Sabato 04 Maggio 2024
area riservata
ASAPS.it su
Notizie brevi 12/07/2004

LE "ECOPIAZZOLE" SONO STOCCAGGI, DEPOSITI TEMPORANEI O DI LIBERA REALIZZAZIONE DA PARTE DEI COMUNI? A cura di Maurizio Santoloci

da www.dirittoambiente.com

LE "ECOPIAZZOLE" SONO STOCCAGGI, DEPOSITI TEMPORANEI O DI LIBERA REALIZZAZIONE DA PARTE DEI COMUNI?
A cura di Maurizio Santoloci

Magistrato – direttore sito www.dirittoambiente.com

Le "ecopiazzole" (spazi pubblici di proprietà del comune nelle quali i cittadini conferiscono in alcuni rifiuti) a quali regole sono soggette nel contesto del decreto 22/97?

Su questo tema si registrano diversi orientamenti di principio che spesso generano equivoci in sede operativa sia a livello amministrativo che di accertamenti di polizia giudiziaria.

Proviamo a svolgere qualche riflessione sotto il profilo pratico/applicativo, con inevitabile risvolti sotto il profilo sanzionatorio.

Il Ministero dell’ambiente, con nota 5 agosto 1999, avente ad oggetto "gestione delle ecopiazzole comunali", nel rispondere ad una nota inviata dalla Provincia di Udine, ha affrontato l’argomento così chiarendo: "In riferimento alla Vs. richiesta si ribadisce quanto già è precisato nella nota 20349/ARS/R secondo cui le ecopiazzole presso cui viene effettuato il conferimento dei rifiuti urbani differenziati si configurano come centri di stoccaggio (messa in riserva nel caso in cui i rifiuti siano destinati a successive operazioni di recupero e deposito preliminare nel caso in cui gli stessi siano destinati allo smaltimento). Le ecopiazzole devono essere perciò autorizzate ai sensi degli articoli 27 e 28 del D.lgs. 22/97 o, qualora ricorrano tutte le condizioni, ai sensi dell’articolo 33, nel rispetto della normativa tecnica attualmente in vigore ai sensi dell’articolo 57, comma 1, D.Lgs. 22/97".La realizzazione e l’esercizio delle "ecopiazzole" può essere autorizzata in base alle procedure agevolate di cui al citato art.33 del D.Lgs. n°22/97 a condizione che sia rispettato quanto indicato nel D.M.5 febbraio 1998 e che le operazioni di recupero riguardino rifiuti individuati da decreto medesimo. I rifiuti che possono accedere alla procedura agevolata per la messa in riserva sono quelli indicati nell’allegato 1, suballegato 1, al D.M. 5 febbraio 1998 sopra indicato. Se il gestore della "ecopiazzola" è diverso dal Comune, egli dovrà essere iscritto all’Albo nazionale gestore rifiuti usando la procedura agevolata prevista dall’articolo 30, comma 10, D.Lgs. 22/97e dall’articolo 13, comma 1, lett. a), 28 aprile 1998, n. 406."

Perché è importante condividere tale orientamento e ritenere che le "ecopiazzole" sono stoccaggi a tutti gli effetti? Opposta teoria vuole tali aree del tutto simili ai cassonetti sparsi nel territorio comunale e dunque soggetti alla medesima disciplina di deregulation. In pratica, secondo tale teoria le isole ecologi non sono soggette ad autorizzazione in quanto beneficiano della privativa di cui all’art.21 del D.L.vo 22/97. Ma di fatto tale assimilazione è del tutto improponibile attesa la diversa struttura, finalità, sistemazione e soprattutto costituzione fisiologica tra cassonetti ed "ecopiazzole".

