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Rassegna stampa alcol e guida del 6 dicembre 2005

RASSEGNA STAMPA "ALCOL E GUIDA"

Note a cura di Alessandro Sbarbada
Servitore-insegnante in un Club degli Alcolisti in trattamento a Mantova.


IL SOLE 24 ORE
Alcol in corsia: tolleranza zero
di Roberto Turno.
  

Medici e infermieri stiano bene attenti: neppure col mezzo bicchiere di vino si potrà più scherzare in ospedale. Perché presto la regola sarà tassativa: in corsia non sarà ammesso più alcol, e tanto meno superalcolici. E tasso alcolimetrico rigorosamente "zero" sul lavoro dovrà essere osservato da ben altre undici categorie professionali la cui attività può causare un rischio elevato di infortuni sul lavoro, o per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi.
Previsto da ben quattro anni — dall’entrata in vigore nel marzo del 2001 della legge quadro sull’ «alcol e i problemi alcolcorrelati» — eppure da allora rimasto nei cassetti ministeriali in un continuo rimpallare di interpretazioni ( e dunque di professioni da aggiungere o da eliminare), potrebbe essere finalmente ai nastri di partenza il decreto interministeriale Lavoro-Salute che elenca le attività professionali per le quali sarà
«fatto divieto di assunzione e somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche ».
Già scritto più volte e ancora limato nelle ultime settimane, il decreto sarà la prossima settimana al vaglio, per un parere, della Commissione nazionale sull’alcol. A quel punto, se non sorgeranno complicazioni, il provvedimento seguirà il suo iter in Stato Regioni e la solita trafila burocratica per la pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale ».
Una trafila che, peraltro, potrebbe sempre essere rallentata dalle eccezioni pro o contro delle categorie professionali: c’è chi, ad esempio, chiede apertamente che nella lista figurino gli insegnanti di ogni ordine e grado e chi, invece, ha cercato ( ma finora perdendo la battaglia) di allentare la morsa sulle professioni sanitarie.
Un giro di vite in tutti i sensi, quello in arrivo, soprattutto perché in più casi, e da sempre, non c’è mai stata alcuna regolamentazione su una materia delicatissima per professioni la cui attività incide direttamente sulla salute e la sicurezza altrui. È il caso delle attività sanitarie, per le quali fin dal tempo del " decreto Craxi" contro l’uso di alcol e droghe si è cercato inutilmente di dare il via a una sorta di monitoraggio e di elaborazione delle categorie professionali da tenere in qualche modo sotto controllo per check costanti delle capacita psico fisiche dei lavoratori.
Ma non solo gli operatori della salute figurano nella liste delle attività a rischio. C’è chi impiega gas tossici o conduce generatori a vapore, c’è l’antico « fochino » ( chi fa brillare le mine) e chi fabbrica fuochi artificiali, ci sono le vigilatrici d’infanzia e gli addetti ai nidi materni e tutte le attività di trasporto, e ancora i carpentieri addetti ai ponteggi e tutti i coloro che lavorano ad alta quota.
Per tutti costoro varrà la regola dei lavoratori della pubblica sicurezza: «Grazie, non bevo, sono in servizio». Altrimenti scatterà una multa da 500 a 2.500 euro. Sempreché ci sia la necessaria routine dei controlli alcolimetrici.

ASAPS.IT
CANADA, SICUREZZA STRADALE. RIPARTE LA LOTTA ALLA GUIDA IN STATO EBBREZZA ED I CONTROLLI SI FANNO ANCOR PIÙ SERRATI. AL VIA L’OPERAZIONE “NASO ROSSO”.

