Mercoledì 01 Maggio 2024
area riservata
ASAPS.it su

Guida in stato di ebbrezza
Sentenza a dir poco strana: guidava con un tasso alcolemico superiore al consentito ma assolto per “buona fede” – il suo alcoltest non funzionava bene e non sapeva di essere ebbro

Foto di repertorio dalla rete

(ASAPS) Non fosse che l’argomento è grave e pieno di risvolti tragici, ci sarebbe da sorridere.
Siccome di sorridere su queste cose nessuno ha voglia, tentiamo di dare ordine a questa vicenda dai contorni fumosi, poco definiti, che creano un preoccupante precedente.
L’antefatto vede in una serata novembrina del 2010 due amici che pasteggiano in un ristorante delle colline romagnole e, nell’occasione, tra una chiacchiera e l’altra, qualche bicchiere in più entra in corpo.

 

Il ragazzo che si mette alla guida, però, giudizioso e previdente, soffia nel proprio alcoltest (regalato dalla mamma preoccupata dalle notizie degli incidenti per guida in stato di ebbrezza) e il “macchinetto” gli risponde che è ben sveglio e pronto alla guida: 0,30.
Si può accendere il motore e partire.
Sulla strada del ritorno, però, in quel di Brisighella (RA) i Carabinieri in pattuglia fermano la macchina dei due e procedono con il rituale controllo “alcolico” su chi guida testando un poco rassicurante 0.89.
Il ragazzo cade dalle nuvole e si giustifica affermando di aver fatto la prova poco prima con il proprio rilevatore e soffia ancora nell’apparecchio regalato dalla mamma che esita ancora un regolare 0,30.

 

Lo stupore del ragazzo è confermato dalla seconda misurazione effettuata dai Carabinieri che fuga ogni dubbio: il tasso alcolemico superava abbondantemente il livello minimo di 0,50 e, quindi, la pattuglia procede con il rituale ritiro della patente e la notifica della denuncia a piede libero per il reato previsto dall’articolo 186 del Codice della Strada.
Al momento del processo, però, l’avvocato difensore imposta la sua arringa sulla “buona fede” del ragazzo, tradito dalla convinzione di non essere ebbro dal rilevatore non preciso regalato dalla mamma.
L’avvocato, poi, ritiene che la rilevazione dei Carabinieri sia stata fatta proprio nel momento di picco del livello alcolemico e, quindi, il ragazzo al momento di accendere il motore della propria auto non si sentiva in stato di ebbrezza, confortato in questo dal risultato dell’alcoltest appena effettuato in piena autonomia.
Buona fede, insomma, buona fede rispetto al sentirsi in stato di ebbrezza, buona fede surrogata da rilevazioni false.
Il PM al processo ha chiesto comunque la condanna a 20 giorni di arresto e 1.200 €. di multa. Il giudice monocratico ha ribaltato la giurisprudenza di merito e ha assolto l’imputato credendo nella sua buona fede e stabilendo che in questi casi “il fatto non costituisce reato”.

 

Il Giudice, nell’assolvere il ragazzo al quale è possibile concedere tutte le attenuanti e i complimenti per la diligenza nell’autocertificare il proprio stato di “salute alcolica”, dovrebbe sapere e conoscere bene le problematiche relative alla guida in stato di ebbrezza e agli sforzi compiuti in questi anni da tutte le Istituzioni e Associazioni, Asaps in testa, per far diminuire il numero dei morti sulle strade a causa dell’alcool.
Non era necessaria una pena a tutti i costi, non era scontato che si procedesse con sentenze ghigliottina, ma guidare in stato di ebbrezza “in buona fede” sembra davvero fantasioso come una giocata del miglior Pelè.
La coscienza civile di ogni persona dovrebbe far capire che se si è bevuto un bicchiere di più perché si è stati in felice compagnia di amici, parenti, fidanzati o coniugi, non è un reato. Lo diventa quando con la mente annebbiata si accende il motore e si guida con i riflessi appannati, magari “in buona fede”, ma appannati rimangono.

 

Le morti dei fine settimana, i ragazzi che si schiantano con le loro auto perché offuscati dai fumi dell’alcool o alterati da sostanze psicotrope, la pirateria causata dallo stato di ebbrezza insegnano che, pur dando tutte le attenuanti e pur volendo non essere giustizialisti, la guida su strada deve essere effettuata nelle condizioni psicofisiche ottimali per non diventare, a seconda dei casi, carnefici o vittime di questa piaga che soltanto attraverso la giusta medicina sarà possibile sanare.
Al ragazzo che prima di mettersi alla guida ha voluto testare la sua condizione possiamo dire bravo, continua così anche se non dovrebbe essere necessario perché l’autista deve essere “analcolico”.
Al giudice che ha sentenziato “il fatto non costituisce reato” esprimiamo la nostra preoccupazione per la possibile nascita di un precedente che rischia di diventare un gancio cui appendere la ricerca di una scappatoia a una legge nata per favorire la sicurezza stradale e non per il gusto di minacciare pene severe. (ASAPS)

 

 


 

Giovedì, 30 Maggio 2013
stampa
Condividi


Area Riservata


Attenzione!
Stai per cancellarti dalla newsletter. Vuoi proseguire?

Iscriviti alla Newsletter
SOCIAL NETWORK