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Notizie brevi 09/04/2014

SICUREZZA STRADALE E INFRASTRUTTURE:
PARLANO I TWEET
Per la prima volta nella storia delle due ruote, la situazione della rete viaria del nostro Paese viene raccontata in un tweet libro a cura di Vincenzo Borgomeo di Repubblica.it/Motori

La copertina del libro

Roma, 8 aprile 2014. Poche parole per ciascun tweet ed ecco una fotografia reale delle infrastrutture italiane, passando per denunce, racconti, richieste affinché la strada sia adeguata anche per chi viaggia su due ruote, a pedale e a motore.

 

Questo in sintesi il tweet libro #dakarsottocasa, promosso da Confindustria ANCMA (Associazione nazionale Ciclo Motociclo e Accessori) ed EICMA (Esposizione Mondiale del Motociclismo) e scritto da Vincenzo Borgomeo, giornalista di La Repubblica. Un’opera originale, in quanto unica nel suo genere, e corale, perché gli spunti di riflessione sono stati offerti dai singoli utenti.

 

Secondo il MAIDS (Motorcycle Accidents In Depth Study), in Italia le infrastrutture inadeguate sono concausa di incidenti nel 25% dei casi, circa il doppio rispetto alla media europea.

 

Nel 2012, la presenza di ostacoli accidentali o fissi sulla strada ha provocato la morte di 88 centauri e il ferimento di altri 1.920, pari al 30% del totale (fonte ISTAT). Il costo sociale degli incidenti che vedono coinvolti veicoli a 2 ruote è stimabile in circa 8 miliardi di euro, dei quali più di 600 milioni sono imputabili alle infrastrutture.

 

Le statistiche di incidentalità riferite al 2012 evidenziano come, in Italia, il livello di sicurezza offerto ai motociclisti stia gradualmente crescendo: i veicoli a due ruote coinvolti in incidenti (mortali e non) si fermano a quota 64.823, in netta diminuzione rispetto all’anno precedente (-13,8%). In termini di gravità delle conseguenze, le vittime su ciclomotore (122 persone) fanno registrare la contrazione più significativa, con un -26,1% rispetto al 2011, mentre il numero dei feriti è diminuito del 6,9%.

 

Negli ultimi 5 anni (ultimo anno di riferimento: 2008) il numero delle vittime è diminuito del 31,5%; con riferimento al 2000, la riduzione di vittime tra gli utenti dei motoveicoli è ancora più significativa: - 37,6%.

 

I produttori di moto si impegnano costantemente, in termini di ricerca e sviluppo, sul tema della sicurezza. Lo dimostrano i continui progressi sul fronte delle tecnologie applicate sui veicoli, dai sistemi avanzati di frenata al controllo di trazione, così come i miglioramenti di telai, sospensioni e pneumatici. A questi si aggiungono i risultati raggiunti dai produttori di caschi e abbigliamento tecnico, tesi ad aumentare la protezione e limitare i danni in caso di incidente. Tutti argomenti ampiamente trattati nel Libro Bianco, nell’Eccellenza tecnologica e sicurezza della moto e in Caschi e abbigliamento per la sicurezza delle due ruote. #dakarsottocasa completa, infatti, il percorso iniziato con le precedenti pubblicazioni.

 

In più Confindustria ANCMA, in collaborazione con il DISS (Dipartimento di Sicurezza Stradale) dell’Università di Parma ha redatto un vademecum utile a progettisti e tecnici per realizzare infrastrutture che limitino i rischi per i motociclisti. Si tratta di un vero e proprio compendio che affronta tutte le problematiche della circolazione stradale per chi viaggia su due ruote, offrendo soluzioni concrete per la riqualificazione e l’adeguamento infrastrutturale, in linea con gli standard comunitari.

 

L’impegno dell’Associazione per la tutela degli utenti di bici e moto continua in particolare con il dialogo costante con le Istituzioni.

