Quanti padri nella tragedia del ponte di San
Martino. Quello di Rumesh, prima di tutto, il papà del ragazzo che lotta per la
vita. Il suo dolore è immenso, come la sua dignità. E poi l’agente che ha
sparato, anch’egli padre di un bambino. E il sindaco, giustamente interpellato,
anche come genitore, nello studio di Espansione Tv. E tutti noi, padri e madri
di figli che si affacciano a un’autonomia da grandi, che inseguono ogni giorno
un po’ di libertà in più. Il dramma di questo figlio comasco-cingalese è
in assoluto il dramma di un papà, il suo. Ma la pena, la speranza che Rumesh si
salvi e che possa vivere bene, sono di tutti i ragazzi e di ogni genitore. E,
non possiamo nasconderlo, anche l’inquietudine è di tutti, dopo quanto di
inimmaginabile è accaduto. I figli crescono, escono, vanno per il mondo e
per le strade della città. Soli, assieme ad altri. A piedi, in moto, in auto.
E, finora, la preoccupazione di generazioni di padri e di madri era il loro
comportamento. Le note d’ansia riguardavano le compagnie
frequentate, i rischi del traffico, il timore che i figli fossero trascinati
(chissà poi perché sempre “dagli altri”) nel bere, nel fumo, anche in quello
proibito. E nella guida sconsiderata. “Quelle sere non dormirò mai”, accenna il
motivo di una struggente canzone di successo, un po’ datata, che interpreta lo
stato d’animo di chi attende a casa il ritorno di una figlia. Ma che i figli
potessero correre pericoli per il modo di agire di chi è da sempre considerato
tra i primi alleati delle famiglie, questo proprio no, nessuno di noi lo
pensava. Perché i vigili urbani (noi continuiamo a
chiamarli così, non “polizia locale”) erano e sono quell’occhio in più, che per
ragioni di servizio arriva dove non c’è lo sguardo dei genitori. Un occhio
attento soprattutto ai più giovani, a loro stessa tutela, pur nell’economia
quotidiana di tanti altri compiti. Un occhio severo, se necessario, ma capace
di misura e di buon senso.
La tragedia del ponte di San Martino, oltre a
portare un diciottenne sull’orlo della morte, crea adesso un blackout
psicologico su questo versante. Il “vulnus”, la ferita aperta, è profonda.
Servirà tempo perché si ricrei la giusta relazione tra l’opinione pubblica
comasca dei padri e delle madri e il corpo dei vigili. Serviranno i tanti
piccoli gesti del dovere quotidiano. Compiuti in silenzio, al riparo dai
riflettori, caratterizzati dalla misura del rigore e dell’umanità che sono da
sempre percepiti come ottimo esempio. Servirà riapprezzare la vigilanza dei
vigili. Questa e null’altro. |
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