(ASAPS) QUÉBEC (CANADA) – Le forze di Polizia canadesi sono pronte a rafforzare il dispositivo di controlli per il contrasto alla guida in stato di ebbrezza. Lo rende noto il governo di Québec con una nota diffusa agli organi di stampa e pervenuta nel pomeriggio del 1° dicembre in redazione. Nuove modalità di selezione dei conducenti da controllare, sono state concordate in collaborazione con esperti delle società di assicurazioni automobilistiche dello stato, scese in campo proprio il 2 dicembre, dedicando la giornata ad una maggiore informazione delle conseguenze di una guida con i sensi ingannati e indeboliti dai fumi dell’alcol. Gli agenti di polizia saranno dislocati in tutto il territorio con la consegna di rafforzare al massimo i controlli, che saranno effettuati con nuove modalità di selezione dei veicoli. Da parte sua, il governo ha deciso che farà di tutto per documentare il lavoro delle forze dell’ordine proprio in questi frangenti; dal canto suo, il governo diramerà bollettini radiotelevisivi per cercare di avvertire tutti gli utenti della possibilità di incappare in severi controlli da parte delle pattuglie. Da tempo, le strade canadesi sono considerate le più sicure delle Americhe, ma nonostante questo la vigilanza resta molto alta. L’alcol, tra le altre cose, è la prima causa di morte accertata sulle strade del Québec: si pensi che nel 2003 l’uso di bevande alcoliche (birra, vino e superalcolici) ha causato 240 decessi, 1.100 feriti gravi e 2.500 feriti leggeri. “Se bevete – dice il comunicato del governo – evitate di guidare. Fate ricorso all’autista designato (una figura che ricorda il “capitano di serata” francese, ndr), ai mezzi pubblici o ad un taxi”. A partire da questa sera, poi, in tutto il Canada scatta l’operazione “Naso Rosso”, che prevede servizi di accompagnamento gratuiti. “Evitate l’incidente: chi beve, non guida”, conclude il comunicato. A proposito dell’operazione Naso Rosso, è giusto precisare  che non tutti sono d’accordo con questo tipo di iniziative, che – oggettivamente – mitigano in parte il problema della sicurezza stradale, ma non quello del consumo di sostanze alcoliche, estremamente pericoloso per la salute. Pare proprio che questa coperta, sia davvero troppo corta. Meglio non bere e basta. (ASAPS).

ASAPS.IT
FRANCIA: L’ALLARME CANNABIS AL VOLANTE NON COGLIE IMPREPARATO IL GOVERNO E SCATTA SUBITO LA CAMPAGNA DI PREVENZIONE.

(ASAPS) PARIGI – Nel corpo di un articolo pubblicato oggi sul nostro sito, parliamo delle sconcertanti verità emerse da alcune ricerche scientifiche effettuate dai nostri cugini d’Oltralpe. Si parla di stretta connessione tra consumo di cannabis ed incidenti stradali mortali, innescati spesso da conducenti ebbri (quasi il 40% dei conducenti coinvolti, sotto i 30 anni, è risultato positivo). Ma in Francia – uno dei paesi che si è certamente distinto in questi ultimi anni in politica di sicurezza stradale – la risposta non si è fatta attendere. Già nel pomeriggio del 30 novembre, infatti, a poche ore dalla pubblicazione da parte di Le Figaro e di Le Nouvel Observateur dei risultati dell’inchiesta, il delegato interministeriale, Remy Heitz, alla Sécurité Routière, ha annunciato per il prossimo anno una campagna di comunicazione contro l’uso di cannabis al volante, tutta dedicata ai giovani. “ Siamo in stretta connessione – ha detto Heitz – con la Commissione Interministeriale per la lotta alle droghe e per la cura dei tossicodipendenti (MILDT) e abbiamo già steso un programma di base che sarà definito entro pochi giorni. Lanceremo, nel 2006, una campagna mediatica che spiegherà il pericolo di questo comportamento”. L’occasione per fare l’annuncio è stata una cerimonia di consegna di premi da parte della Prévention Routière, che in Francia è un dipartimento a parte come la nostra Protezione Civile. È probabile che il gruppo di Heitz e quelli della MILDT fossero già all’opera da tempo, visto che i risultati scientifici sul tema non sono affatto una novità e cresce la preoccupazione proprio per l’uso di cannabis sempre più frequente tra i giovani, tra i quali va forte comunque anche la cocaina. Nuovi sistemi per l’accertamento sono in pronta consegna alle forze di polizia, tra cui un test salivario. “Siamo più che mai determinati – ha ribadito il delegato interministeriale alla sicurezza stradale – a portare avanti una politica contro la droga al volante, perché è lei la causa di moltissime morti tra una fascia d’età di giovani e giovanissimi, e questo ogni anno da molti anni”. Dal canto suo, il ministro dei Trasporti Dominique Perben, che ha delega e portafoglio alla Sicurezza Stradale, ha tenuto a precisare che se nel 2003 le forze di polizia della repubblica (Gendarmeria e Polizia Nazionale) avevano effettuato 3mila test, nei soli primi 10 mesi del 2005 il numero è arrivato a 16mila. “Una mobilitazione niente male – ha detto Perben – se si considera l’estrema difficoltà di fare controlli di questo tipo con i precursori oggi a disposizione. È indispensabile che si possa al più presto utilizzare i nuovi test salivari (sembra ancora in fase di studio, ndr) in modo da poter fare i controlli in grande numero e farli divenire sistematici come quelli alcolimetrici. (ASAPS).

