”.
Ci siamo? In mezzo, tra regola e sanzione dovrebbe esserci il buonsenso.
Esempio: in Toscana, una pattuglia, che ha interpretato rigidamente (sbagliando, secondo noi) una delle norme anti-Covid vigenti, ha multato due genitori che accompagnavano la figlia ad una visita medica ospedaliera di controllo, in relazione ad una grave malattia, di quelle che solo a leggere il referto bisognerebbe salutare alla visiera e dare il via libera (leucemia). All’atto è seguito il filmato, che è poi andato in rete e cosa succede?
Succede che quella umana solidarietà agli Eroi in divisa inizia a scalfirsi, perché l’applicazione della sanzione origina da un comportamento umano che appare oggettivamente giusto e perché, conseguentemente, se non c’è nessun illecito presupposto, allora, questo è il ragionamento, il controllore è in malafede. Che abbia semplicemente sbagliato, fateci caso, non ci ha pensato nessuno. Lo ha fatto il suo superiore gerarchico, che poche ore dopo ha chiamato “i trasgressori”, ha spiegato loro che tali non erano, archiviando il verbale in “autotutela”, con tanto di scuse: non c’è stata nemmeno la necessità di impugnazione.
Era una situazione evidente: la famiglia voleva stare unita in quel momento, era un loro diritto.
Ma nel corso di una giornata di servizio, avete idea delle cose che sentiamo? Di quello che ci viene detto? Dello stress operativo che comporta passare ore a incontrare gente che ti si avvicina alla faccia e ti urla, ti sfotte e che ti accusa di essere il braccio autoritario di uno Stato che sopprime ingiustificatamente le libertà costituzionali?

La stessa scalfittura dell’immagine è arrivata per la sanità: alle migliaia di addetti, tra medici, infermieri e operatori sanitari in genere, molti dei quali ammalatisi per continuare la propria opera, si sono contrapposti un pugno di assenteisti, di “furbetti”, peraltro tutti perseguiti. Le prove di “abnegazione e di umana solidarietà”, motivazioni, queste, che dovrebbero valere una medaglia d’oro al valor civile all’intera categoria, oltre che le sfilate di ringraziamento davanti agli ospedali e le pizze omaggio recapitate ai pronti soccorso, sono state oscurate dalla pubblicazione della lettera di un anziano, ricoverato a morire in una RSA “lager”, che ha vergato di pugno una lettera affidata ad una suora, i suoi ultimi pensieri prima di andarsene.
È purtroppo del tutto normale che, dopo l’entusiasmo iniziale, la gente inizi a soffrire della prolungata privazione della libertà: fa parte del clima di guerra che la crisi sta evocando, che per molti è equivalsa ad una “misura afflittiva”, direbbero i giudici.
Così, e torniamo ai molti video diffusi in rete, si è scatenata la caccia allo sbirro: qualcuno è andato letteralmente a cercarsi un posto di blocco per inscenare il blitz, qualcun altro, incappatoci per caso, ha semplicemente colto l’occasione al volo.

Alcuni di questi video sono diventati virali (e in epoca pandemica sembra quasi un eufemismo utilizzare tale aggettivo): ricordiamo il ciclista filmatosi a Trento mentre si dichiara, ai poliziotti, soggetto di diritto internazionale (ma che vuol dire?) o la macchina di furbi che rifiuta di con segnare la patente in mano ai Carabinieri, facendola vedere dal vetro (invocando un certo articolo del codice della strada, che tratta invece di assicurazioni). Più di recente, un arresto effettuato dalla Finanza in provincia di Firenze o le offese, ancora una volta ai poliziotti, da parte di una coppia multata perché in giro senza mascherina.
Si pongono dunque, due questioni: una morale ed una legislativa.

Tra le impreparazioni dello Stato, le forze dell’ordine non hanno fatto eccezione. Hanno dato tutto quello che avevano a disposizione, in termini di impegno e disponibilità, ma l’età anagrafica media dei ranghi e la necessità di battere quanto più territorio possibile, ha condotto molti uffici di polizia a rimettere in strada operatori impreparati a quello che resta uno dei momenti più difficili della vita operativa: il faccia a faccia con il “privato” (della libertà) cittadino.
Il quale, se alcune divise non hanno dato prova di adeguata preparazione, non si è certo dimostrato da meno. Proviamo a dare qualche indicazione.