 

Inoltre, la riforma del Codice della Strada, in corso d’opera presso le competenti commissioni parlamentari, rappresenta un’occasione irrinunciabile per adottare alcune misure importanti per la sicurezza di chi viaggia su due ruote, come:
- il recepimento in Italia della norma tecnica emanata dal CEN – il Comitato Europeo per la Standardizzazione – che stabilisce i criteri costruttivi di guard-rail per  motociclisti. Questo consentirebbe per la prima volta, in Italia, di installare guard-rail appositamente pensati per le due ruote anziché adattare quelli esistenti;
- l’apertura delle corsie riservate ai mezzi pubblici anche ai veicoli a due ruote, come già accade in alcune città europe (ad esempio a Stoccolma e Londra). Nella capitale britannica, in particolare, questa misura ha portato ad un abbattimento del tasso di incidentalità delle due ruote compreso tra il 25% e il 30%;
- l’introduzione di un vincolo normativo che imponga alle pubbliche amministrazioni, che costruiscono nuove strade, di prevedere misure di sicurezza pensate per gli utenti delle due ruote.

 

Per quanto riguarda la bicicletta Confindustria ANCMA chiede il rispetto del Codice della Strada nella costruzione di piste ciclabili quando si realizza una strada nuova, oltre a misure che tutelino la circolazione delle bici come la moderazione o la limitazione del traffico. Inoltre, ANCMA auspica che siano portati avanti i due progetti di legge per la mobilità ciclistica presentati a Roma il 14 febbraio alla Camera dei Deputati.
 

 

L'introduzione di Vincenzo Borgomeo

 

Parlare di strade progettate male, di pericoli che ti attendono dietro l’angolo, di infrastrutture rischiose non è bello. In sella si va godendo ad ogni giro di ruota, si viaggia spensierati e anche il percorso casa ufficio è quasi sempre una piccola festa.
Eppure non si può ignorare che quasi la metà degli incidenti in moto e in bici è causato dalle condizioni della strada. Che esistono trappole impossibili da superare per gli utenti delle due ruote. Non si può ignorare – fonte Motorcycle Accidents In Depth Study – che in Italia le infrastrutture inadeguate sono concausa di incidenti nel 25% dei casi, circa il doppio rispetto alla media europea. E che nel nostro Paese perdono la vita per guardrail assassini e altre trappole varie circa 100 centauri l’anno e oltre 2000 rimangono feriti.
Abbiamo voluto affrontare - insieme a Confindustria Ancma, l’Associazione nazionale Ciclo Motociclo e Accessori - il tema in un modo nuovo, per certi versi rivoluzionario, con questo “Tweet libro” nato su twitter, presentato su twitter e sviluppato su twitter. L’obiettivo dichiarato è quello di portare in piazza il tema, di condividerlo con milioni di persone che popolano il più grande social network del mondo: in queste pagine non trovate un’accozzaglia di citazioni o una specie di piccolo dizionario dove ogni pagina contiene un tweet.

 

Il libro è il sunto di un lavoro durato due anni, di dibattiti infiniti, di un tema che è stato spinto con forza nella discussione quotidiana. Il “tweet libro” insomma è un piccolo riassunto di quanto fatto, discusso, ma anche uno stimolo – un forte stimolo – a continuare a spingere forte il tema delle infrastrutture pericolose per le due ruote perché ogni pagina di questo volume è interattiva, cioè consente di entrare in contatto con l’autore del tweet e con gli altri utenti del social network attraverso i sistemi più noti, hashtag e indirizzi twitter.

 

Ogni pagina poi ha un commento, una specie di riassunto di come è andata la discussione su quel tema, un qualcosa che porta il lettore, anzi lo spinge a continuare la discussione, a tenere vivo il libro, il tema, la discussione. Di ogni opera, letteraria o digitale, si cerca sempre di misurare il livello di diffusione, di tiratura. Ecco, questo “tweet libro” è un raro esempio di fuga dalla regola perché nasce e continua su pagine infinite.
Il calcolo della “tiratura” è impossibile perché twitter – si sa – sfugge a qualsiasi regola, a qualsiasi steccato.