BRESCIA OGGI
Don Claudio Paganini: «Risposte da dare».

Hanno chiesto da bere, fors’anche la bevanda sbagliata, e si sono ritrovati circondati da polizia municipale, genitori e avvocati, analisti del tasso alcolico, camerieri inguaiti… E’ la scena capitata in un locale di Desenzano del Garda a cinque quindicenni, rei d’aver chiesto bevande dal nome esotico «ciupita».  Ma, dato che il tasso alcolico è troppo elevato e la legge per la somministrazione di bevande alcoliche è stata violata, scattano due azioni di contrasto da parte del Comune.
Le azioni di contrasto da parte del Comune sono: controllo e repressione nei locali pubblici e corsi di prevenzione per adolescenti dal tema «Non me la dai a bere».
È certamente condivisibile l’intervento degli adulti su un tema tanto importante come l’abuso degli alcolici, la trasgressione, l’educazione al tempo libero... Ma quei ragazzi, vien da sospirare, hanno semplicemente chiesto: dammi da bere! E dalle conseguenze di un bicchiere di troppo può scaturire una riflessione sul tema della trasgressione e della prevenzione, come pure la scoperta di nuove vie formative ed educative.
Mi sembra troppo forte il rischio di interventi spropositati o inadeguati, che finiscono per alimentare il gioco adolescenziale della trasgressione. E mi pare, nel contempo, troppo grande il silenzio con cui la comunità adulta risponde alle domande dei giovani. Anche a quelle più banali come il semplice «dammi da bere».
Sono proprio questi prolungati silenzi del mondo adulto a diventare peccati di omissione e sintomo della mancanza di risposte educative. A un adolescente si può rispondere negando qualcosa oppure offrendo un’alternativa, una suggestione, un sogno di vita, un impegno che affascini... Molte volte basta una battuta intrigante, un proverbio adeguato, un detto sapienziale, e l’adolescente trova saziata la propria sete.
Le risposte adeguate si possono cercare, ma il silenzio, se non usato come strumento educativo, diventa l’ammissione del fallimento relazionale. E anche assecondare indistintamente le richieste dei giovani è un modo per silenziare i perché esistenziali.
Per chi poi, come me, fonda la propria vita riferendosi al Vangelo, nasce una grande suggestione attorno a quella frase: dammi da bere. È lo stesso Gesù a porre più volte questa richiesta.
Nel Vangelo di Giovanni, alla samaritana che attinge acqua al pozzo chiede: dammi da bere. È una richiesta banale, da cui scaturisce una relazione, un dialogo sul senso della vita, che porta la donna samaritana a riconoscere in Gesù un dono. Che la porta, a sua volta, a diventare messaggera e testimone di Gesù.
Ed è ancora Gesù, quale suo ultimo gesto sulla croce prima di morire, a chiedere da bere. Perché si adempissero lo scritture, dice il testo, ma anche perché sia l’umanità a rispondere con gesti concreti, con la propria vita e non con i silenzi, alle richieste che le vengono poste. Non si può mai essere neutrali e tantomeno abdicare al proprio ruolo di educatori propositivi.
È fattibile che un adolescente chieda un bicchiere di «ciupita» da bere. Ma è fondamentale, per la sua crescita, possedere la risposta adeguata. Il non assecondarlo, offrendo in alternativa risposte sul senso della vita, è la via perché impari a estinguere ogni forma di sete. Anche da adulto.
don Claudio Paganini
* direttore dell’Ufficio Oratori della Diocesi di Brescia.

BRESCIA OGGI
LA POSIZIONE DEI BARISTI
«Impossibile verificare l’età dei clienti»
«È compito degli educatori mettere in guardia i giovani. E poi il vero pericolo è la droga».

