PECHINO – L’allarme nella capitale più inquinata d’Asia è a
livelli altissimi. A poco più di 500 giorni dalle Olimpiadi – quelle Olimpiadi
che consacreranno definitivamente agli occhi del pianeta la Cina come quarta
potenza della economia – i dati sull’inquinamento dell’aria e sulla
concentrazione di polveri sottili suggeriscono che le promesse non hanno
prodotto effetti. La situazione non è migliorata. Anzi. Le
dichiarazioni di facciata (propaganda di vecchio sapore maoista) fino a qualche
settimana fa sconfinavano nell’ottimismo quasi esilarante con la assicurazione
ripetuta a gran voce: garantiremo per il 2008 almeno 225 giorni di cielo
azzurro e pulito. Oggi, per fortuna, i toni sono cambiati. La consapevolezza
che la questione merita un’attenzione particolare e pari – se non maggiore –
agli sforzi che il Paese sta compiendo per garantire equamente più benessere
alle sue famiglie ha preso vigore nei piani nobili del Potere. Non potrebbe essere
altrimenti. La Cina, con la complicità di non poche multinazionali straniere
che sono venute a investire senza riguardo alcuno per l’ambiente, contribuisce
in modo sostanziale al riscaldamento globale del pianeta.
I bollettini – quelli veri e non quelli che vengono
pubblicati sui giornali o diffusi attraverso le televisioni -
contengono quotidianamente resoconti da paura. Nei giorni scorsi, prima che su
Pechino arrivasse il vento del Nord e allontanasse per qualche ora la pesante
coperta di smog, le autorità amministrative si erano spinte fino al punto di
invitare la popolazione a starsene, se possibile, chiusa in casa. Meglio
evitare la passeggiata nel parco o la ginnastica all’aperto, consigliabile
tenere i bambini al riparo dai veleni che si respirano nelle strade. Sole
oscurato, nebbia fittissima, odori nauseanti. E due milioni di auto
incolonnate. Una camera a gas. Uno di quei 24 giorni di inquinamento da inferno
(oltre ogni immaginazione, oltre ogni sopportazione) che si registrano in un
anno. Il triplo rispetto al 2005. E parliamo solamente di picchi da record
assoluto. Se ci soffermiamo sulle cifre medie distribuite nell’arco dei dodici
mesi, il quadro appare pericolosamente fuori controllo.
Nessuno ha voglia (né si permette) di diffondere i numeri
del disastro, ovvero l’API (acronimo che in inglese sta per
Air Pollution Index) che misura le emissioni di azoto, di zolfo e di sostanze
particellari presenti nell’atmosfera, ma una relazione della Banca per lo
Sviluppo in Asia mette il dito sulla piaga. E riferisce che, osservando i dati
del 2005, il livello di PM10 (polveri sottili) balla dai 142 microgrammi per
metro cubo fino ai 175, il valore di punta, quasi otto volte superiore a quello
(20 microgrammi) che l’Organizzazione Mondiale della Sanità considera
sopportabile. A Nuova York è di 27 microgrammi e a Londra di 24. A Milano
quando va oltre i 50 scatta l’allarme rosso. E non è tutto perché su queste
statistiche pesa una circostanza non da poco: le misurazioni di PM10 si
discosterebbero dagli standard utilizzati in ambito internazionale. Ovvero il
diametro delle particelle sarebbe maggiore dei 2,5 micron assunti dalla
Organizzazione Mondiale della sanità come riferimento per la catalogazione
delle polveri sottili. Il che significa che le cose vanno persino peggio di
quanto le più negative analisi stiano a indicare.
«Siamo ben al di sotto del target olimpico»
ha ammesso, in uno slancio di sincerità, uno dei capi del Dipartimento per la
Protezione Ambientale di Pechino. Il China Daily, organo controllato dal
governo, in due titoloni di prima pagina ha ammonito: «Le industrie che
inquinano sono sempre di più» e l’ultimo, un mese fa, «Non raggiunto
l’obiettivo di controllare l’inquinamento». Pechino sconta certamente una
posizione geografica che la espone a tempeste di sabbia e di polvere (in
primavera) dovute a processi di desertificazione e che la rende vulnerabile
alla formazione (in estate) di gabbie di aria calda umidissima. Ma l’esplosione
del traffico urbano, privo fino a qualche tempo fa di controlli (ora sono state
installate 700 videocamere e presto arriveranno le centraline per regolare
l’accesso all’interno della seconda circonvallazione) e le decine di ciminiere
di centrali termoelettriche che in città emettono quantità straordinarie di fumi
e di gas hanno dato il colpo di grazia.
Il premier Wen Jiabao, all’inizio della settimana nella relazione con la quale
ha aperto il Congresso del Popolo, ha detto con forza che l’ambiente è la
grande sfida dei prossimi anni. C’è da credergli. Ma il problema della Cina è
che pur apparendo come un impero accentrato e controllato dal monarca (il
partito) in verità nei feudi (le province e le grandi città) i principi locali
agiscono per loro conto. In altre parole inseguono la ricchezza. Costi quel che
costi. Una forma di progresso industriale, delocalizzato ed egoistico, che
uccide la Natura e la Salute. E che rischia di ridimensionare l’immagine di una
Pechino che intende presentarsi alle Olimpiadi del prossimo anno come la nuova
città dell’avanguardia.
Fabio Cavalera |