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Articoli 23/01/2008

Quante vite potremmo salvare con poche, semplici manovre?

In Francia scatta l’operazione “cinque gesti che salvano la vita”: nozioni basilari di pronto soccorso che potrebbero salvare 1.500 persone all’anno
L’Asaps vi spiega cosa sono l’Ora d’Oro ed il Basic Trauma Life Support, pane quotidiano dei soccorritori


I primi istanti, dopo un grave incidente stradale, sono spesso gli ultimi che restano da vivere alle vittime dell’impatto. Chi assiste all’evento accorre, si agita, telefona, guarda nervosamente l’orologio maledicendo chi dovrebbe rispondere al numero d’emergenza e che invece tarda, imprecando contro i soccorritori che non arrivano mai. “Non lo toccate!” è una frase comune che viene spesso gridata a chi si avvicina alla vittima inerme. Quante volte, del resto, si è attribuita la causa di morte ad un soccorritore avventato, casuale, che ha magari tolto un casco senza alcuna tecnica, alzato la testa di una vittima a terra magari mettendole un cuscino dietro la nuca, dopo averla girata senza alcuna precauzione? Tante, ammettiamolo. Ed è vero: questo vale per i by-standers1, coloro che si trovano sulla scena dell’evento senza aver alcuna mansione operativa, o per i primi soccorritori istituzionalmente chiamati ad intervenire per altre specificità (forze di polizia, ausiliari del traffico, vigili del fuoco, anche se questi ultimi hanno attivato corsi specifici), ma anche per molti soccorritori sanitari laici, che non abbiano eseguito training di addestramento adeguati. È una cosa della quale tutti - tra quelli chiamati a partecipare in qualche modo al dibattito sempre aperto sulla sicurezza stradale - hanno piena contezza, ma per la quale non sembra muoversi foglia. Servirebbero quattrini, tantissimi, per la formazione dei soccorritori ed il mantenimento degli standard, ma non sarebbe forse un investimento per tutta la società? Le stime dell’OMS attribuiscono al trauma la prima causa di morte per le persone di età inferiore ai 40 anni, con esiti invalidanti - per i sopravvissuti - spesso incompatibili con una vita autosufficiente. Secondo l’Istat, nel 1997,2 69 giovani under 25 ogni 100.000 abitanti, hanno perso la vita per un trauma cranico, verificatosi in strada. In Francia, il ragionamento ha assunto il valore di un’equazione e comincia a divenire certezza l’ipotesi di addestrare i conducenti all’esecuzione di alcune manovre salvavita - cinque in tutto - da mettere in atto nei primi secondi successivi ad un grave traumatismo della strada: chiamare i soccorsi, segnalare il pericolo agli altri, effettuare una respirazione artificiale, saper eseguire un massaggio cardiaco e tutelare se stessi e la vittima dai rischi del traffico in attesa dei soccorsi. Non si tratta di una trovata elettorale, ma di una proposta di legge, già al vaglio delle commissioni presso l’Assemblea Nazionale3. Si è infatti calcolato che se proprio i primi soccorritori, coloro che alla guida di un veicolo che segue o precede, potessero intervenire con azioni mirate, 1.000/1.500 persone potrebbero essere sottratte al bollettino della mortalità: si parla di una vittima su 5. L’occasione per addestrare l’esecutore potrebbe essere proprio quella nella quale il candidato frequenta la scuola guida per conseguire la patente. Tra una lezione di codice della strada ed una di pratica, perché non imparare anche l’ABC del soccorso? ABC4: A come “Airways” (mantenere pervie le vie aeree, e garantire alla vittima la respirazione), B come “Breathing” (imparare come eseguire una respirazione artificiale), C come “Circulation” (imparare come eseguire correttamente un massaggio cardiaco). In realtà, secondo la proposta francese, il primo soccorritore dovrebbe imparare a guardarsi attorno subito dopo un incidente, controllando così il proprio panico e valutare i rischi evolutivi dello scenario incidentale, eseguire una prima valutazione di ciò che vede e rappresentarla alla centrale operativa di soccorso, spiegando anche il numero e le condizioni apparenti delle vittime coinvolte. Il primo triage consentirebbe di inviare sul posto i soccorsi più adeguati, per qualità e numero (ambulanze e vigili del fuoco), mentre le prime manovre salvavita - eseguite secondo una corretta procedura - manterrebbero in vita i coinvolti o, nell’ipotesi peggiore, potrebbero mantenere integro lo status quo. Solo per fare un paio di esempi, saper tamponare un’emorragia (sapendo riconoscere la differenza tra fattispecie arteriosa o venosa) oppure eseguire una rianimazione cardio-polmonare (RCP), manovra questa che mantiene ossigenato il sangue, limitando il rischio dell’anossia e, di conseguenza, quello di far insorgere danni al cervello (che divengono irreversibili dopo 4-6 minuti di assenza di circolazione sanguigna). Anche l’Italia, a dire la verità, aveva cominciato a seguire una strada analoga, cominciando a formare le forze dell’ordine5 all’uso del defribillatore automatico (BLSD); in precedenza molti soccorritori volontari avevano superato il corso, aprendo le porte ad una rivoluzione