Finiscono nell’occhio del ciclone. Perché somministrano super alcolici a minorenni, perché, secondo molti, non si fanno scrupoli servendo qualunque bevanda alcolica senza curarsi minimamente dell’età del cliente. Sono il popolo dei baristi, quelli che servono bevande in serie per le ore «calde» della sera. Dalle 21 alle 3, senza un attimo di sosta. E sempre più spesso i super alcolici finiscono nelle mani di chi non ha nemmeno compiuto 16 anni.
«Non possiamo chiedere il documento a tutti quelli che vengono al bancone - riconosce il gestore di una discoteca bresciana -. Ovviamente, cerchiamo per quanto possibile di controllare la situazione, ma è difficile distinguere un ragazzo di 15 da uno di 17 anni. Logisticamente, chi lavora al bancone del bar, non può chiedere il documento a tutti. Un discorso diverso può essere fatto per quelle discoteche che hanno l’apertura pomeridiana, nell’orario in cui i giovanissimi vanno a ballare. Lì penso sia doveroso chiedere il documento all’ingresso, in modo poi da non avere problemi al momento della somministrazione: non sempre però questo viene fatto, anche perché, bisogna ammetterlo, non è nell’interesse di chi gestisce discoteche».
Non sempre, però, controllare il documento di chi si presenta al bancone, vuol dire evitare che il superalcolico finisca nelle mani di chi non potrebbe berlo. «Bastasse controllare il documento - assicura un barista di una nota discoteca sul Garda - forse si troverebbe il modo di limitare il fenomeno. Ma purtroppo, quando una persona ritira il bicchiere, poi si sposta, cammina, gira per il locale. E non si può sapere se passerà il bicchiere a chi ha meno di 16 anni. Non possiamo mettere i guardiani per controllare se chi acquista è effettivamente chi beve».
Se spesso chi lavora nelle discoteche non si crea problemi a somministrare super alcolici a chi non avrebbe l’età per poterli bere, sull’altro piatto della bilancia sarebbe necessario porre i giovanissimi come una categoria non adeguatamente sensibilizzata sui problemi derivanti dall’abuso di alcolici. «Forse bisognerebbe spiegare meglio ai giovanissimi cosa comporta l’abuso di bevande alcoliche - ricorda il barista di una discoteca cittadina - . Però c’è sempre meno gente che beve, costa troppo e di soldi da spendere ce ne sono sempre meno e, anche se ci sono, vengono spesi in modo diverso, per divertirsi in modo molto più dannoso. Sinceramente non credo che il problema dei giovani sia l’alcol: da quanto sento dire in giro, la vera piaga è l’utilizzo di cocaina. I giovani pensano che faccia meno male del fumo o di una pasticca, invece non è mai così: gli effetti della cocaina sono devastanti, brucia il cervello e poi smettere diventa difficilissimo se non impossibile. Credo che l’uso di stupefacenti sia il vero problema dei giovani, non certamente l’assunzione di alcolici, che pure crea problemi ma che comunque è molto meno pericolosa della droga». (*) d.bo.
 
(*) Nota: chiedere il documento al ragazzino che ordina una bevanda alcolica per un barista non solo è possibile, ma doveroso.
Molti gestori di discoteche sono soliti raccontare che i giovani non bevono poi tanto nei loro locali, perché troppo costoso: adesso i baristi di queste stesse discoteche dicono che non è “logisticamente” possibile chiedere il documento a tutti, immagino per l’affollamento che si crea al banco del bar, a causa dell’enorme consumo di alcol in questi locali.
Se davvero vendessero poche bevande alcoliche, come dicono quando fa loro comodo, avrebbero tutto il tempo per chiedere un documento a chi, giovanissimo, le ordina.
La sconcertante mancanza di sensibilità e di preparazione, riguardo all’alcol e ai problemi alcolcorrelati, dei baristi interpellati in questo articolo è lo specchio della nostra cultura, così profondamente alcolica, ma è anche purtroppo la conseguenza della pressoché totale mancanza di controlli, che ha fino ad oggi garantito la tranquilla ed impunita trasgressione di alcuni articoli del nostro Codice Penale.
Qualcosa finalmente si sta movendo.

BRESCIA OGGI
Sono adolescenti, prediligono i superalcolici, accusano il cattivo esempio della tv.
E si dicono sicuri: «Non facciamo niente di male»
«Noi, i ragazzi della sbronza facile»
Intere «paghette» dissipate al bar: «Tanto lì nessuno ti chiede la carta d’identità»
di Daniele Bonetti.