Insomma, con questo spirito di discussione, di condivisione, abbiamo voluto affrontare un tema duro, per certi aspetti difficile. E non è un caso che il tema della morte, in libri del genere, c’è sempre ed è nascosto. E’ sempre “dietro l’angolo”, fra le righe, sottinteso (ma non troppo), per non spaventare il lettore. Tuttavia bisogna affrontarlo, senza ipocrisie e senza paure. Come solo le discussioni in rete sanno fare.
E già perché proprio attraverso la discussione di due anni che ha portato alla nascita del libro sono arrivate spesso anche battute, scherzi, lazzi.
Cose che apparentemente allontanano dalla discussione ma che, invece, legano, alimentano il tema del dibattito perché rendono più accettabile l’analisi. Per capire il concetto bisogna ricorrere al campione del mondo della specialità: Woody Allen. La famosa battuta (“Non è che ho paura di morire. E’ che non vorrei essere lì quando questo
succede”) lo ha consacrato come cintura nera del tema, al punto che lo stesso New York Times recentemente lo ha pregato di “buttar giù due righe da esperto” sulla paura di andare all’aldilà.

 

E una lettura delle sue idee rende di sicuro più accettabile affrontare con il dovuto distacco il difficile tema della sicurezza in moto: “Ho sempre avuto un terrore animale della morte – ha scritto il regista sul Nyt - la cosa peggiore che mi possa capitare dopo l’essere costretto ad ascoltare un concerto rock. Mia moglie tenta di consolarmi riguardo alla mortalità e mi garantisce che la morte fa parte della vita e noi tutti moriamo, prima o poi”. E appena il discorso si fa pesante arriva una battuta. E’ il suo stile: “A volte immagino che la morte potrebbe risultarmi più tollerabile – ha continuato Allen - se mi spegnessi nel sonno, anche se in realtà non accetto di morire in nessuna forma, se non forse preso a calci da una coppia di sexy cameriere”.

 

Dietro le battute però, come sempre, si cela una profonda analisi e un grande lavoro introspettivo.
Ed è lo stesso Allen poi ad affrontare un argomento ancora più difficile, forse il vero incubo di chi viaggia su due ruote. Almeno così è stato per chi scrive, soprattutto negli anni delle corse e dell’amore più folle per le moto: la sola idea di non poter più andare su due ruote era peggiore dell’idea della morte stessa.
“Eppure – spiega infatti Allen - ci sono cose peggiori della morte. Molte le danno al cinema vicino casa vostra. Ad esempio non vorrei sopravvivere a un ictus e per il resto della vita parlare con la bocca storta come quelli che bisbigliano consigli sulle puntate all’ippodromo.

 

Non vorrei neppure entrare in coma e stare in un letto d’ospedale ancora vivo, ma senza poter neppure strizzare gli occhi per far capire all’infermiera che guarda Fox News di cambiare canale. E poi chi me lo dice che l’infermiera non sia uno di quei pazzi angeli della morte che odiano veder soffrire le persone e che non mi riempia la flebo di benzina verde?”.
“La mia massima angoscia – continua Allen - è finire come un vegetale, qualunque vegetale, incluso il mais, che in circostanze più liete mi piace abbastanza. Ma è davvero così bello vivere in eterno? A volte in Tv vedo servizi su certa gente alta che abita in zone di montagna piene di neve e nei villaggi tutti campano fino a 140 anni o su di lì. Ovviamente non mangiano altro che yogurt, e quando alla fine muoiono non vengono imbalsamati, ma pastorizzati. E non dimentichiamo che questa gente sana va sempre a piedi, perché vi sfido a trovare un taxi sull’Himalaya. Ma chi ha voglia di passare i suoi giorni allo sprofondo, dove il massimo divertimento è vedere chi riesce a sollevare più in alto il bue a mani nude?”.
Ecco, argomenti seri, serissimi, affrontati con leggerezza: Allen spiega quello che su twitter è diventato normalità. Ed è proprio questo lo spirito con cui abbiamo realizzato il progetto di questo libro virtuale. Continuate a seguirlo con noi. Questo è solo l’inizio.

 

 

 

Mercoledì, 09 Aprile 2014
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Tag: Asaps.it.
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