In realtà per quanto riguarda queste ultime aree si tratta di iniziative che – attivate con ottimi fini di principio – finiscono poi spesso per sfuggire al controllo ed alla gestione delle pubbliche amministrazioni interessate per due ordini di motivi. Va infatti rilevato che la destinazione riservata - in genere – solo ai privati cittadini viene di fatto elusa e disattesa giacchè in pratica tali aree poi nel tempo vedono riversati rifiuti di ogni genere, anche di origine artigianale e produttiva. I controlli degli accessi non possono essere permanenti e stringenti e dunque è logico che imprese di piccolo e medio livello finiscono con il riversare i loro rifiuti di origine aziendale in tali siti (gratuitamente) per risparmiare sul trasporto e sullo smaltimento o recupero finale che comporta comunque dei costi. Ci sono poi i falsi "privati" e cioè tutto quel microcosmo di piccoli operatori "in nero" che operano abusivamente lavori artigianali ed edilizi di ogni tipo e che – formalmente – sono "privati". Si pensi, ad esempio, ai diffusi "dopolavori" di alcuni dipendenti di aziende private (ed anche pubbliche) nel contesto dei quali soggetti apparentemente "privati" e con mezzi propri e dunque non aziendali operano in realtà lavori di tipo arigianale e produttivo anche di firte livello come nel campo edilizio. Costoro si presentano in tali aree formalmente come "privati" e riescono ad ottenere l’ingresso riversando in realt carichi di rifiuti in quantità industriale. Consegue inevitabilmente che sia a causa delle ditte regolari che approfittano "fuori orario" di tali aree sia a causa degli abusivi che si presentano come soggetti "privati" spesso il carico che assumono tali aree risulta alla fine sproporzionato rispetto alle finalità auspicate dalla pubblica amministrazione la quale non riesce poi in diversi casi a garantire lo smaltimento dei rifiuti accumulati e di fatto spesso i cumuli restano in loco, creando un pericoloso incoraggiamento per altri terzi che giungono a riversare rifiuti di ogni tipo. E da qui a volte si originano vere discariche di fatto o comunque aree di trascurata gestione passiva di cumuli di rifiuti.

Ma, tornando alla disciplina giuridica di tali aree, nel condividere la teoria che vuole indicarle come punti di stoccaggio, certamente non possiamo sottolineare come a nostro avviso sia assolutamente non condivisibile la teoria che vuole identificare le "ecopiazzole" come depositi temporanei.

Tale orientamento premesso che in linea di principio riconosce che l’attività svolta presso le isole ecologiche è quella del deposito preliminare di cui alla lettera D15 del decreto 22/97, tuttavia ritiene che tali aree rientrino nella deroga prevista dalla stessa lettera D15 per il "deposito temporaneo" di rifiuti, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti. E si assume che il soggetto produttore dei rifiuti va individuato in tutta la comunità cittadina, e dunque il luuogo di produzione andrebbe a coincidere con tutto il territorio comunale.

Va rilevato che il Il deposito temporaneo rappresenta nella pratica attuazione dei principi del decreto 22/97 una importante questione di principio generale atteso che, di fatto, oggi tale concetto rappresenta una diffusissima alternativa allo stoccaggio in sede di produzione aziendale dei rifiuti.

Il punto fondamentale è che, contrariamente a quanto si crede, si tratta di una deroga e non della regola base.

Il deposito temporaneo è concetto innovativo stabilito dalla norma al punto m) dell’articolo 6 primo comma. La definizione è stabilita come "raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti" a una serie di condizioni tecniche specifiche che sono indicate in seguito nello stesso punto della stessa norma.

Non vi è dubbio – dunque - che il deposito temporaneo va collocato come eccezione particolare e specifica rispetto alle operazioni di "gestione" in senso stretto (raccolta + trasporto + smaltimento o recupero), nel senso che trattasi di una figura derogatoria che viene di volta in volta estrapolata dal legislatore rispetto a tutto il regime autorizzatorio previsto per la "gestione" dall’art. 28 esonerando l’azienda dagli obblighi autorizzatori.

