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di Giordano Biserni*
OMICIDIO STRADALE ARMA GIA’ SPUNTATA?
Le condanne tornano spesso ad essere miti, i controlli rari, come la giustizia per le vittime

Il percorso per arrivare all’Omicidio stradale (legge 41/2016) è stato lungo a tappe, quasi tutte in salita. Noi come ASAPS ci siamo scoperti però buoni scalatori. Eravamo già abbastanza preparati tanto che fin dal 2003/2004 avevamo cominciato ad utilizzare questo nome Omicidio stradale  su alcuni articoli e comunicati stampa sul nostro portale www.asaps.it e sulla nostra rivista ufficiale il Centauro. All’inizio ne parlavamo solo come elemento identificativo delle più gravi “violenze stradali” (questo termine lo avevamo mutuato dai francesi) cioè quegli omicidi efferati dovuti al comportamento dissennato di conducenti ubriachi, drogati o che viaggiavano a velocità folli. Nel 2003 il fattore cellulare alla guida era presente ma non così pervasivo.

Quando cominciammo a verificare  che le impunità di fatto erano ormai seriali e sequenziali cominciammo a convincerci che la struttura degli articoli 589 e 590 del C.P. si rivelava inadeguata. Parlavano i fatti. Incidenti mortali anche di bambini, causati dal comportamento dissennato di conducenti ubriachi o drogati, di conducenti che procedevano a velocità folli, finivano regolarmente con condanne risibili anche nei casi aggravati in cui la pena di allora prevedeva già la condanna  da 3 a 10 anni, che diventavano 15 nei casi di omicidio plurimo, ma le pene, grazie ad attenuanti concesse con regolarità sistematica e ai patteggiamenti, rimanevano inchiodate quasi sempre nel limite dei due anni e qualche mese, con zero giorni di galera e grande mortificazione per le famiglie delle vittime  decedute e delle vittime stesse in caso di lesioni gravi, gravissime e con lesioni permanenti.
Ricordo un incidente nel 2004 che mi toccò veramente da vicino. La morte del Sovrintendente Pierluigi Giovagnoli della Polizia Stradale di Forlì, padre di tre bambini, che mentre era di scorta in moto ad una gara ciclistica nel tentativo di bloccare un furgone che veniva spedito in senso contrario al gruppo dei corridori, venne travolto e scaraventato in un frutteto. Il conducente di quel mezzo risultò positivo alla verifica con l’etilometro con il valore record di 3,3 g/l nel sangue. Robe da coma! Ebbene quel conducente il giorno del processo era nei pressi del tribunale e durante una manovra con la sua auto (aveva già riavuto la patente) risultò ancora ebbro alla guida. Bene, quel soggetto che aveva reso orfani tre bambini venne condannato alla ridicola pena di anni uno e mesi quattro di reclusione! Cioè, come dire, zero galera e recupero definitivo della patente di lì a qualche anno. Altri incidenti gravissimi, con penosi investimenti anche di bambini da parte di conducenti italiani e stranieri ubriachi e drogati che la facevano regolarmente franca con condanne assurdamente miti, ci convinsero che dovevamo rimboccarci le maniche e dovevamo puntare in alto.

La diffidenza e la sfiducia da parte di molti era sconfinata. Poi avvenne un incontro per noi (io e Lorenzo Borselli, l’inventore della locuzion “Omicidio Stradale”) decisivo, anche se conseguente ad altri due Omicidi stradali. Parliamo dell’incontro, nel 2011, con Stefania e Stefano Guarnieri che, appena un anno prima, nel 2010, avevano visto morire il loro figlio 17enne, ucciso mentre viaggiava col suo motorino da altro motociclista ubriaco e drogato alla guida. Stefania e Stefano avevano appena fondato l’associazione intitolata al loro Lorenzo, con lo scopo di battersi per una più garantita sicurezza stradale e per una più garantita giustizia per i familiari delle vittime. Il tavolo a tre gambe venne completato da Valentina Borgogni, sorella di Gabriele, anche lui morto perché travolto da un ubriaco alla guida.

