Uno dei feriti viene soccorso davanti al tribunale e
trasportato al pronto soccorso. Foto Quotidiano.net
(ASAPS) REGGIO EMILIA, 19 ottobre 2007 – Cos’è la paura?
Cos’è la tensione che cresce all’improvviso, il cuore che sale in gola alla
velocità di una palla verso il vivo di volata di un cannone? Cos’è il silenzio
della quotidianità, della giornata che pensi di poter concludere come quella
precedente, quando all’improvviso un colpo, fragoroso, azzera i tuoi pensieri,
che sono quelli di un essere umano qualunque, con il diritto di tutti ad avere
paura ma col dovere che deve per forza avere il sopravvento, per via di quel
valore aggiunto che, in questi frangenti, fa la differenza? La giornata più lunga di Reggio Emilia comincia con un
autunno che non vuole arrivare, con il sole ancora caldo che pare infondere
voglia di vivere e fiducia già al mattino e che non ti costringe a girare
intabarrato con la sciarpa e coi guanti. Martedì è una giornata difficile per Vjosa, una ragazza
albanese scappata da Durazzo nel 2001 insieme al fidanzato di una vita, Clirim.
Scappano dal paese delle aquile per tentare la fortuna in Italia, dove si
rifanno una vita, dove lavorano e dove crescono due figlie. L’inizio, forse, non è stato nemmeno male, ma Clirim
diventa violento, la minaccia, la picchia. Dopo i pianti, la ragazza trova il
sostegno di un’associazione coraggiosa, che si chiama “Nondasola” e che l’aiuta
a ricominciare una volta di più, a mettersi al riparo dai cazzotti e dalla
paura. Resta l’ultimo ostacolo, “la burocrazia”, spietata perché
costringe le persone a rivedersi, stavolta nell’aula di un tribunale, per
disdire il contratto sottoscritto davanti agli uomini quando l’amore sembrava
eterno, quando la vita pareva non poter avere fine. Volano le parole grosse, lo
sguardo diventa minaccioso, il buio cala sull’umanità dell’uomo che un giorno
l’aveva ammaliata, facendola innamorare e costringendola a pronunciare un “sì”
che la condannò a morte. Il boia decide di eseguire la sentenza, e dalla cintola prende
una pistola. Ecco la paura, il terrore, la certezza di essere rimasti soli
mentre dalla canna l’arma sputa il fuoco. Il rumore non lo senti, quando arriva
così all’improvviso. Ti fischiano le orecchie, diventi sordo e senti solo il
cuore che batte in gola. Il caricatore finisce alla svelta: la prima ad essere
colpita è lei, Vjosa, al torace ed al collo, e stramazza a terra senza
riprendere conoscenza. Poi tocca all’avvocato della donna, Giovanna, raggiunta
alla spalla senza gravi conseguenze, ed al cognato, Arjan, che tenta una
disperata reazione, finendo con l’essere abbattuto. Clirim ha sparato davanti alle due figlie, 12 e 16 anni,
che restano impietrite, orfane nel giro di pochi secondi. La fuga del pazzo si
conclude davanti a Stefano Marcaccioli e Fabio Stella, due poliziotti della
Questura (Commissariato S.Lazzaro di Reggio Emilia), che erano in un’aula
vicina. Se lo trovano davanti mentre inserisce un altro caricatore
nel serbatoio della 7,65. Quando vedi un uomo con la pistola, finisce che non
ci credi. Lavori una vita, portando in fondina una Beretta da guerra, ma in
fondo è come se fosse un inutile ammennicolo. È lì, la tieni oliata, la chiudi
nel cassetto, spari al poligono un paio di volte l’anno e poi sfotti il collega
che ha messo un colpo fuori sagoma. Clirim vuole portare a termine la sua
missione, che è quella di uccidere più che può. Ormai ha saltato il fosso e ci
prova. Tira il grilletto e la canna rincula di nuovo, colpisce Stefano ad un ginocchio, che cade quasi
subito, mentre Fabio estrae e spara. Il cuore rimbomba in gola, il sangue
scorre, le grida si fanno più lontane ed il silenzio torna padrone. È finita.
Si aprono i tiggì, rullano i tamburi della polemica, si freme per il destino di
Vjosa, che si avvia alla morte cerebrale dopo un disperato intervento
chirurgico. Mentre tutti si chiedono come un uomo possa entrare armato nell’aula
di un tribunale, le due bambine vengono portate in un centro di prima
accoglienza, in attesa di essere affidate ai parenti. Stefano viene portato in ospedale, insieme agli avvocati
colpiti dalle stesse pallottole. Fabio consegna la sua arma alla scientifica,
mentre il procuratore della città si congratula con lui. Stefano e Fabio non
sono nomi nuovi, per noi: un controllo negli schedari ed arriva la conferma.
Sono soci dell’Asaps e dunque sono nostri amici. Ma sono anche i nostri Eroi,
perché hanno vinto la paura ed hanno dimostrato di avere quel valore aggiunto
che a volte fa la differenza e che tutti definiscono con un sostantivo di
derivazione latina: “coraggio”. Viene dal cuore e si vede. Stefano potrà
usufruire della nostra piccola assicurazione, un piccolo ristoro per una ferita
che lo proverà duramente. (ASAPS)
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