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Notizie brevi 11/05/2005

E se li chiamassimo serial killer?

E se li chiamassimo serial killer?

di Maria Teresa Zonca

Un assassino seriale, di quelli descritti dai manuali di criminalistica, di quelli senza ritorno. Si è dimostrato così Angelo Izzo, ma i segnali c’erano già tutti.
Perché lo dice anche John Douglas, il superpsicologo dell’Fbi che ha ispirato uno dei personaggi principali del thriller “Il silenzio degli innocenti”, tra i fondatori dell’unità speciale dell’FBI di Quantico: quando si comincia con delitti di un certo tipo, di “quel” tipo, indietro non si torna.
E non è per pazzia, così come la intendiamo noi. E’ semplicemente perché per uno come Izzo la normalità pare essere la violenza. Perché uno come lui ha altri parametri del mondo, metri di misura che la maggior parte delle persone capaci di provare sentimenti non riescono e non possono comprendere.
E’ che poi, una volta arrestato, il serial killer sa bene come fingere con gli psicologi che lo hanno in cura. E non commette lo stesso tipo di reato semplicemente perché non ha la “materia prima”, non ha la vittima ideale a portata di mano. E’ accaduto di nuovo, nel giro di pochi giorni. Un criminale con alle spalle due omicidi, Bartolomeo Gagliano, è stato arrestato mentre fuggiva con il bottino dell’ennesima rapina, a Savona. Gagliano aveva già commesso due omicidi, ma ne aveva tentati altri, ed era fuggito da quegli ospedali psichiatrici nei quali era stato rinchiuso perché considerato infermo di mente.
Le sue vittime, prostitute e transessuali. Tre anni fa viene considerato “guarito” e “non pericoloso”. Ma Douglas lo ha dimostrato nei suoi studi, analizzando una ad una le vite degli assassini seriali di cui si è occupato. Quando ne avevano la possibilità tornavano ad infierire e ad uccidere, altrimenti erano agnellini, buoni e convincenti.
Le conclusioni del criminologo americano sono alla portata di chiunque, e sono più o meno le stesse alle quali, parlando di altri casi tutti italiani, è arrivato in Tv il “nostro” più noto alle masse Francesco Bruno.
E sono simili anche a quelle espresse dal suo collega Vittorino Andreoli, che, tuttavia, ritiene che a ogni persona debba essere concessa la speranza di uscire dal carcere prima o poi. Su Izzo, e su coloro che erano con lui, il Circeo avrebbe dovuto insegnare qualcosa: i segnali in quel caso, ma anche in quello di Gagliano, c’erano già tutti. In entrambi i casi, anche se non hanno analogie tra di loro, non c’entravano gelosia e vendetta e non si trattava di malavita organizzata. In particolare per Izzo, non c’era nient’altro che puro e crudo gusto per la violenza, vissuta come onnipotenza.
Eppure non c’è una legge che distingua l’assassino e il criminale “occasionale” da quello seriale. Perché c’è differenza eccome. Soprattutto quando c’è di mezzo la tortura, l’infierire, l’uccidere con un sottile fine sessuale e con ritualità.
Certo, per i parenti delle vittime ogni morto ha diritto alla stessa giustizia ed ogni assassino deve essere punito per la vita che si è arrogato il diritto di spezzare. Ma quando ci sono tutti gli elementi per catalogare un omicida come seriale bisogna tener conto che non ci sarà mai nulla che farà tornare l’assassino sui suoi passi.
E proprio per questo la pena deve coincidere con l’esigenza di tutela della collettività. La detenzione per il serial killer non deve rappresentare una semplice punizione per ciò che ha fatto, ma l’assicurazione che questa persona, che per ragioni diverse ha perso la capacità di provare umani sentimenti, non sia più nelle condizioni di ripetere il reato. Potrà chiedere scusa, ma lo farà pensando che è ciò che la gente si aspetta da lui, senza provare un reale pentimento.
Potrà dire che non lo farà mai più, ma i suoi istinti saranno soltanto sopiti, e fingerà egli stesso di credere a quella calma apparente. I segnali del “non ritorno” sono di solito ben chiari ai parenti delle vittime e, molto spesso, agli investigatori al momento della soluzione del delitto.
Il tutto, si perde tra burocrazia, garantismo e leggi cieche nella distinzione tra delitti e delitti. Il nodo è tutto qui, nella criminologia, argomento che riempie la bocca nei talk show, che ispira fiction in Tv, ma lontana, troppo lontana dai legislatori.





di Maria Teresa Zonca

Mercoledì, 11 Maggio 2005
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