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Notizie brevi 02/12/2016

La studiosa di antropologia che insegna alle auto autonome a guidare

Melissa Cefkin, ricercatrice del Nissan Design Center, è l'anello di congiunzione tra l'uomo e la macchina: studia i nostri comportamenti per trasferirli alle vetture robot

Il futuro della mobilità è nell'antropologia. Non ce ne vogliano l'ingegneria e l'informatica ma nello sviluppo dell'auto autonoma l'uomo è più importante della tecnologia. Lo dimostra Melissa Cefkin, ricercatrice del Nissan Design Center della Silicon Valley, una donna che insegna alle macchine a guidare. Da antropologa ha scelto di non occuparsi di lontane tribù ma dei comuni cittadini, di non studiare oscuri riti iniziatici ma comunissimi comportamenti stradali. Insomma, studia tutti noi. «Con i miei collaboratori seguiamo le persone, camminiamo con loro, guidiamo con loro e così cerchiamo di capirne i comportamenti», dice la donna. Il suo ruolo è fondamentale: è l'anello di congiunzione tra l'uomo e la macchina. Le vetture autonome non sono solo robot su ruote. Sono organismi che interagiscono in un sistema complesso in cui ci sono anche non robot, vale a dire noi stessi e le nostre vetture meccaniche. Un sistema che non si regge su solide regole matematiche, che non è prevedibile da un algoritmo né può essere recepito da un sensore. Non basta mettere una telecamera, un sensore di distanza e un algoritmo predittivo a bordo per far andare un'autonoma in strada, dice Cefkin. L'auto deve anche capire dove si trova, cosa può fare e cosa no, cosa è socialmente accettabile in una società e cosa è riprovevole. Per questo Cefkin ci studia.

Persone e società

Il nostro comportamento su strada infatti varia a seconda delle situazioni, della cultura in cui si vive, del luogo in cui ci si trova e perfino del giorno della settimana. Qui Cefkin mostra un incrocio di una quieta cittadina californiana. È domenica mattina, c'è il sole e le persone passeggiano con calma. In una situazione come questa siamo più inclini a far passare davanti a noi, sulle strisce, un'auto che ci avrebbe dovuto dare la precedenza. È domenica e siamo rilassati. Ma se pensiamo alla stessa situazione di lunedì mattina, nelle vie congestionate del centro, mentre tutti vanno a lavoro e i clacson suonano all'impazzata, bé, quell'auto prepotente non la passerebbe liscia e come minimo si guadagnerebbe un insulto a mezza bocca. È proprio qui che l'antropologia diventa fondamentale. Capire noi umani e i nostri comportamenti è strategico affinché l'auto sappia come comportarsi: per un algoritmo l'assolata domenica e l'uggioso lunedì sono la stessa cosa. C'è poi la società: un incrocio californiano e una rotatoria iraniana non seguono le stesse regole, ciò che è socialmente accettabile da una parte non lo è dall'altra ma un'autonoma deve districarsi in entrambe le situazioni, sia in un traffico regolare della Silicon Valley che nel pieno caos di pedoni, biciclette e motorini che seguono percorsi incomprensibili nel Medio Oriente. Non si può certo fare un algoritmo diverso per ogni Paese.

L’uomo e la macchina

Da ultimo Cefkin ci racconta dell'interazione uomo-macchina. Un recente rapporto condotto su seimila persone dimostra come il 50 per cento dei guidatori non si fida delle auto autonome. Non parliamo della tecnologia che c'è dietro ma proprio dell'idea che un'auto guidi da sola. Cefkin mostra un altro video. È un altro incrocio («sono i punti in cui troviamo le maggiori interazioni in strada», puntualizza). Si vede un ragazzo che, prima di attraversare, cerca lo sguardo dell'automobile che dovrebbe lasciargli la precedenza. Il guidatore dell'auto effettivamente frena e il ragazzo accelera il passo mentre attraversa come per ringraziarlo, per non fargli perdere altro tempo. Immaginiamo ora lo stesso ragazzo, allo stesso incrocio ma con una vettura autopilotata in cui magari il conducente non più conducente è intento a vedere un film. Il ragazzo a chi volge lo sguardo per capire quando attraversare? Chi gli dice che l'autonoma lo ha visto e non lo schiaccerà? Chi gli fa un cenno con lo sguardo che indica il via libera? Anche qui lo studio degli umani nel loro ambiente può essere d'aiuto per trovare una soluzione.

Imparare dall’umano

L'idea di Nissan per risolvere il problema lo troviamo in IDS, un concept presentato al salone di Tokyo del 2015. L'auto dall'aspetto futuristico ha una striscia di led che corre dai fanali anteriori alla coda. Cambia colore per interagire con le altre automobili e i pedoni: si colora di rosso per far capire che non è il momento di attraversare o di verde per comunicare che sta dando la precedenza a una vettura analogica. In più la IDS ha anche un display digitale dove invia messaggi come «Prego, puoi attraversare» oppure «Dopo di te». Chiaro che è solo una suggestione, non la soluzione. Per il momento la ricerca di un protocollo di comunicazione uomo-macchina continua e segue un mantra vecchio come il mondo: conosci te stesso.

 

di Alessio Lana
da corriere.it

Venerdì, 02 Dicembre 2016
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