L’art. 28 (che disciplina l’autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero), dopo aver previsto il regime della prassi amministrativa a carico degli interessati, stabilisce nel comma 5 che le disposizioni dello stesso articolo non si applicano al deposito temporaneo (ecco dunque il carattere di eccezione del relativo concetto) effettuato nel rispetto delle condizioni di cui all’art. 6 comma 1 lettera m), che é soggetto unicamente agli adempimenti dettati con riferimento al registro di carico e scarico di cui all’art. 12 ed al divieto di miscelazione di cui all’art. 9.

Ma perché avviene tutto questo?

In realtà il deposito temporaneo nella formulazione originaria del decreto 22/97 nasce come un modesto punto di deroga per agevolare soprattutto le piccole imprese caratterizzate da una modesta produzione di rifiuti e per le quali il ricorso alle operazioni di "gestione" ordinaria significava un pesante stress operativo ed economico. Successivamente è stato di fatto ampliato anche verso attivit più significative. Ma si tratta sempre e comunque di principio connesso con una attività aziendale in senso stretto.

Va sottolineato che deve trattarsi di un’attività aziendale strettamente chiusa, sottinteso anche a livello strutturale/topografico, all’interno del ciclo aziendale ed esattamente del luogo d produzione in senso stretto. Conferma questo principio il concetto di luogo di produzione perché solo presso "il luogo dove sono prodotti" i rifiuti è consentito effettuare il deposito temporaneo. L’art. 6, comma 1, lett. i), definisce luogo di produzione "uno o più stabilimenti o siti infrastrutturali collegati tra loro all’interno di un’area delimitata in cui si svolgono le attività di produzione dalle quali originano i rifiuti".

Il deposito temporaneo presuppone, perciò, che il rifiuto non sia mai uscito dall’"area delimitata" entro la quale è svolta l’attività produttiva.

è, inoltre, ovvio che il deposito temporaneo può essere effettuato solo dal soggetto che ha prodotto i rifiuti e che tale soggetto deve essere titolare di un’azienda che produce rifiuti. E che sceglie tale deroga – in alternativa allo stoccaggio iniziale che sarebbe la regola – per accedere una forma attenuata di quello che – di fatto – resta sostanzialmente uno stoccaggio di rifiuti aziendali anche se poi formalmente diventa "deposito temporameo".

Va sottolineato che tale produzione e conservazione deve avvenire in un
"uno o più stabilimenti o siti infrastrutturali collegati tra loro all’interno di un’area delimitata in cui si svolgono le attività di produzione dalle quali originano i rifiuti". Certamente appare non condivisibile l’interpretazione che vuole sostituire con tali stabilimenti (aziendali) comunque limitati o collegati tra di loro una intera comunità cittadina e creare nel territorio comunale uno o più depositi temporeanei "collettivi", che di fatto poi sono aperti anche ad attivit produttive di piccolo o medio calibro. Con l’effetto paradossale di liberalizzare – per i viaggi di rifiuti aziendali – il trasporto da ogni formulario atteso che i mezzi viaggerebbero verso un "deposito temporaneo" e dunque prima della fase di gestione entro la quale si trova (come secondo punto dopo la raccolta) il trasporto. Dunque, fermo restando che i rifiuti realmente di privati viaggiano senza formulario se trasportati in proprio, via libera a trasporti di rifiuti aziendali senza formulari in tutto il territorio comunale. Proviamo ad immaginare gli effetti in un territorio comunale di grandi dimensioni (tipo Roma o Milano) relativi all’applicazione di questo principio interpretativo. Sarebbe la deregulation generale sul sistema di trasporto sia per le aziende regolari che per quelle abusive nascoste sotto il paravento delle attività in proprio come "privati"…