Scenario 1: richiesta dei documenti di identificazione, il controllato rifiuta. Chiariamo subito: non esiste alcun obbligo di avere un documento di riconoscimento con sé, a piedi o in bicicletta e se si è cittadini stranieri comunitari. Per gli extracomunitari, di contro, l’obbligo c’è(1), e vige anche per le persone ritenute pericolose o sospette(2). Se si è in auto, invece, la patente di guida (che è un documento di riconoscimento(3)) deve essere esibita, in quanto attesta l’autorizzazione alla conduzione di un veicolo. Il documento deve essere consegnato al Pubblico Ufficiale, che, nell’esercizio delle proprie funzioni, deve verificarne l’autenticità. Se la persona non esibisce la patente per il controllo (facendola solo vedere dal finestrino), incorre nell’ipotesi prevista e punita dall’art. 651 del codice penale (Rifiuto d'indicazioni sulla propria identità personale), arresto fino a un mese e ammenda fino a 206 euro. Se, invece, la patente è rimasta inavvertitamente a casa, sarà sufficiente declinare le generalità al richiedente, il quale verificherà, subito o successivamente, se si sia trattato di una dimenticanza o se la mancanza era dovuta al fatto di non averla mai conseguita o perché già precedentemente ritirata. Tutt’al più, la disattenzione costerà un verbale amministrativo da poco meno di 40 euro. Se, però, l’identificazione del sedicente non può dirsi certa, allora la legge consente l’accompagnamento in ufficio per la formale identificazione (per mezzo dei rilievi segnaletici), così come previsto dal Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza(4). La stessa norma consente all’Autorità di PS di ordinare “alle persone pericolose o sospette di munirsi, entro un dato termine, della carta di identità e di esibirla ad ogni richiesta degli ufficiali o degli agenti di pubblica sicurezza”.

Scenario 2: richiesta di sottoscrivere l’autocertificazione, il controllato rifiuta, rifiutando, altresì, di voler spiegare le ragioni del suo spostamento. L’art. 16 della Costituzione spiega che “ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche”. La limitazione della nostra libertà di movimento è dovuta a ragioni di carattere sanitario e, quindi, dobbiamo accettare la situazione. Soprattutto, dobbiamo giustificare le ragioni del nostro spostamento: andiamo a lavorare, a comprare qualcosa? Ebbene, siccome le attività commerciali aperte vanno considerate essenziali in base alla normativa emergenziale vigente, l’acquisto dei beni e servizi da esse erogati si configura in termini di necessità. Ma, rassegniamoci, dobbiamo spiegarlo.

L’autocertificazione, che viene richiesta al cittadino (tanto che sono in molti a portarsela dietro), è un modo che è offerto di accorciare i tempi di un controllo che è imposto da una condizione di emergenza sanitaria e non certo dalla curiosità dei poliziotti. Non portarla con sé, non volerla sottoscrivere, comporta solo una procedura molto più laboriosa e, probabilmente, l’applicazione della sanzione. Tizio va al supermercato e lo dichiara. Se ne va. Caio va al supermercato ma non vuole dirlo: la polizia, secondo voi, potrà mettersi a cercare testimoni, acquisire immagini di sorveglianza, accedere ai tabulati telefonici o della carta di credito?
Scenario 3: i controllati riprendono i poliziotti col telefonino. Allora: secondo consolidati orientamenti giurisprudenziali, ciò che è alla vista di tutti può essere fotografato e filmato, non potendosi configurare violazione di privacy nella pubblica via(5). Tuttavia, la pubblicazione di immagini e filmati sulla rete che abbiano per oggetto una o più persone riconoscibili, configura un vero e proprio trattamento dei dati(6) e pertanto, se la videoregistrazione di un evento avviene, per esempio, nel corso di un controllo di polizia, bisognerà distinguere poi se ciò avvenga per documentare un fatto (e porlo in tal senso al giudizio della magistratura qualora si sospetti un abuso) o, piuttosto, come accade sempre più di frequente, per bravate o per intenti di mera diffamazione. Si tratta, insomma, di distinguere tra il diritto di cronaca, che è l’estrinsecazione del diritto costituzionale alla libera manifestazione del pensiero e che, per questo, può essere esercitato anche da una persona che non sia un giornalista, ma che non può però essere esercitato illimitatamente perché il bene contrapposto, l’onore, è anch’esso dotato di rango costituzionale(7).
È però ovvio che, quando le riprese sono fatte col chiaro intento di ostacolare ed offendere gli operatori di polizia, i reati che si prospettano sono ben diversi, tutti compresi alla parte del Codice Penale indicata come “dei delitti dei privati contro la pubblica amministrazione”, articoli 336 e 337 in testa.
Conclusione?

