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Contromano in autostrada uccise 4 ragazzi francesi, la condanna è definitiva: diciotto anni

In cella l’imprenditore albanese Ilir Beti che, in una notte di follia il 13 agosto 2011, fece una strage al volante del suo Suv sulla A26

È finita. Ed è definitiva la condanna a Ilir Beti, l’imprenditore albanese di 38 anni che, in una notte di prepotente follia, usò il volante del suo Suv come quello di una play station, ma con la stessa efficacia del telecomando con cui si aziona l’innesco di una bomba. E fece quattro morti (Raymond Julien Jean, Vincent Lorin, Audrey Reynard ed Elsa Desliens) e un ferito (Laurent Boette, scampato nel fisico, provato per sempre nell’anima): ragazzi francesi che, il 13 agosto 2011, a bordo di una Opel Astra, transitavano dall’Italia per raggiungere la Slovenia, dove trascorrere le vacanze.  

Ilir Beti, invece, non era molto distante da casa. E, a bordo del Q7, non era solo, anche se l’amica di quella sera non era più in grado di tenergli compagnia, sbronza, addormentata e rannicchiata sul sedile posteriore. Se fosse stata sobria, magari avrebbe pure litigato con Beti, perché un borsello era stato dimenticato ed erano dovuti tornare a prenderlo nel night dove i due avevano passato le ore, a bere, a fumare, a ridere, a perdere il senso del tempo. «Ubriaco di alcol e di sonno» disse l’avvocato Mario Boccassi, difensore di Beti: l’albanese da tempo alessandrino finì sotto accusa per omicidio doloso e per guida in stato di ebbrezza. Il legale negò il dolo e insistette sulla tesi della «colpa grave»: proprio perché «ubriaco di sonno e di alcol», a suo parere l’imprenditore non era consapevole di mettersi alla guida e di imboccare l'autostrada contromano, viaggiando «come un treno, a 150 all’ora», sottolineò il pm Riccardo Ghio che sostenne l’accusa in primo grado. Le famiglie dei ragazzi uccisi, straziate dal dolore e dalla rabbia, si mobilitarono e coinvolsero le autorità francesi reclamando severità per l’automobilista che aveva compiuto quella strage sull’A26, nel tratto di Rocca Grimalda. Presenziarono anche alle udienze, esponendo, fuori dal palazzo di giustizia, prima ad Alessandria e, poi, in Appello, a Torino, striscioni con grandi fotografie dei loro figli, belli, sorridenti e innamorati, che non trovarono scampo alla follia , alle ore 5, 6 minuti e 48 secondi del 13 agosto 2011.  

In primo grado, Beti fu condannato dal gup Enrica Bertolotto a 21 anni e 4 mesi (il pm aveva chiesto 21 anni e 6 mesi). In secondo grado, la sentenza fu confermata; la Cassazione, invece, rimandò il fascicolo alla Corte d'Apppello non condividendo le motivazioni a sostegno della volontarietà dell’omicidio. La Corte riaprì il caso, lo riesaminò e confermò il dolo, anche se ridusse la pena a 18 anni di carcere. Ma, a marzo scorso, fu concesso all’imputato di uscire dal carcere, dove si trovava dall’agosto 2012. Per qualche mese tornò a casa, ai domiciliari.  

Nel frattempo, il caso è tornato in Cassazione (con la difesa di Mario Boccassi e Franco Coppi): la Suprema Corte, questa volta, ha condiviso e confermato i 18 anni di reclusione per omicidio doloso.  

Non restano altre vie da percorrere. Quindi, Ilir Beti è rientrato in cella. Per un po’ di anni, non farà più l’impresario nella ditta edile che il padre, immigrato in Italia, aveva fondato. Ma, in carcere, si è messo a studiare, nel «suo ramo», per diplomarsi geometra

di Silvana Mossano
da lastampa.it


Ora la condanna a 18 anni per Ilir Beti è proprio  definitiva! La Cassazione conferma la pena e mette la parola fine a questa tristissima e drammatica vicenda. Ilir Beti ora torna dentro. (ASAPS)
 

Venerdì, 04 Novembre 2016
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