Il deposito temporaneo è un’attività che, come ribadito dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee (Sezione IV - Sentenza del 5 ottobre 1999 - Cause riunite C-175/98 e C-177/98) e dalla nostra Corte di Cassazione, "deve interpretarsi in modo restrittivo" e dunque non può essere esteso più di tanto rispetto agli stretti confini genetici che lo caratterizzano nelle sue finalità di fondo. E dunque le prime restrizioni che vanno ribadite e sottolineate sono il fatto che soltanto il produttore può effettuare tale deposito in ordine ai propri rifiuti (e dunque un terzo che operasse tale attività sarebbe illecito e non si tratterebbe certamente più di deposito temporaneo ma saremmo già entrati in piena gestione illegale); ancora il luogo di ubicazione topografica deve essere lo stretto perimetro aziendale non in senso lato ma limitato formalmente e sostanzialmente a luogo di produzione inteso in senso appunto restrittivo (e dunque un trasporto che varchi tali stretti confini, seppur da un’area aziendale ad altra area, magari con l’artifizio della sede legale distaccata e/o altro similare, sarebbe antitetico con il principio in questione).

Deve trattarsi di un’attività strettamente chiusa, sottinteso anche a livello strutturale/topografico, all’interno del ciclo aziendale. Ma si sottolinea ancora una volta che non può considerarsi "interno" il viaggio su strada soggetto alle regole del Codice della Strada per raggiungere da una sede periferica la sede centrale aziendale o, come nel caso di specie, per viaggiare addirittura in tutta l’area del territorio comunale.

Il deposito temporaneo è una alternativa di esclusione rispetto alle ipotesi di stoccaggio
costituite dal "deposito preliminare" o "messa in riserva" (come appare evidente anche dalla formulazione della citata voce D 15 dell’allegato B e voce R 13 dell’allegato C al decreto legislativo 5 febbraio 1997, nonché dalla struttura delineata nell’art. 6).

Ove un’azienda decida di ricorrere, invece, a tali due ipotesi di stoccaggio nell’area interna anche di produzione dei rifiuti, può accedere ai connessi e regolari regimi autorizzatori ed attuare regolarmente la prassi conseguente, realizzando così, secondo i casi, un "deposito preliminare" prima dello smaltimento o "messa in riserva" prima del recupero. Chiaramente le due ipotesi, deposito preliminare o stoccaggi (nelle due possibilità) sono alternative.

Si argomenta spesso a sostegno dell’ipotesi di sito di deposito temporaneo di fatto extraziendale che tale deposito temporaneo viene effettuato ancora nel ciclo stesso ma topograficamente e fisicamente fuori del recinto aziendale per esigenze tecniche, cosicché il tragitto tra l’ubicazione muraria dell’azienda e il terreno del presunto deposito temporaneo dovrebbe essere interpretato come una sorta di "spostamento interno al ciclo aziendale" e non come un "trasporto in senso stretto" perché l’operazione resterebbe sempre chiusa dentro la nicchia della gestione di produzione aziendale. Oppure si accede ad interpretazioni estensive che misura il "luogo di produzione" in aree vaste purchè "riservate" da titolo unico di proprietà o gestione, fino ai tracciati autostradali.

In altre parole, il deposito temporaneo verrebbe semplicemente ubicato in via differita a livello topografico per esigenze tecniche connesse, magari, a mancanza di spazio nell’area aziendale e/o altre esigenze di fatto o tecniche.

In realtà il deposito temporaneo deve essere effettuato dentro il luogo di produzione ed i rifiuti non devono uscire fuori dalle mura strette dell’azienda o dai confini stretti dell’aziednda, giacché ogni altra ipotesi fa cessare automaticamente i presupposti del deposito temporaneo e la fuoriuscita dei rifiuti dal cancello del luogo di produzione è già attività di gestione degli stessi e deve essere considerata a tutti gli effetti di legge trasporto in senso stretto e soggetta ai regimi di rito, tra cui il formulario (l’art. 6 del decreto 22/97 definisce il "luogo di produzione dei rifiuti" in modo chiaro: "uno o più edifici o stabilimenti o siti infrastrutturali collegati tra loro all’interno di un’area delimitata in cui si svolgono le attività di produzione dalle quali originano i rifiuti").