Rimanemmo colpiti dalla lucidità e determinazione di Stefano, Stefania e Valentina, determinazione che non sfociava nella scivolosa china della vendetta, perché – va sottolineato – ogni nuova iniziativa di legge ovviamente non avrebbe riguardato il processo incardinato per l’uccisione dei loro Lorenzo e Gabriele. Decidemmo di partire quindi con l’iniziativa di una proposta di legge per la configurazione del nuovo reato di Omicidio Stradale. Iniziammo anche una raccolta di firme per promuovere la legge e arrivammo ad 82.000 adesioni. Traguardo non facile (l’obiettivo era quota 50.000), ma con la forza di tutti lo tagliammo di slancio e inviammo le firme al Parlamento. Per quegli strani allineamenti che avvengono ogni tanto, era sindaco di Firenze Matteo Renzi, quel Renzi che nel febbraio  2014 sarebbe diventato poi Presidente del Consiglio. Renzi aveva preso un preciso impegno con la famiglia Guarnieri e, stranamente, come succede di rado in politica, mantenne questo impegno e incardinò la proposta della legge sull’Omicidio stradale per l’approvazione in parlamento. Fu un percorso complicato, difficile in una sorta di montagne russe nelle commissioni (dove fummo convocati per un’audizione) e in aula. Furono ben 5 i passaggi fra Camera e Senato e il Governo dovette porre per due volte la questione di fiducia. Finalmente, la legge con i suoi pregi e difetti (che non stiamo qui ad illustrare nei dettagli), il 24 marzo 2016 appena pubblicata sulla G.U. col n. 41, entrò in vigore.

Ricordiamo solo che la nuova normativa previde una impennata nelle pene edittali da 8 a 12 anni per chi uccide ubriaco o drogato (fino a 18 nei casi di omicidio plurimo o con altri feriti) e da 5 a 10 anni per gli altri casi di omicidio connesso con violazioni del CdS di particolare gravità. Lo stesso per le lesioni. Con un incremento in particolare delle pene minime nel tentativo di aggirare il solito gioco della applicazione della pena partendo da una bassa pena base alla quale applicare poi tutte le attenuanti previste. Schizzò in alto anche la previsione della revoca della patente, che può arrivare oggi anche a 15 anni e fino a 30 nei casi più gravi di recidiva. Insomma, non il cd “Ergastolo della patente” che aveva suggerito Stefania Guarnieri, ma molto vicino. Su un primo problema della nuova normativa, quello che prevedeva la revoca della patente per 5 anni per chi provocava lesioni gravi, quindi superiori a 40 giorni a prescindere dalle violazioni commesse, è intervenuta poi nel febbraio 2019 la Corte Costituzionale, che ha eliminato l’automatismo della revoca dei 5 anni, prevedendola limitatamente ai conducenti ebbri o drogati o per quelli che avessero commesso violazioni particolarmente gravi.

Ma nel complesso l’Omicidio stradale ha dato i risultati che alcuni si attendevano?
Certamente no.
La prima domanda che dobbiamo porci è se la legge 41/2016 doveva avere un prioritario effetto dissuasivo o solo quello più congeniale di rendere finalmente giustizia alle vittime e ai loro familiari.
Andiamo con ordine.
Dal 2016 al 2018 i dati Istat della sinistrosità stradale disegnano una sorta di gioco dell’oca con regressi e aumenti della mortalità alternati. Nel 2016, con 9 mesi di vigenza effettiva della legge 41, i morti sulle strade sono stati 3.283 con una diminuzione di 145 decessi e un segno meno del 4,2% rispetto al 2015. Nel 2017 invece abbiamo assistito ad un preoccupante testa coda con 3.378 vittime mortali e un incremento di 95 lenzuoli bianchi stesi sulle strade pari a un +2,9%.
Poi arrivano i dati del 2018, con una nuova lieve e positiva inversione di marcia, 3.325 le vittime, 53 in meno e un calo dell’1,6%. Dati disarmonici anche nel numero dei feriti.
 
Nel 2019 – ci dice l’Istat - sono stati 172.183 gli incidenti stradali con lesioni a persone in Italia, in lieve calo rispetto al 2018 (-0,2%), con 3.173 vittime (morti entro 30 giorni dall’evento) e 241.384 feriti (-0,6%).
Il numero dei morti diminuisce rispetto al 2018 (-161, pari a -4,8%), per il secondo anno consecutivo dopo l’aumento registrato nel 2017, e si attesta sul livello minimo mai raggiunto nell’ultima decade.