Bevono fino a stare male. In una sera, riescono a spendere anche cinquanta o sessanta euro. Solo, ed esclusivamente, per bere. Fino all’ultima goccia, fino alla chiusura del locale. Hanno 16 o 17 anni, possono contare su una buona disponibilità economica grazie a paghette «faraoniche» che toccano anche i duecento euro al mese: sono i giovani che si ubriacano ogni sabato sera. Per ridere, per stare in compagnia, ma anche per imitare i divi della televisione. Perché ormai una «sbronza» non scandalizza più nessuno.
«In tantissimi telefilm ci sono giovani che si ubriacano - ammette Stefano, 16 anni, seduto sui gradini di un locale del centro storico cittadino - . Se nessuno si scandalizza per certi film, non capisco per quale motivo dovrebbero farlo se a bere sono dei ragazzi normali. Noi beviamo solo per il gusto di farlo, solo per divertirci. Non facciamo nulla di male».
Eppure, in una sera «normale», riescono a bere una quantità di alcolici che manderebbe al tappeto anche un adulto. «È solo una questione di abitudine - ammette un altro componente del gruppo, con bicchiere d’ordinanza tra le mani -. All’inizio si beve poco, perché con un paio di bicchieri di vino o due birre, già si è un po’ fuori di testa. Poi due bicchieri non bastano più, e si inizia ad esagerare, si beve sempre di più, anche in piccole festine private».
Feste che ricordano molto da vicino quelle dei campus americani, quelle decantate in telefilm cult come Beverly Hills, Bayside Scholl o Dowson’s Creek, che hanno segnato il passaggio all’adolescenza dei giovanissimi degli ultimi dieci anni: le feste di fine anno scolastico dove quasi sempre nelle immagini in video si vede qualcuno trascinato a forza in un bagno per vomitare. «Anche ai nostri compleanni c’è gente che si ritrova in bagno - sorridono - . Però in fondo non facciamo male a nessuno, noi non siamo sulla strada, non creiamo pericoli alla gente».
Eppure riuscire a bere super alcolici per un minorenne non è mai troppo agevole. O comunque non dovrebbe esserlo. «Riusciamo sempre a bere quello che vogliamo - ribattono - . Del resto quando in un locale c’è tantissima gente, nessuno può chiederti un documento, non ne hanno il tempo materiale e poi sono lì per vendere, è il loro lavoro». Ma per i giovanissimi, bere diventa anche un momento di misurarsi con gli altri coetanei: una gara a chi beve di più, all’ultimo bicchiere. Chi crolla per primo ha perso. «Noi non facciamo queste gare - assicura ancora Stefano -. Però sappiamo che c’è chi le fa: ha qualche anno più di noi, hanno più o meno 20 anni. Fanno a gara a chi beve più "ciupiti", e normalmente chi perde paga tutto il conto. E sono parecchi soldi, perché un "ciupito" costa non meno di cinque euro».
Se i giovanissimi bevono super alcolici per stare in compagnia, le loro coetanee stanno ben più attente con l’alcol. Difficile che si ubriachino, ma difficile anche trovarne di astemie. «Bere alcolici? - si chiede Antonella, della stessa compagnia di Stefano - . Ovvio che sì, però non tanto come i nostri amici. Loro si ubriacano davvero, noi ne assaggiamo solo un pochino e poi ci fermiamo. Non ho mai visto un’amica ubriaca».

BRESCIA OGGI
IL VECCHIO-NUOVO PARADISO ARTIFICIALE.
I ragazzi iniziano a bere per imitare un modello o perché non si sentono adeguati
A 12 anni il «battesimo» dell’alcol
Le équipes di Alcologia dell’Asl: tra i minori la percezione sbagliata che non sia pericoloso
di Lisa Cesco.