A leggere l’immensa quantità di sciocchezze che si sono arenate sulla rete, circa le modalità con cui un controllo di polizia non deve essere fatto, ascrivendo al novero degli abusi tutte le circostanze in cui un agente abbia chiesto conto di sé ad un privato cittadino, la conclusione è una sola: c’è molta ignoranza, purtroppo anche tra le forze dell’ordine. Spesso, alla base degli atteggiamenti considerati aggressivi o, semplicemente, maleducati, degli operatori di polizia, c’è proprio una condizione di non-conoscenza (dovuta alla mancanza di formazione e di aggiornamento? Non lo sappiamo.) di ciò che può o deve essere fatto e viceversa. Così ci sembra di capire, almeno dal tenore di certe richieste che riceviamo.
Quindi, non ci resta che suggerire:
a) Alle Amministrazioni locali e dello Stato, addestrare il personale: per favore, lasciate stare l’E-Learning. Torniamo alle lezioni vere, quelle con docenti esperti e capaci in cattedra e discenti in interazione in aula (con le dovute distanze e precauzioni, ovviamente). Spiegate, fino alla noia, quale dev’essere l’atteggiamento operativo degli agenti davanti alle persone che non collaborano, spiegate loro quanto sia importante stare calmi ma anche, con precisione, quali siano i limiti legali e umani entro i quali muoversi e come poterlo fare. Spiegatelo continuamente e non smettete di farlo. Ricominciate a fare i corsi veri e non gli pseudo-corsi nei quali si passa da una qualifica all’altra connettendosi su una piattaforma informatica. L’operatore di polizia deve sapere che è parte di una catena di doveri e responsabilità e che l’anello più debole è, paradossalmente, proprio lui;
b) Agli operatori della sicurezza: state calmi. Ragionate con la testa anche degli altri. Evitate di arrabbiarvi: non ce l’hanno con voi, come persone. Ce l’hanno con ciò che rappresentate. Tutti vi riprendono, tutti vi guardano. E quando un filmato finisce in rete, non c’è niente da fare: ci resterà per sempre e, con esso, la vostra faccia.

(*) Ispettore della Polizia di Stato. Responsabile della Comunicazione di ASAPS.
 

Bibliografia, sitografia e fonti
(1) art. 6 d.lgs. n. 286/98
(2) Art. 4 R.D. 18 giugno 1931, n. 773.
(3) Art. 35 DPR 445/2000.
(4) Art. 4 R.D. 18 giugno 1931, n. 773.
(5) Cass. Pen., Sez. IV,  24 gennaio 2012, n. 10697
(6) Ambito disciplinato dal Reg. U.E. 2016/679 (General Data Protection Regulation), dal D.Lgs. 196/2003, così come modificato dal D. Lgs. 101/2018 (Codice della Privacy) e dal D. Lgs. 51/2018, di attuazione della  Dir. U.E. 2016/680.
(7) “Eco Internazionale - Si possono riprendere le forze di polizia?”, 12 Agosto 2019 , Beatrice Raffagnino.



Come resistere alle provocazioni sulla strada? In un articolo di Lorenzo Borselli alcune significative riflessioni e suggerimenti. (ASAPS)

Martedì, 28 Aprile 2020
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