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Notizie brevi 09/05/2006

Verona - Ubriachi al volante, scatta il giro di vite I colleghi dell’appuntato De Vita hanno voluto ricordarlo tornando sulla strada. In pattuglia dopo la tragedia

I colleghi dell’appuntato De Vita hanno voluto ricordarlo tornando sulla strada. In pattuglia dopo la tragedia

Quella dell’altra notte non è stata una pattuglia qualsiasi per i carabinieri di Villafranca e Sommacampagna. È stata la prima pattuglia senza l’appuntato scelto Ciro De Vita, a una settimana esatta dal suo omicidio. Sei mezzi tra auto e stazioni mobili, 14 carabinieri oltre al comandante di compagnia, Costantino Meloni. In pattuglia la notte tra sabato e domenica ha voluto esserci di nuovo il collega di Ciro, Luca Bonora, che per 12 anni era uscito in pattuglia con lui. I «fidanzati» li chiamava l’ex maresciallo, ora in congedo Silvano Ciuffetti, che li ha cresciuti con l’etilometro in mano. Bonora è tornato in strada dopo aver passato sei giorni chiuso in ufficio nella stazione a sbrigare lavoro burocratico. Poi ha deciso che doveva tornare in pattuglia. 

 Doveva riaffrontare i luoghi, le strade, i bar in cui per anni ha passato le notti a fare controlli con l’amico che non c’era più. L’ha ammesso Bonora, che è un gigante d’uomo che è stato difficile. Tanto difficile.

A fare controlli c’era anche il maresciallo Giampietro Bosetti, l’ultimo comandante di De Vita. Anche lui, l’altra notte ha voluto essere lì, con «i suoi». Il modo migliore per ricordare l’appuntato ucciso da un automobilista ubriaco proprio mentre controllava che al volante non ci fossero persone in quello stato. Destino cinico e beffardo, il suo.

Eppure la tragedia accaduta soltanto una settimana fa non è servita a far riflettere. Almeno a giudicare dai risultati dei controlli. L’altra notte nel turno in strada dalle 24 alle 6, (ma poi per un’altra ora i carabinieri sono stati in caserma a sistemare pratiche), sono state ritirate 8 patenti per guida in stato d’ebrezza, con valori alcometrici che variavano dallo 0.60 a 1.90 di percentuale di alcol nel sangue. Il parametro ammesso dalla legge italiana è di 0.50. E secondo le tabelle fino a 1.50 c’è ebrezza, da 1.50 a 3.50 si è ubriachi, oltre c’è il coma etilico.

Non è stato facile mantenere la calma davanti agli automobilisti che sostenevano di non essere ebbri nonostante l’esito della macchina dell’alcoltest. Non dev’essere stato semplice cercare di essere gentili mentre questi si agitavano, offendevano perché la procedura prevede, nel caso di test positivo, di chiamare un carro attrezzi per far portare l’auto in custodia cautelare. Sugli uomini è prevalsa la divisa. Pazienti fino all’alba hanno spiegato, sottolineato, suggerito. Qualcuno tra quelli cui è stata ritirata la patente ha capito il pericolo per sè, per gli altri. Qualcun altro invece ha inveito. Durante i controlli, una pattuglia del nucleo radiomobile ha anche inseguito un automobilista che vedendo la stazione mobile aveva fatto un’inversione di marcia cercando di eluderlo. L’uomo è stato raggiunto, era un brasiliano in regola con il permesso di soggiorno, ma guidava con una patente non riconosciuta in Italia. Per questo aveva cercato di fuggire al controllo.

Qualche giorno fa, a Villafranca, un automobilista ubriaco aveva investito un’altra automobilista, poi era scappato. La donna aveva riportato dieci giorni di prognosi. L’investitore era poi fuggito. I carabinieri l’hanno ritrovato carambolato in un prato. L’uomo è stato denunciato per guida in stato d’ebbrezza, gli è stata ritirata la patente e deve rispondere anche di omissione di soccorso. L’altra notte sono stati controllati 52 veicoli e 73 persone.

Dalla settimana prossima, come ha annunciato il capitano Meloni arriveranno i colleghi del Coi (comando operativo interforze), per rafforzare i controlli sulle strade, aiuteranno nelle compagnie dei vari territori, ma se non cambia la consapevolezza e il senso di responsabilità di ciascuno di noi la lotta è impari.

«Quando stasera li ho visti entrare nel bar non ho potuto fare a meno di scoppiare a piangere. Troppi anni passati insieme, un caffè, una camomilla, un panino quando magari fuori diluviava. Ciro era un burlone, aveva la battuta sempre pronta. Amava raccontare dei suoi figli, della moglie. Era una bella persona». Sono le due di notte e Maria, che gestisce il bar la Freccia nera a Bosco di Sona ricorda così l’appuntato scelto De Vita.

Si faceva mettere di pattuglia notturna spesso De Vita, per poter stare con i figli il giorno dopo. Prevenire gli incidenti e soprattutto controllare che non vi fossero ubriachi al volante era uno dei suoi obbiettivi principali.

«Era stato a bere un caffè qui con il collega Bonora sabato scorso», ha continuato Maria, «fuori veniva giù una pioggia pazzesca, ma lui e i colleghi hanno voluto tornare in strada. Si sono spostati al cavalcavia verso Sona. Era quello un altro dei loro punti quando pioveva troppo. Forse se fossero rimasti una mezz’ora in più, se avessero mangiato un panino adesso Ciro sarebbe ancora qui con noi».

Il pensiero l’altra notte correva per forza a quel militare morto durante il servizio, facendo il suo lavoro.

Quando sabato notte scorso i colleghi hanno suonato il campanello di casa De Vita, Fernanda, la moglie della vittima ha visto il capitano Meloni gli ha detto: «Non mi dica niente, ho capito perché è qui. Non voglio sentire». Ci sono tante donne ogni notte che temono di sentir suonare il campanello. Donne «invisibili», che si materializzano solo nelle tragedie. Un pensiero l’altra notte è stato anche per loro.

 

Da L’Arena

di Alessandra Vaccari
 


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Martedì, 09 Maggio 2006
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