Quella dell’altra notte non è stata una pattuglia
qualsiasi per i carabinieri di Villafranca e Sommacampagna. È stata la prima
pattuglia senza l’appuntato scelto Ciro De Vita, a una settimana esatta dal suo
omicidio. Sei mezzi tra auto e stazioni mobili, 14 carabinieri oltre al
comandante di compagnia, Costantino Meloni. In pattuglia la notte tra sabato e
domenica ha voluto esserci di nuovo il collega di Ciro, Luca Bonora, che per 12
anni era uscito in pattuglia con lui. I «fidanzati» li chiamava l’ex maresciallo,
ora in congedo Silvano Ciuffetti, che li ha cresciuti con l’etilometro in mano.
Bonora è tornato in strada dopo aver passato sei giorni chiuso in ufficio nella
stazione a sbrigare lavoro burocratico. Poi ha deciso che doveva tornare in
pattuglia. Doveva riaffrontare
i luoghi, le strade, i bar in cui per anni ha passato le notti a fare controlli
con l’amico che non c’era più. L’ha ammesso Bonora, che è un gigante d’uomo che
è stato difficile. Tanto difficile. A fare controlli c’era anche il maresciallo Giampietro
Bosetti, l’ultimo comandante di De Vita. Anche lui, l’altra notte ha voluto
essere lì, con «i suoi». Il modo migliore per ricordare l’appuntato ucciso da
un automobilista ubriaco proprio mentre controllava che al volante non ci
fossero persone in quello stato. Destino cinico e beffardo, il suo. Eppure la tragedia accaduta soltanto una settimana fa non
è servita a far riflettere. Almeno a giudicare dai risultati dei controlli.
L’altra notte nel turno in strada dalle 24 alle 6, (ma poi per un’altra ora i
carabinieri sono stati in caserma a sistemare pratiche), sono state ritirate 8
patenti per guida in stato d’ebrezza, con valori alcometrici che variavano
dallo 0.60 a 1.90 di percentuale di alcol nel sangue. Il parametro ammesso
dalla legge italiana è di 0.50. E secondo le tabelle fino a 1.50 c’è ebrezza,
da 1.50 a 3.50 si è ubriachi, oltre c’è il coma etilico. Non è stato facile mantenere la calma davanti agli
automobilisti che sostenevano di non essere ebbri nonostante l’esito della
macchina dell’alcoltest. Non dev’essere stato semplice cercare di essere
gentili mentre questi si agitavano, offendevano perché la procedura prevede,
nel caso di test positivo, di chiamare un carro attrezzi per far portare l’auto
in custodia cautelare. Sugli uomini è prevalsa la divisa. Pazienti fino
all’alba hanno spiegato, sottolineato, suggerito. Qualcuno tra quelli cui è
stata ritirata la patente ha capito il pericolo per sè, per gli altri. Qualcun
altro invece ha inveito. Durante i controlli, una pattuglia del nucleo
radiomobile ha anche inseguito un automobilista che vedendo la stazione mobile
aveva fatto un’inversione di marcia cercando di eluderlo. L’uomo è stato
raggiunto, era un brasiliano in regola con il permesso di soggiorno, ma guidava
con una patente non riconosciuta in Italia. Per questo aveva cercato di fuggire
al controllo. Qualche giorno fa, a Villafranca, un automobilista ubriaco
aveva investito un’altra automobilista, poi era scappato. La donna aveva
riportato dieci giorni di prognosi. L’investitore era poi fuggito. I
carabinieri l’hanno ritrovato carambolato in un prato. L’uomo è stato
denunciato per guida in stato d’ebbrezza, gli è stata ritirata la patente e
deve rispondere anche di omissione di soccorso. L’altra notte sono stati
controllati 52 veicoli e 73 persone. Dalla settimana prossima, come ha annunciato il capitano
Meloni arriveranno i colleghi del Coi (comando operativo interforze), per
rafforzare i controlli sulle strade, aiuteranno nelle compagnie dei vari
territori, ma se non cambia la consapevolezza e il senso di responsabilità di
ciascuno di noi la lotta è impari. «Quando stasera li ho visti entrare nel bar non ho potuto
fare a meno di scoppiare a piangere. Troppi anni passati insieme, un caffè, una
camomilla, un panino quando magari fuori diluviava. Ciro era un burlone, aveva
la battuta sempre pronta. Amava raccontare dei suoi figli, della moglie. Era
una bella persona». Sono le due di notte e Maria, che gestisce il bar la
Freccia nera a Bosco di Sona ricorda così l’appuntato scelto De Vita. Si faceva mettere di pattuglia
notturna spesso De Vita, per poter stare con i figli il giorno dopo. Prevenire
gli incidenti e soprattutto controllare che non vi fossero ubriachi al volante
era uno dei suoi obbiettivi principali. «Era stato a bere un caffè qui con il collega Bonora
sabato scorso», ha continuato Maria, «fuori veniva giù una pioggia pazzesca, ma
lui e i colleghi hanno voluto tornare in strada. Si sono spostati al cavalcavia
verso Sona. Era quello un altro dei loro punti quando pioveva troppo. Forse se
fossero rimasti una mezz’ora in più, se avessero mangiato un panino adesso Ciro
sarebbe ancora qui con noi». Il pensiero l’altra notte correva per forza a quel
militare morto durante il servizio, facendo il suo lavoro. Quando sabato notte scorso i
colleghi hanno suonato il campanello di casa De Vita, Fernanda, la moglie della
vittima ha visto il capitano Meloni gli ha detto: «Non mi dica niente, ho
capito perché è qui. Non voglio sentire». Ci sono tante donne ogni notte che
temono di sentir suonare il campanello. Donne «invisibili», che si
materializzano solo nelle tragedie. Un pensiero l’altra notte è stato anche per
loro. Da L’Arena di Alessandra Vaccari |
|
|
© asaps.it |