Va dunque sottolineato e ribadito che senza alcun dubbio il deposito temporaneo per principio nazionale ed europeo non può assolutamente mai uscire dallo stretto luogo di produzione dei rifiuti e come tale intendiamo la ristrettissima area aziendale entro la quale i rifiuti sono stati prodotti. Si richiama in questo senso il principio della limitazione del luogo topografico di produzione dei rifiuti e il concetto del "piè di macchina" espresso da alcuni autori in attività convegnistiche. Dunque appare assolutamente inipotizzabile a livello nazionale che per qualunque motivo un deposito temporaneo, di qualunque natura, entità e qualità, possa essere in qualche modo ubicato fuori dello stretto confine aziendale del luogo di produzione. O che possa essere astrattamente concepito per una intera collettività comunale.

Va altresì ribadito che non essendo attività soggetta ad alcun regime autorizzatorio, è contestualmente inipotizzabile che una pubblica amministrazione, qualunque essa sia, deroghi ai principi generali nazionali ed internazionali e decreti una anomala ed irrituale attività autorizzatoria sul deposito temporaneo che cesserebbe così di essere quella eccezione assolutamente particolare che già sopra negli appunti precedenti abbiamo visto ed esaminato come assolutamente derogatoria rispetto al sistema dello stoccaggio e della discarica.

Vogliamo ancora una volta sottolineare che l’effetto veramente stupefacente è che se tali aree fossero realmente depositi temporani, tutto il flusso dei rifiuti aziendali legali ed illegali che dalle fonti di produzione fino a tali siti arriverebbe verso dette località apparirebvbe svincolato per forza di cose dal formulario dei rifiuti e dal registro di carico e scarico. Quindi si tratta di un principio che viene ricercato dalle forme criminali con estremo interesse per giustificare viaggi di rifiuti non classificabili come trasporti e stoccaggi intermedi da classificare invece come depositi temporanei al di fuori del recinto aziendale e cioè del "pié di macchina".

Quindi va sottolineato all’attenzione delle Pubbliche amministrazioni che ogni distonia, ogni leggerezza amministrativa o legislativa che interessa il deposito temporaneo sono realtà normative o disciplinatorie che possono essere utilizzate come riflesso indiretto a enorme e devastante vantaggio delle forme di criminalità organizzata in materia di rifiuti ( al di la’ naturalmente degli intenti positivi e del tutto alieni delle amministrazioni che redigono tali atti con finalita’ di risolvere problemi sociali ed aziendali).

Ciò premesso, va dunque rilevato che ipotizzare una forma di deposito temporaneo fuori dall’azienda e/o per intere comunità cittadine non soltanto è anomalo rispetto alla normativa sul deposito temporaneo, ma anche rispetto alla normativa sul trasporto per i rifiuti aziendali. Infatti, se per tali rifiuti il deposito temporaneo è attività derogatoria ed eccezionale prima della gestione, e se la gestione è in primo luogo raccolta e poi trasporto, infine smaltimento o recupero, è inevitabile che il trasporto in se stesso è già a metà del sistema di gestione. Se il deposito temporaneo è prima della gestione, come si può ipotizzare che un trasporto avvenga a metà tra la produzione del rifiuto e il deposito temporaneo? Questo non è ipotizzabile, ed infatti il deposito temporaneo in se stesso essendo prima della gestione e dunque ben prima del trasporto, non potrà mai schematicamente essere identificato come sito di destinazione dedicato per ricevere un flusso di rifiuti attraverso il trasporto, giacché nessun titolare di deposito temporaneo potrà mai firmare la terza e quarta copia per ricevuta dello scarico della massa dei rifiuti. Il deposito temporaneo infatti è la fonte del trasporto, prima del trasporto, non può essere intermedio o addirittura finale rispetto ad un’attività di trasporto. Quindi una previsione normativa od autorizzatoria amministrativa che preveda il deposito temporaneo extra aziendale o "collettivo" non solo viene in urto con la normativa specifica su tale principio, ma crea una forma anomala di trasporto con una formulario altrettanto atipico ed anomalo, che andrebbe a riversare i rifiuti verso un sito dedicato non ipotizzabile nella normativa né nazionale né europea. Come potrebbe infatti ipotizzarsi che il titolare del deposito temporaneo firmi la terza e quarta copia di un formulario per ricevere i rifiuti che in realtà dovrebbero partire proprio da questa fonte di deposito temporaneo? E se poi il soggetto è il medesimo, cioè il produttore dei rifiuti che crea un’attività a monte e poi un deposito temporaneo a valle, come può ipotizzarsi che esso produttore realizzi un formulario in ordine alla propria attività e trasporti rifiuti prima della gestione e quindi realizzi il formulario prima della fase in cui il formulario è previsto?