Più delle serate in discoteca, più ancora della velocità e delle trasgressioni di gruppo, il paradiso artificiale dei giovanissimi di oggi si chiama alcol. È in costante aumento la quantità consumata dai minorenni, come dimostra la tendenza emergente che vede abbassarsi l’età in cui si inizia a bere (anticipata fino a 12-13 anni) e che evidenzia fra i ragazzini anche l’incremento di un consumo regolare di alcolici, almeno una volta alla settimana.
Secondo l’osservatorio rappresentato a livello locale dalle équipes di Alcologia dell’Asl di Brescia, sono due gli elementi più preoccupanti che incidono notevolmente sulle modalità di consumo alcolico da parte degli under 18, e che hanno a che fare, prima ancora che con il gusto del bere, con qualcosa di più profondo, legato alle percezioni e agli stili di vita. Da un lato si va affermando uno stile di consumo vicino al cosiddetto «modello anglosassone», ovvero il bere vino, ma soprattutto birra (consumo incrementato del 13% in un decennio) e superalcolici, concentrando «le bevute» nel fine settimana e lontano dai pasti.
Di pari passo, a complicare il quadro entra in gioco un fattore che è squisitamente psicologico: la bassa soglia di percezione del rischio da parte dei giovani. Dagli incontri che gli operatori Asl hanno condotto nelle scuole medie inferiori e superiori sul consumo di alcol, infatti, risulta chiaro come birra, aperitivi, drink non vengono considerate propriamente come bevande alcoliche, con la conseguenza diretta che il loro consumo non viene riconosciuto come pericoloso dai minorenni (niente di più sbagliato, peraltro, dal momento che fino ai 16 anni di età ragazzi e ragazze hanno una minore capacità di metabolizzare le sostanze alcoliche rispetto a quanto avviene per gli adulti, in quanto il fegato è ancora immaturo e non ancora in grado di produrre gli enzimi necessari all’elaborazione delle sostanze alcoliche, per cui anche il consumo saltuario di alcol risulta estremamente tossico).
Si beve a cuor leggero, insomma, senza pensarci troppo, e soprattutto senza considerare le possibili conseguenze dell’abuso di alcol. Per molti giovanissimi, poi, le motivazioni che spingono a consumare drink e superalcolici sono duplici: accanto al modello tradizionale del bicchiere bevuto in compagnia, per il gusto di stare insieme, anche fra i minorenni si va affermando l’esigenza di affidarsi all’alcol come via di fuga dalle difficoltà personali, come modo per affrontare il mondo, compensare carenze, sentirsi più forti. E questo, ammoniscono gli esperti, rappresenta il modo di utilizzo di alcolici che più di ogni altro espone a probabilità di sviluppare, nel tempo, problemi di abuso o di dipendenza.
Difficile, in questo contesto, dare numeri concreti per un fenomeno che resta in gran parte sommerso: ad aiutare, più che il dato sui minori seguiti per abuso d’alcol dall’Asl, che è inevitabilmente basso (spesso, infatti, l’abuso di alcol rimane nascosto agli stessi genitori), è lo studio europeo Espad, realizzato nel 2002 fra i giovani studenti italiani di età compresa fra i 15 e i 19 anni.
Dall’indagine emerge che i consumatori di bevande alcoliche rappresentano l’89 per cento del totale, mentre il 54,6 per cento degli studenti riferisce di essersi ubriacato almeno una volta nella vita, e il 4 per cento non percepisce alcun rischio nel bere 4 o 5 bicchieri ogni giorno. Dai dati epidemiologici, inoltre, risulta confermata la crescita del consumo di alcolici per le fasce di età tra i 14 e i 17 anni, dove i maschi passano, fra il 1995 e il 2001, dal 12,9 al 17,1 per cento, e le femmine dal 6,0 al 13,8 per cento. Il fenomeno dell’abuso giovanile si riflette in parte anche nella percentuale di giovani utenti alcoldipendenti in carico nel 2002 presso i servizi sociosanitari per l’alcoldipendenza a livello nazionale, come emerge dai dati rilevati dal Ministero della Salute, secondo cui nel 2002 i minori di 20 anni rappresentano lo 0,5 per cento dell’utenza e i giovani fra i 20 e i 29 anni il 9,1 per cento.
«Per questo diventa fondamentale agire sul fronte della prevenzione e della sensibilizzazione dei ragazzi - osserva il direttore generale Asl di Brescia, Carmelo Scarcella -. L’Asl, con il Servizio Educazione alla Salute e Comunicazione, sta impegnando le proprie risorse nell’informazione, oltre che nella cura, con la promozione di campagne mirate alla scuola, tramite la formazione degli insegnanti». Nelle scuole medie superiori sono partiti i percorsi di formazione per insegnanti, denominati «…e sai cosa bevi», per incrementare l’impegno didattico sui rischi legati all’uso di alcol (*).
 