copernicana, tanto anche in aeroporti o supermercati il defibrillatore era finito a disposizione di tutti, sotto una teca di vetro frangibile, alla stregua di un idrante antincendio. Poi, tutto si è fermato ed oggi, come prima di allora, nessuno sa cosa sia la manovra di Heimlich (resa celebre al cinema da Miss Doubtfire, al secolo Robin Williams), che negli Stati Uniti viene insegnata ai bambini in età scolare e proprio per questo metabolizzata fino a divenire un atto automatico, istintuale, come porsi la mano davanti alla bocca per starnutire o sbadigliare. La differenza tra noi e gli Usa è che oltreoceano nessuno, o quasi, muore per un boccone andato di traverso. Nei protocolli sanitari d’urgenza, quelli relativi al Basic Trauma Life Support (BTLS), o al Supporto Vitale di Base al Traumatizzato (SVT), viene chiaramente spiegato che i sanitari (medici, infermieri professionali e volontari), hanno maggiori possibilità di intervenire con successo nell’arco di un’ora dall’evento: si chiama Ora d’Oro (golden hour), ed è un vero e proprio countdown per salvare la vita di una persona, spesso giovane, destinata a perdere la vita, se non soccorsa tempestivamente, ma anche a dover convivere, dall’impatto in poi, con esiti invalidanti tali da compromettere per sempre la sua aspettativa di vita ed il contributo che avrebbe potuto dare alla crescita della società. L’analisi della distribuzione della mortalità, ha consentito agli esperti di suddividere in 3 prevalenti criticità le fasi successive al traumatismo: la prima, è quella dovuta quasi esclusivamente all’evento, e quando si mostra nella sua gravità più alta vede la concomitanza di lesioni gravissime a carico del Sistema Nervoso Centrale (SNC), del cuore, polmoni o viscere (trauma toracico, pneumotorace, ed altro), o di grossi vasi sanguigni. Queste lesioni possono essere drasticamente ridotte utilizzando dispositivi di sicurezza passiva (cinture ed airbag) e mantenendo la velocità più bassa possibile. La seconda fase critica è proprio quella della Golden Hour: in questa fase, un terzo delle vittime di trauma non ce la fa. Le lesioni non sono, di per sé, incompatibili con la vita; è il trattamento inadeguato, la perdita di tempo prezioso, a fare la differenza. In questo contesto, aver potuto contare sulla precocità della chiamata di soccorso, di un team qualificato e ben attrezzato, di tempi di ospedalizzazione rapidi (grazie alla possibilità di intervenire in elicottero) e strutture internistiche di livello, significa aver fatto tutto quello che era possibile fare. In Francia, al mancato rispetto dell’Ora d’Oro è stata addirittura attribuita in parte (e da alcuni periti) la morte di Lady Diana, giunta in ospedale ben oltre i 60 minuti indicati dai protocolli per evitare che la vittima perda la vita in relazione all’aggravamento delle patologie traumatiche che avrebbero potuto, invece, essere trattate con successo con un intervento precoce. Queste morti sono considerate “evitabili” e da tempo, associazioni di medici e infermieri lottano contro l’assurdità di un sistema - quello italiano dell’Emergenza Sanitaria Territoriale (EST) - che non riesce ancora a vedere il professionista sanitario al centro del soccorso. Evidentemente, alla progressiva perdita di medici ed infermieri dal territorio, le regioni cercano di sopperire con i volontari, ottima spalla per gli specialisti, ma certamente lontani dal poter offrire al malato di trauma (perché di malattia chirurgica si tratta) od a quello affetto dalle altre patologie improvvise (neurologiche, cardiache, respiratorie, ecc.), l’assistenza qualificata di cui avrebbe invece bisogno. È certamente cresciuto lo standard, anche tra i volontari, ma in assenza di medico o infermiere resta impossibile stabilizzare le funzioni vitali di base sul posto, costringendo gli “angeli senza fini di lucro” al load & go: carica e porta via. Un soccorso non qualificato, può essere esso stesso causa di aggravamento delle lesioni (con invalidità permanenti) o di morte. La terza criticità dipende dall’aggravamento delle condizioni di salute della vittima a distanza di giorni o settimane dall’evento, ma ormai siamo ben oltre la Golden Hour. (Asaps)

NOTE
(1) “By-stander”, definizione del Caposquadra VF Alberto Boanini, SAF presso la Direzione Regionale Vigilfuoco di Firenze, esperto in protocolli di soccorso.
(2) Rapporto ISTAT 1997, eseguito su una fascia di popolazione maschile nel nord-est italiano.
(3) Proposta di Legge n. 221/2007 dell’11 ottobre 2007 visionabile in formato pdf al link http://www.assemblee-nationale.fr/13/pdf/propositions/pion0221.pdf
(4) ABC, corso esecutore di BLS secondo le linee guida dell’AHA (American Hearth Association), in larga parte diffuso in Italia dall’IRC (Italian Resuscitation Council) 
(5) Il progetto con la Polizia di Stato nasce a Parma. Ufficialmente resta aperto, ma in molte altre parti d’Italia (la maggior parte, in verità) non vi è traccia dei defibrillatori salvavita.

Da il Centauro n. 117 


© asaps.it

di Lorenzo Borselli

Mercoledì, 23 Gennaio 2008
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