Tali assunti ci convincono definitivamente che nessun modello di formulario potrebbe mai essere utilizzato per giustificare un deposito temporaneo che sia al di fuori del recinto aziendale di produzione. Questo ci induce dunque a ritenere che se è già iniziata una vera e propria attività di trasporto, appare inevitabile che quello che viene comunque raggiunto come sito di destinazione anche intermedio (comprese le "ecopiazzole"), anche da parte di piccoli operatori, è per forza di cose una forma di stoccaggio gestito da terzi (nel caso dellec "ecopiazzole" dalla P.A. competente che deve essere autorizzata ai sensi del decreto 22797).

Lo ribadiamo: il deposito temporaneo deve essere effettuato dentro il luogo aziendale di produzione ed i rifiuti non devono uscire fuori dalle mura strette dell’azienda o dai confini stretti del cantiere, giacché ogni altra ipotesi fa cessare automaticamente i presupposti del deposito temporaneo e la fuoriuscita dei rifiuti dal cancello del luogo di produzione è già attività di gestione degli stessi e deve essere considerata a tutti gli effetti di legge trasporto in senso stretto e soggetta ai regimi di rito, tra cui il formulario (l’art. 6 del decreto 22/97 definisce il "luogo di produzione dei rifiuti" in modo chiaro: "uno o più edifici o stabilimenti o siti infrastrutturali collegati tra loro all’interno di un’area delimitata in cui si svolgono le attività di produzione dalle quali originano i rifiuti").

Dunque a nostro avviso è logico ritenere che quando un rifiuto viaggia, e dunque viene formalmente trasportato ai sensi del decreto n. 22/97 da una sede periferica aziendale alla sede centrale o verso un sito terzo come una "ecopiazzola", si realizza in partenza un deposito temporaneo nella sede locale, un trasporto successivo con formulario e nella sede centrale o in una "ecopiazzola" uno stoccaggio intermedio del rifiuto aziendale.

Anche provvedimenti amministrativi tesi a derogare a tale principio non riteniamo possano autorizzare depositi temporanei extraziendali.

Registriamo una interessante e condivisibile sentenza del Tribunale Penale di Pistoia (Giudice Unico Penale) in data 22 gennaio 2004 (est. A. Scarcella) nella quale viene confermata la nostra linea interpretativa in un significativo caso concreto che, pertaltro, risolve anche una distorta prassi interpretativa estensiva sul concetto di "manutenzione" nel contesto del decreto n. 22/97 e delle conseguenti parziali esenzioni a livello gestionale previste dalla medesima norma.

Il Tribunale di Pistoia con detta pronuncia (pubblicata per esteso sul nostro sito www.dirittoambiente.com) ha stabilito che il raggruppamento di rifiuti (nel caso specifico misti di costruzioni e demolizioni) effettuato (prima della raccolta) in un luogo diverso da quello di produzione configura sempre il reato di deposito incontrollato di rifiuti (ex articolo 51, comma 2 Dlgs 22/1997) e che una cantieristica stradale non integra l’ipotesi di "manutenzione" ai fini del decreto 22/97.

