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Notizie brevi 09/01/2017

«Così i trafficanti d’auto finanziano il terrorismo»: nuova inchiesta a Genova

Genova, controlli al Terminal Traghetti (foto Pambianchi)

Genova - Dal traghetto “Excelsior” scendono in 22, tutti libici e partiti dal porto tunisino de La Goulette dove s’erano imbarcati su Hyundai Ix 35, Toyota Land Cruiser o Dodge Ram 1500 all’apparenza nuove, ancorché immatricolate 3-4 anni fa in Libia. Si confondono nella colonna degli altri viaggiatori che lasciano il terminal diretti in città, al Nord Italia od oltreconfine. E ai poliziotti che ne intercettano qualcuno chiedendo genericamente cosa siano venuti a fare in Europa, rispondono evasivi: famiglia, lavoro, rimarcando tuttavia di viaggiare soli.

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Mistero sul rientro
Non è così, scopre la Procura del capoluogo ligure. Che il 12 dicembre scorso, grazie all’installazione d’un Gps, li osserva mentre si radunano in un’area di servizio dell’autostrada per Milano, superano il valico di Ponte Chiasso, attraversano la Svizzera e raggiungono Germania, Belgio o Lussemburgo. Non solo: incrociando un po’ di dati gli investigatori verificano che in precedenza uno dei punti d’appoggio in Liguria è stato un imam radicale già accusato di fondamentalismo; che nei telefoni e nei bagagli di altri libici apparentemente collegati erano presenti documenti sul finanziamento alla jihad con il traffico d’auto; che le traversate Libia-Tunisia-Italia sono passate pure per gli scali di Palermo e Livorno e si sono clamorosamente intensificate da agosto. Soprattutto: nessuno fra coloro che è approdato sulle nostre coste a bordo d’una macchina in teoria per uso privato, è rientrato nel Paese d’origine dall’Italia e con un mezzo a quattro ruote. «Quelle vetture sono state tutte vendute», è la conferma di chi passo dopo passo sta ricomponendo un’immagine inattesa.

Escalation da agosto
Partendo da questi elementi i magistrati del pool antiterrorismo genovese, guidato dal procuratore capo Francesco Cozzi e di cui fanno parte i sostituti Silvio Franz e Federico Manotti, hanno avviato da poche settimane un’indagine per «associazione con finalità di terrorismo». L’ipotesi è che quel traffico di automobili serva a finanziare cellule jihadiste e il sospetto era già affiorato nelle prime settimane del 2016, quando polizia di frontiera e finanza intercettarono sulle banchine movimenti simili a quelli registrati un mese fa, con la notizia che trovò un certo spazio sui giornali. Dopo la fiammata iniziale il fenomeno pareva esaurito, mentre lo screening del periodo agosto-dicembre ha certificato un’escalation delle “missioni” e permesso di circoscrivere un gruppo evidentemente organizzato.

I personaggi finiti nel mirino dei pm hanno compiuto in pochi mesi decine di blitz attraverso l’Italia. È il caso per esempio di Mohamed Abughofa, libico di 34 anni sbarcato cinque volte tra l’1 agosto e il 28 novembre scorso, sempre con un’auto diversa. O dei fratelli Hatem ed Eijab Gdara, 36 e 34 anni, il primo individuato due volte e il secondo quattro tra il 14 ottobre e il 12 dicembre, in ogni occasione con una vettura differente. Ancora: Mohammed Alkourgaly, 36 anni, doppio sbarco censito nel giugno 2016. Gli ultimi tre in particolare, ed è ulteriore elemento su cui stanno lavorando agenti e Fiamme gialle, possedevano un passaporto americano oltre a quello libico, sebbene su quelli Usa ci siano dubbi.

I sospetti tornano in Liguria
C’è un altro episodio che agli occhi di chi indaga va tenuto in grande considerazione. In estate, mentre s’intensificavano gli ingressi di libici a bordo di Toyota e Hyundai, sono tornati a Genova Abdel Kader Alkourbo, cinquant’anni, Muhamad Mosa, 43 anni, e Mohamad Amar, 39 anni, tutti nati in Libia. Erano stati fermati un anno fa in porto per contrabbando aggravato dal terrorismo (avevano file sospetti negli smartphone) e gli erano state sequestrate le automobili. Si erano proclamati commercianti di macchine e indagando su di loro si è scoperto che uno dei principali contatti per i libici in arrivo nel capoluogo ligure e bisognosi d’un punto di riferimento, è stato sovente Mohamed Naji, tunisino di 33 anni, predicatore estremista già nel mirino della Digos per le liaison con altri fanatici e impegnato nella realizzazione d’una moschea “blindata” a Sampierdarena. Indagando su di lui i poliziotti hanno scoperto che, oltre a fare l’Imam, si mantiene commerciando più o meno ufficiosamente auto.

L’allarme dell’intelligence
Il terzetto dei suoi amici guidato da Abdel Alkourbo, dopo alcune settimane di detenzione, era stato scarcerato e a fine gennaio era sparito dall’Italia. Perché è ricomparso? «Il fatto che siano tornati - conferma al Secolo XIX una qualificata fonte investigativa - probabilmente per riprendere le auto con le quali erano stati bloccati (poi dissequestrate dai giudici, ndr) certifica un’evidente consuetudine con il nostro Paese ed è chiaro che c’è parecchio da approfondire: l’apparente omogeneità del gruppo libico (acclarata pure da una serie di sms, ndr), il legame con un islamista a Genova, l’incredibile numero di viaggi a senso unico compiuto negli ultimi cinque mesi, il motivo per cui alcuni avevano carteggi sull’esito di altre indagini in materia di finanziamento alla jihad con la compravendita di auto».

Ultimo dato cruciale. Vari sospettati erano stati fermati nel corso di controlli estemporanei per il reato di contrabbando “semplice”, ma la legge italiana in materia è rigida e il tribunale li ha quasi sempre liberati con annessa riconsegna dei veicoli. Sono stati la serialità degli sbarchi, e la vicinanza di molti protagonisti a frange fondamentaliste, a far optare il pool genovese per un’indagine più strutturata. E forse oggi si capisce perché a settembre il Casa (Comitato analisi strategica antiterrorismo del Viminale) stoppò il progetto, già ben avviato, d’un traghetto che collegasse direttamente la Libia alla Liguria.

 

di Tommaso Fregatti - Matteo Indice
da ilsecoloxix.it


Una inchiesta che apre scenari inquietanti. (ASAPS)

Lunedì, 09 Gennaio 2017
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