(ASAPS) MILANO, 10 NOVEMBRE 2006 – Era la notte di Halloween
di due anni fa: Stefano Facchielli, uno dei musicisti del gruppo Almamegretta,
stava rientrando a casa in sella al proprio scooter. Cadde malamente, e dopo
una scivolata finì contro un’auto che proveniva in senso opposto.
Quando il conducente ne scese, per Facchielli non c’era
più niente da fare. Arrivarono alcune pattuglie della Polizia Municipale, che
effettuarono i rilievi e accertarono che l’investitore era in stato di
ebbrezza.
Il particolare però, non ha evidentemente distolto il
processo dalla giusta ricerca della verità, per scoprire l’effettiva causa
della caduta di Stefano, il “cuore elettronico” della band.
Due periti – l’ingegnere Massimo Maria
Bardazza e la dottoressa Eloisa Marinelli – hanno fornito un’ampia
ricostruzione della dinamica dell’incidente, arrivando a stabilire che ad
innescare la scivolata fu senza ombra di dubbio il fondo stradale.
Il musicista stava percorrendo
via Sabotino, quando la perdita di controllo dello scooterone lo fece cadere a
terra: da questo momento, la cosiddetta “origine” del sinistro, vari fattori
hanno concorso alla morte del giovane, ma tutto è nato dalla perdita di
aderenza del motociclo.
Finalmente, ed è una delle
prime volte che accade, un giudice distingue tra “causa di incidente” e “causa
di lesione o morte”: in sostanza, Stefano cadde non per una propria colpa, ma
per la presunta incuria di altri, e morì per le conseguenze di un fatto che non
è assolutamente riconducibile alla sua condotta.
Né, anche in questo il giudice
per l’Udienza preliminare Guidi Salvini è stato chiaro, per colpa del
conducente dell’auto.
Era in stato di ebbrezza,
certo, e per questo è stato condannato a 20 giorni di arresto (pena sospesa) ed
a 500 euro di ammenda, ma le sue condizioni psicofisiche non condizionarono
l’esito dei fatti.
Si legge nella perizia dei due
tecnici: “Se da un lato la morte dell’uomo è stata determinata dall’impatto
finale con l’automobile, il punto nel quale il motociclista ha perso il
controllo del mezzo si presenta con masselli in granito non convenientemente
posati in modo tale da lasciare spazi tra massello e rotaia sul piano
orizzontale e di sporgere sul piano verticale. Considero tutto ciò un’insidia
grave per i soggetti deboli cioè motocicli e biciclette”.
Il concetto di “utenza debole”,
dunque, entra nell’aula di un tribunale e motociclisti, ciclisti e pedoni
potranno contare su questo fattivo precedente.
In buona sostanza, dunque,
niente poteva essere evitato da parte di chi quella sera era su quella strada.
Non Stefano, che ha pagato con la vita, né il conducente ebbro di quell’auto
che non poté evitare l’impatto.
La ricostruzione della dinamica
esposta in aula, infatti, esclude categoricamente che il conducente del veicolo
sarebbe stato in grado di frenare per tempo, anche se fosse stato sobrio.
Insomma, anche in presenza di
un tempo di reazione certamente più lento, lo spazio temporale intercorso tra
scivolata-caduta-impatto è stato ricostruito in meno di un secondo e mezzo.
Gli atti processuali sono stati
rimandati in procura, ed ora si dovranno accertare le responsabilità, da
ricercare con ogni probabilità nell’ente proprietario della strada, in questo
caso il comune.
Non una novità, su questo
fronte: nel corso di un altro procedimento penale, il pubblico ministero
milanese Marcello Musso ha chiesto il rinvio a giudizio di 4 funzionari
comunali, chiamati in causa per la morte di un altro scooterista, avvenuta
pochi giorni prima della tragica fine di Facchielli, Il 22 ottobre 2004 in via
Lamarmora, un ciclomotore perse l’aderenza sul pavé a causa di un massello
smurato ed il centauro finì rovinosamente tra due panettoni antisosta (altre
trappole letali per chi viaggia in sella anziché al volante) e rimase ucciso.
Il 22 novembre prossimo,
l’udienza. (ASAPS)