L’imputato nella causa in questione ha sostenuto che possa qualificarsi deposito temporaneo anche il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, anche in luogo "diverso" da quello di produzione; e ciò in base alla nota 14 marzo 2000 del Settore tutela ambientale della Provincia di Pistoia in materia di deposito temporaneo dei rifiuti misti di costruzione e demolizione (Cer 170701), che confermava la possibilità di stoccaggio dei rifiuti presso la sede legale "se questi derivano da attività di manutenzione". Il Tribunale ha redatto la motivazione della sentenza in senso interpretativo opposto. Ed ha ritenuto correttamente inapplicabile il disposto dell’articolo 58, comma 7ter del decreto 22/97, secondo cui "i rifiuti provenienti da attività di manutenzione o assistenza sanitaria si considerano prodotti presso la sede o il domicilio del soggetto che svolge tali attività".

Ed il punto nodale della pronuncia e’ quello del trasporto precedente al presunto deposito temporaneo extraziendale giacche’ si rileva in sentenza – come da noi sempre sostenuto in questa ed altre sedi – "a ragionare secondo la impostazione sostenuta dalla difesa, dovrebbe essere considerato per "fictio iuris" deposito temporaneo lo "stoccaggio" di rifiuti provenienti da attività di demolizione e ristrutturazione che necessariamente comporta il necessario trasferimento (rectius, trasporto) di tali rifiuti dal luogo in cui gli stessi sono effettivamente prodotti (cantiere) al luogo in cui gli stessi sono destinati ad essere o avviato allo smaltimento finale in discarica ovvero ad essere "temporaneamente depositati" per destinarli al riutilizzo od allo smaltimento. Così ragionando, quindi, quale sarebbero le sorti di quella fase della gestione dei rifiuti costituita dal trasporto degli stessi? Se fosse davvero deposito temporaneo la produzione di rifiuti in luoghi diversi da quelli della sede della ditta che svolge attività di manutenzione, che senso avrebbe la lettera m) dell’articolo 6 Dlgs n. 22/97 che qualifica come deposito temporaneo il raggruppamento dei rifiuti, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti? La soluzione corretta, ad avviso del giudicante, è che, in realtà, ci si trovi di fronte a fasi diverse e diversamente disciplinate dal legislatore."

Sono anni che anche noi ci poniamo questa domanda, e soprattutto la poniamo ai sostenitori della teoria del "deposito temporaneo extraziendale", ma ancora nessuno ci ha offerto risposta.

Ed un punto e’ a` nostro avviso certo. Se il deposito temporaneo e’ un raggruppamento di rifiuti prima della raccolta, e cioe’ ancora nel ciclo produttivo, e se la raccolta e’ la prima operazione di gestione formale di rifiuti nel contesto del decreto 22/97, e se il trasporto viene dopo la raccolta, non vi e’ dubbio che un deposito temporaneo spostato dopo il trasporto o non puo’ esistere per logica sistematica oppure azzera per forze di cose il trasporto per far giungere i materiali in quel sito; e dunque non si tratterebbe piu’ di "trasporto" formale (che necessita di formulario) ma di uno "spostamento" di rifiuti. L’effetto e’ che tali tragitti (piu’ o meno lunghi…) resterebbero esenti dal formulario ed i cumuli a monte privi dei registri di carico e scarico! Tutto inizierebbe dal sito del deposito temporaneo, e di quanto accaduto prima non vi sarebbe traccia formale ne’ in sito ne’ in viaggio!

