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Notizie brevi 03/02/2005

ROMA - Omissioni di Soccorso, una sentenza fa chiarezza: non basta chiamare aiuto, ma i soccorsi devono essere attesi vicino alle vittime. Lo dice la Cassazione

Omissioni di Soccorso, una sentenza fa chiarezza: non basta chiamare aiuto, ma i soccorsi devono essere attesi vicino alle vittime.
Lo dice la Cassazione

(ASAPS) ROMA – Il concetto stesso di omissione di soccorso, potrebbe essere presto rivisto, in chiave ancora più garantista verso le vittime di sinistri stradali. Quello che alcuni organi di stampa hanno definito un giro di vite contro la pirateria, rischia di trasformarsi in una mutazione completa, in chiave evolutiva, del precedente concetto, e tutto per una sentenza nel merito da parte della Cassazione. La Suprema Corte ha infatti deciso che i soccorsi vanno attesi vicino alle vittime di un incidente stradale per non essere condannati per omissione di soccorso. Non basta, dunque, fare una semplice telefonata di emergenza, ma bisogna rimanere accanto alle vittime dello scontro e prendersene cura finché non arrivano i soccorritori. E questo, anche se non si è direttamente coinvolti nell’incidente. Forse, siamo davanti ad un pronunciamento che rischia di diventare una vera e propria “convenzione di Ginevra” della strada: un atto che ora invoca a sé un remake della legge che disciplina la materia. La sentenza in questione è la 3397, nella quale la Suprema Corte ha confermato la condanna, ovviamente per omissione di soccorso, di una coppia di romani, che alcuni anni fa si trovarono a passare sul luogo di un terribile incidente. Al centro della strada che percorrevano, nel cuore della notte, c’era un motociclista in condizioni disperate. Probabilmente il centauro era stato investito da un pirata, che ovviamente non si era fermato. I due scesero dalla loro macchina e chiamarono i soccorsi, ma al primo rimbombare delle sirene se ne andarono, lasciando il disgraziato agonizzante da solo. Il motociclista non ce la fece e morì poco dopo il ricovero in ospedale. Quella loro “omissione” era stata dunque (almeno sulla carta) solo parziale, ma è costata loro una dura e definitiva condanna. L’arringa del difensore ha inutilmente cercato di evidenziare come in realtà i due si comportarono chiamando i soccorsi, ma la Suprema Corte non ha condiviso questa tesi, spiegando che in casi come questi, non basta contattare Polizia Stradale e sanitari, ma si deve “presidiare il posto allo scopo di evitare che altre vetture possano investire l’infortunato”, precisando che “nel concetto di prestazione di assistenza non può non rientrare, innanzitutto, l’adozione di quelle cautele atte a limitare il danno già riportato dalla parte offesa, ovvero a scongiurare la sua ulteriore esposizione al pericolo”. Vi fu, dunque “omissione di soccorso” da parte dei due: una condotta che, sempre secondo la Cassazione, “integra perfettamente il reato, in quanto avrebbero dovuto trattenersi sul posto nel quale rinvennero il motociclista fin quando altri non avessero potuto assumerne la vigilanza e la cura”. (ASAPS).





Giovedì, 03 Febbraio 2005
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