Non è un bel segnale se un viceministro
italiano ai Trasporti esce da un vertice europeo sentendosi «imbarazzato».
Eppure Cesare De Piccoli aveva questo stato d’animo, ieri mattina, quando al
termine dell’ultima sessione di lavori a Castelvecchio s’è presentato alla Gran
Guardia davanti ai giornalisti.
«È imbarazzante», ha esordito, «che in un vertice internazionale sulla
sicurezza stradale noi italiani siamo "costretti" a citare dati Istat
del 2004 mentre gli altri presentano monitoraggi su incidenti e vittime
aggiornati all’ultimo mese. Non basta. Abbiamo il problema che se citiamo dati
Istat, subito insorge il servizio sanitario per avvertire che sono
sottostimati». Ma l’imbarazzo purtroppo si nutre di ragioni anche più gravi e
profonde. «In questo vertice», continua De Piccoli, «s’è verificata la
difficoltà di conciliare posizioni ed esigenze diversissime - per esempio i
Paesi scandinavi puntano addirittura all’opzione zero, cioè zero morti sulle
strade - ma comunque s’è confermata la volontà di dimezzare le vittime della
strada entro il 2010, o almeno di ridurle del 35-40%. La nostra realtà italiana,
purtroppo, ci mette di fronte a un calo di appena il 3% fra il giugno 2005 e il
giugno 2006 a
fronte di una media europea dell’8%. Insomma, siamo rimasti indietro».
Come dire: tutti gli anni il vertice di Verona si chiude con propositi e buone
intenzioni. Solo che gli altri Paesi traducono in fatti gli uni e le altre. Noi
no. O molto meno. E qui il viceministro, sollecitato all’analisi, non si
sottrae alla polemica politica. Con qualche disagio, consapevole che non è
elegante mettere morti e feriti fra i saldi negativi da rinfacciare ai
predecessori. E tuttavia: «Negli ultimi anni è mancata la volontà politica»,
dice De Piccoli. «Il ministro Lunardi aveva cominciato bene con la patente a
punti, poi aveva finanziato i piani sicurezza. Dal 2004, però, più nulla. E da
noi le vitime della strada sono rimaste sempre quelle mentre in altri Paesi
sono diminuite. Guardiamo la
Francia. Era messa peggio di noi, ha aggredito il problema e
ha fatto progressi enormi. Bisogna moltiplicare gli sforzi».
Si, ma come? «Un’agenzia nazionale sulla sicurezza stradale è indispensabile»,
risponde De Piccoli. «Un tema che riguarda cinque ministeri - Trasporti,
Infrastrutture, Interni, Sanità e Pubblica Istruzione - e le Regioni, e deve
fare i conti con 5.600 morti e 312 mila feriti in un anno, non può non essere
governato da una cabina di regia unitaria impegnata in un lavoro quotidiano,
un’agenzia responsabile del monitoraggio e degli interventi che coinvolga
tutti, dal ministero ai piccoli Comuni. Comprese le aziende produttrici di auto
e moto, con cui bisogna instaurare un rapporto diverso. Perchè le novità
tecnologiche salvavita si devono applicare solo alla moto di Valentino Rossi o
alle Formula 1?»
«La Finanziaria ha
destinato alla sicurezza stradale 80 milioni di euro all’anno per tre anni»,
continua De Piccoli. «È una buona cifra, se ben spesa può far ripartire le
iniziative necessarie». Sempre che i buoni propositi non ricadano nella selva
della burocrazia e dell’inefficienza che ha prodotto buchi neri inammissibili.
Come spiega ancora il viceministro ai Trasporti, «arriviamo perfino a ignorare
a quanto ammonta l’introito delle sanzioni pecuniarie previste dal codice della
strada. Non sappiamo la cifra, in poche parole. Secondo l’Aci sono 900 milioni
all’anno. E sono soldi che per legge andrebbero quasi interamente investiti in
politiche e infrastrutture per la sicurezza. Per esempio per sostituire i
guard-rail ghigliottina. O per promuovere una progettazione stradale che abbia
il prerequisito della sicurezza. Così come i Comuni devono fare - e Verona lo
fa - con almeno il 50% dei soldi incassati dalle multe».
«Da questo vertice europeo di Verona», conclude De Piccoli, «dobbiamo trarre un
forte stimolo a intervenire. A rompere il meccanismo di assuefazione davanti a
cifre enormi, a costi sociali di 32 miliardi - 15 per le vittime e 17 per i
mezzi - che pareggiano gli incidenti a una Finanziaria».
b.pi.
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