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Notizie brevi 12/03/2007

Da Corriere.it - Nei giorni scorsi le autorità hanno invitato la popolazione a non uscire Pechino, inquinamento fuori controllo

Il livello delle polveri sottili è otto volte superiore a quello che l’Oms considera sopportabile

 



PECHINO – L’allarme nella capitale più inquinata d’Asia è a livelli altissimi. A poco più di 500 giorni dalle Olimpiadi – quelle Olimpiadi che consacreranno definitivamente agli occhi del pianeta la Cina come quarta potenza della economia – i dati sull’inquinamento dell’aria e sulla concentrazione di polveri sottili suggeriscono che le promesse non hanno prodotto effetti. La situazione non è migliorata. Anzi.
Le dichiarazioni di facciata (propaganda di vecchio sapore maoista) fino a qualche settimana fa sconfinavano nell’ottimismo quasi esilarante con la assicurazione ripetuta a gran voce: garantiremo per il 2008 almeno 225 giorni di cielo azzurro e pulito. Oggi, per fortuna, i toni sono cambiati. La consapevolezza che la questione merita un’attenzione particolare e pari – se non maggiore – agli sforzi che il Paese sta compiendo per garantire equamente più benessere alle sue famiglie ha preso vigore nei piani nobili del Potere. Non potrebbe essere altrimenti. La Cina, con la complicità di non poche multinazionali straniere che sono venute a investire senza riguardo alcuno per l’ambiente, contribuisce in modo sostanziale al riscaldamento globale del pianeta.
I bollettini – quelli veri e non quelli che vengono pubblicati sui giornali o diffusi attraverso le televisioni
- contengono quotidianamente resoconti da paura. Nei giorni scorsi, prima che su Pechino arrivasse il vento del Nord e allontanasse per qualche ora la pesante coperta di smog, le autorità amministrative si erano spinte fino al punto di invitare la popolazione a starsene, se possibile, chiusa in casa. Meglio evitare la passeggiata nel parco o la ginnastica all’aperto, consigliabile tenere i bambini al riparo dai veleni che si respirano nelle strade. Sole oscurato, nebbia fittissima, odori nauseanti. E due milioni di auto incolonnate. Una camera a gas. Uno di quei 24 giorni di inquinamento da inferno (oltre ogni immaginazione, oltre ogni sopportazione) che si registrano in un anno. Il triplo rispetto al 2005. E parliamo solamente di picchi da record assoluto. Se ci soffermiamo sulle cifre medie distribuite nell’arco dei dodici mesi, il quadro appare pericolosamente fuori controllo.
Nessuno ha voglia (né si permette) di diffondere i numeri del disastro, ovvero l’API (acronimo che in inglese sta per Air Pollution Index) che misura le emissioni di azoto, di zolfo e di sostanze particellari presenti nell’atmosfera, ma una relazione della Banca per lo Sviluppo in Asia mette il dito sulla piaga. E riferisce che, osservando i dati del 2005, il livello di PM10 (polveri sottili) balla dai 142 microgrammi per metro cubo fino ai 175, il valore di punta, quasi otto volte superiore a quello (20 microgrammi) che l’Organizzazione Mondiale della Sanità considera sopportabile. A Nuova York è di 27 microgrammi e a Londra di 24. A Milano quando va oltre i 50 scatta l’allarme rosso. E non è tutto perché su queste statistiche pesa una circostanza non da poco: le misurazioni di PM10 si discosterebbero dagli standard utilizzati in ambito internazionale. Ovvero il diametro delle particelle sarebbe maggiore dei 2,5 micron assunti dalla Organizzazione Mondiale della sanità come riferimento per la catalogazione delle polveri sottili. Il che significa che le cose vanno persino peggio di quanto le più negative analisi stiano a indicare.
«Siamo ben al di sotto del target olimpico» ha ammesso, in uno slancio di sincerità, uno dei capi del Dipartimento per la Protezione Ambientale di Pechino. Il China Daily, organo controllato dal governo, in due titoloni di prima pagina ha ammonito: «Le industrie che inquinano sono sempre di più» e l’ultimo, un mese fa, «Non raggiunto l’obiettivo di controllare l’inquinamento». Pechino sconta certamente una posizione geografica che la espone a tempeste di sabbia e di polvere (in primavera) dovute a processi di desertificazione e che la rende vulnerabile alla formazione (in estate) di gabbie di aria calda umidissima. Ma l’esplosione del traffico urbano, privo fino a qualche tempo fa di controlli (ora sono state installate 700 videocamere e presto arriveranno le centraline per regolare l’accesso all’interno della seconda circonvallazione) e le decine di ciminiere di centrali termoelettriche che in città emettono quantità straordinarie di fumi e di gas hanno dato il colpo di grazia.
Il premier Wen Jiabao, all’inizio della settimana nella relazione con la quale ha aperto il Congresso del Popolo, ha detto con forza che l’ambiente è la grande sfida dei prossimi anni. C’è da credergli. Ma il problema della Cina è che pur apparendo come un impero accentrato e controllato dal monarca (il partito) in verità nei feudi (le province e le grandi città) i principi locali agiscono per loro conto. In altre parole inseguono la ricchezza. Costi quel che costi. Una forma di progresso industriale, delocalizzato ed egoistico, che uccide la Natura e la Salute. E che rischia di ridimensionare l’immagine di una Pechino che intende presentarsi alle Olimpiadi del prossimo anno come la nuova città dell’avanguardia.


Fabio Cavalera

© asaps.it
Lunedì, 12 Marzo 2007
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