Se poi questo "deposito temporaneo" fosse – come nel caso preteso delle "ecopiazzole" – per finzione giuridica di tipo "collettivo" e cioè prodotto dalla comunità cittadina, avremmo anche l’effetto straordinario di una traslazione del ruolo di "produttore" del rifiuto che, in relazione ai casi di riversamento dei rifiuti aziendali legali e – soprattutto – illegali di fatto spoglierebbe il vero produttore da questa qualifica e chi trasporta di conseguenza da responsabilità in via indiretta… Attivando meccanismi incontrollabili sul sistema delle reciproche responsabilitàà, ribadendo ancora una volta il concetto – spesso sottovalutato – che il (vero) deposito temporaneo si trova prima della gestione come ipotesi in deroga e dunque fa ancora parte del ciclo produttivo e pertanto le attività a monte e propedeutiche (che proprio per questo possono essere solo aziendali in senso stretto e chiuse in un recinto strutturale) non possono essere considerate attività gestorie e dunque il trasferimento dei rifiuti dall’entità produttiva (macchinario) al luogo di accumulo non è "trasporto" ma spostamento e quindi esente dalle regole del formulario. Se per astrazione giuridica ipotizziamo come "luogo di produzione" una intera area territoriale di un comune, per coerenza dovremmo considerare esteso questo concetto propedeutico di "spostamento" interno a tutto il perimetro comunale… Le conseguenze – sulle ipotesi ilecite aziendali palese e soprattutto dissimulate da false attività "private" come sopra evidenziate – sono ben facilmente immaginabili…


Dunque, in conclusione, a nostro modesto avviso, pur senza la pretesa di voler accreditare una teoria esaustiva sulla materia, continuiamo a ritenere che le "ecopiazzole" - come a suo tempo già stabilito dal Ministero per l’Ambiente – sono stoccaggi a tutti gli effetti entro il decreto 22797 e dunque necessitano di connesso regime autorizzatorio e che per la loro natura (ed anche per l’effetto "calamita" di attrarre comunque meccanismi spesso incontrollabili di riversamenti di rifiuti anche aziendali in modo diretto o indiretto illegale) non possono rientrare nel regime di privativa di cui all’art. 21 decreto 22797, né tantomeno – per i motivi sopra esposti – possono essere considerati depositi temporanei in qualsiasi forma e tra queste a "produzione collettiva" da parte della comunità cittadina.

Sempre a nostro avviso un sito di "ecopiazzola" abbandonato e non gestito in modo sistematico dall’amministrazione competente e di fatto trasformato in un ricettacolo di rifiuti grazie al citato "effetto calamita" nel tempo va a costituire una discarica abusiva di fatto sul territorio.

Inoltre, laddove non si voglia far rientrare la "ecopiazzola" nella fattispecie di deposito temporaneo ma, come fanno molti Comuni, ritenere che le operazioni di cernita e raggruppamento rientrino nel concetto di raccolta (e da ciò far discendere che le "ecopiazzole" non debbano essere autorizzate ai sensi degli articoli 27 e 28, Dlgs 22/1997) è errato.Infatti (ammesso e non concesso che si tratti di raccolta, sarebbe necessaria l’iscrizione all’Albo nazionale gestori rifiuti di cui all’articolo 30, comma 4; Dlgs 22/1997 cit.), la cernita e il raggruppamento sono fasi della raccolta (articolo 6, comma 1, lett. e), Dlgs 22/1997: "raccolta: l’operazione di prelievo, di cernita e di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto"), mentre ai sensi della successiva lettera f) la raccolta differenziata si posiziona come una speciale modalità di raccolta, dalla quale inevitabilmente esita uno stoccaggio che a sua volta prenderà la strada del trasporto e poi quella dell’impianto di recupero o smaltimento ("la raccolta idonea a raggruppare i rifiuti in frazioni merceologiche omogenee").

Quindi, anche laddove ci si trovasse in presenza di una "raccolta", sarebbe necessaria l’iscrizione all’Albo, poiché la raccolta è propedeutica al trasporto e non successiva, come si evince dal tenore letterale del citato articolo 6, comma 1, lett. e), Dlgs 22/1997.

Non esiste alcuna disposizione del Dlgs 22/1997 che esenti gli impianti comunali dalle autorizzazioni e la logica interpretativa che sottende alla configurazione delle "ecopiazzole" come "depositi temporanei" o come "raccolte" è destituita di ogni fondamento ermeneutico

Maurizio Santoloci

Lunedì, 12 Luglio 2004
stampa
Condividi


Area Riservata


Attenzione!
Stai per cancellarti dalla newsletter. Vuoi proseguire?

Iscriviti alla Newsletter
SOCIAL NETWORK