Cosa se ne ricava? Che la legge non è stata poi così fortemente dissuasiva? Forse anche perché ancora molti conducenti non conoscevano e non  conoscono le gravi conseguenze che possono seguire ai loro comportamenti.
Perché dico che i contenuti della legge forse non sono sufficientemente conosciuti? Quando ho occasione di confrontarmi anche con persone che si occupano di sicurezza o sono impegnate nell’autotrasporto, intravedo molta incertezza. Dopo un anno e mezzo dall’approvazione mi è capitato di parlare in un’aula universitaria a parecchie decine di studenti di Giurisprudenza, e, con una certa sorpresa, mi sono reso conto che la grande maggioranza non conosceva ancora le pene previste dalla legge 41/2016. E questo spiega già molto.
Ma sull’altro versante, quello che secondo il mio parere era il vero obiettivo, cioè le condanne congrue e adeguate per chi uccide in conseguenza di ubriachezza, assunzione di droghe e comportamenti assurdamente rischiosi (velocità, sorpassi in curva, ecc.) l’obiettivo è stato centrato?
La risposta è difficile. Nella prima fase, diciamo relativamente al 2016 e parte del 2017, abbiamo visto finalmente pene severe che, in qualche caso (in primo grado), arrivavano a 8 anni e qualche volta hanno toccato e superato i 10 anni di reclusione.
Insomma, sembrava proprio che le vittime e i loro familiari avessero finalmente una giustizia più adeguata senza quelle sentenze “scandalose” che per un paio di persone travolte e uccise sulla strada o un bambino travolto da un ubriaco sulle strisce (come il piccolo Gionatan nel 2014 a Ravenna) si fermavano sempre intorno ai due anni e 8 mesi e a volte anche meno. Poi?
Poi, nel tempo a seguire, fine 2017 e 2018 , e anche nel 2019 e 2020,  abbiamo visto che le pene inflitte nei casi di omicidio stradale anche più gravi, hanno cominciato di nuovo ad abbassarsi, sfiorando o addirittura ricalcando in diversi episodi tragici le stesse pene antecedenti alla invocata Legge 41. Ricordo qui per tutti il caso dell’omicidio di Alina Marchetta la ragazza di 26 anni travolta e uccisa nell’aprile 2019 mentre era sul marciapiede da una vettura condotta da una ragazza coetanea ubriaca alla guida alle 10 di una domenica mattina. Condannata in primo grado 3 anni e sei mesi.
Cosa è accaduto? Per una risposta servono più adeguati esperti giuridici. Probabilmente le tecniche difensive degli avvocati si sono affinate e, spesso, si ricorre a quella specie di cavallo di Troia contenuto nella legge sull’Omicidio stradale, che prevede nei casi di non esclusiva responsabilità dei conducenti lo sconto delle pene fino alla metà. Questo non solo nel caso di una percentuale di corresponsabilità della vittima, ma anche se si documentano carenze nella struttura stradale, nella segnaletica, ecc.
Insomma, può darsi che mi sbagli, ma pare che la media delle condanne, anche con l’aggiunta dei patteggiamenti, stia tornando in modo deludente vicino ai bassi limiti di pena precedenti. In proposito stiamo facendo come ASAPS uno studio per capire se le condanne a seguito della legge 41/2016 sono veramente di nuovo in regresso. Sarebbe veramente una grande delusione. Una analisi più approfondita a pag. XX nell’articolo di Luigi Altamura.

Rimangono gli effetti degli arresti obbligatori nei casi di omicidio alcol e narco connesso, arresti quasi sempre domiciliari e per pochi giorni. Esclusi solo alcuni casi veramente eclatanti, come gli omicidi plurimi di Vittoria (Ragusa), con i due bambini travolti da un suv condotto da un pregiudicato mentre erano seduti davanti a casa, vittime alle quali vennero amputate  le gambe nel tentativo, non riuscito di salvarle. O il plurimo omicidio dei due fratellini di Alcamo (Trapani),  per il ribaltamento della vettura condotta dal papà, il quale si stava facendo un selfie (o una diretta facebook) mentre guidava. In entrambi i casi sono emerse per i conducenti, le ombre lunghe della cocaina.
Ecco: se per casi come questi, ma anche tanti altri, non arriveranno pene non inferiori 12–15 anni, allora vuol dire che anche la legge 41/2016 in pratica non è servita a niente.
Peraltro, con la carenza costante e cronica di controlli su strada per il contrasto all’alcol, alla droga, all’uso dei cellulari certificati dal numero irrisorio di sanzioni contestate non possiamo minimamente pensare di invertire il trend della mortalità. Non esiste ancora educazione civica e stradale, non esistono forti campagne informative, i controlli sono veramente esigui e la percezione di farla quasi franca nei processi fa il resto.
Se poi le condanne tornano ad essere quelle ante legge 41/2016, allora la battaglia non si vince proprio e la delusione per quanti si sono spesi senza risparmio per una maggiore sicurezza sulle strade è tanta!

Appunti conclusivi.  La modesta piccolissima miniriforma del Codice della strada che prevedeva anche la sospensione della patente alla prima violazione per uso del cellulare alla guida aveva iniziato il suo percorso alla Camera nell’ottobre del 2013 e si è spiaggiata nella primavera del 2018 alla fine della scorsa legislatura. La miniriforma ha iniziato il suo nuovo percorso nel 2018 ed è finita come sappiamo in totale alto mare.
No. La sicurezza stradale in epoca covid (ma anche prima) non interessa molto, anzi forse per niente. Intanto nei dati del 2020 vedremo un calo netto degli incidenti dei morti e dei feriti sulle strade, sì ma grazie ai lockdown e ai coprifuoco notturni da covid appunto. E dopo?

*Presidente ASAPS


La legge sull’Omicidio stradale compie 5 anni. Una analisi di un traguardo importante al quale ASAPS ha contribuito con tutte le sue energie.

Mercoledì, 24 Marzo 2021
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