(*) Nota: Brescia è la città il cui Ospedale Civile, alcuni mesi fa, pubblicò, all’interno di un suo “mensile di informazione sanitaria”, un articolo a titolo “il vino viene promosso strumento di salute” (https://www.asaps.it/notizie/alcol_guida/0031.html ).
Nella stessa città l’Asl impegna risorse per mettere in guardia i cittadini sui pericoli dell’alcol per la salute, l’Ospedale impegna risorse per promuovere l’alcol in quanto benefico per la salute.

IL MATTINO
Ricercatori americani hanno scoperto la sostanza che aiuta il virus dell’epatite C a provocare il tumore.

PAOLA MARIANO Due nuove armi potrebbero aiutare a combattere tumore e metastasi al fegato. La prima ha un’efficacia preventiva contro il tumore ed è frutto di uno studio americano. La seconda è un’innovazione appena arrivata in Italia e migliora la terapia radiologica contro le metastasi epatiche indotte da un altro tumore, quello al colon retto. Lo studio americano è stato condotto dall’équipe di Stanley Lemon della University of Texas Medical Branch di Galveston (UTMB). Dimostra come una proteina del virus dell’epatite C (una delle principali cause del tumore al fegato assieme all’alcol) sia in grado di bloccare a sua volta un altro composto, chiamato retinoblastoma. Il retinoblastoma svolge una funzione di soppressione dei tumori ed è già ben noto per i suoi effetti protettivi. In un articolo pubblicato oggi sulla rivista dell’Accademia Americana delle Scienze «Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS)», i ricercatori spiegano di aver scoperto che il meccanismo usato dal virus dell’epatite è praticamente identico a quello dei papillomavirus, acerrimi nemici delle donne perché causano il cancro del collo dell’utero per il quale oggi cominciano a rendersi disponibili ottimi mezzi di prevenzione proprio grazie alle conoscenze accumulate sui loro meccanismi molecolari. Di recente, grazie ad alcuni esperimenti di genetica, alcuni team di virologi statunitensi hanno clonato il virus dell’epatite C, ovvero hanno creato una versione del virus con tutte le caratteristiche di quello naturale ma utilizzabile in esperimenti di laboratorio. Gli scienziati texani si sono serviti di queste versioni sintetiche del virus, dette anche «repliconi», per studiare il meccanismo molecolare con cui il virus induce il cancro al fegato. Gli esperti hanno scoperto che ciò avviene quando una proteina virale, la NS5B, si attacca alla proteina umana retinoblastoma e la rende degradabile più in fretta. Le cellule, private di questo elemento chiave per il controllo della proliferazione cellulare, cominciano a moltiplicarsi e producono il tumore. «Da qui - dice Lemon - potremo lavorare per realizzare un’arma in più contro le malattie epatiche». Un’arma, invece, già a disposizione dei malati italiani è quella chiamata Selective Internal Radiotherapy (SIRT). Praticata in otto centri italiani (tra cui nelle regioni centromeridionali il Pascale di Napoli, il Regina Elena di Roma e il Santa Maria Goretti di Latina), viene usata sulla metastasi al fegato indotta dal tumore al colon retto. Le metastasi epatiche, infatti, sono l’epilogo naturale dello sviluppo di tumori che colpiscono altri organi e una delle principali cause di morte nei paesi occidentali. La terapia si basa su sfere microscopiche (di diametro inferiore di tre volte a quello di un capello umano) che portano nel fegato particelle radioattive in grado di distruggere le cellule cancerose. Queste particelle attaccano il tumore dall’interno, lasciando intatte le zone circostanti. Un grande vantaggio rispetto alle tecniche classiche, che invece distruggono anche parti dell’organismo sane. «I risultati sono promettenti - dice Maurizio Cosimelli del Regina Elena, che sta coordinando uno studio sull’efficacia del trattamento -. Non ci sono complicanze, la qualità della vita dei pazienti è alta e siamo riusciti a stabilizzare la metastasi». Dal 2002, anno in cui il trattamento è stato introdotto negli Usa, 2500 pazienti hanno avuto notevoli benefici e soprattutto un prolungamento della loro speranza di vita. Per pazienti che non possono essere operati o trattati con i farmaci, la SIRT offre oggi una chance concreta di sopravvivenza.

FINANZA.REPUBBLICA.IT
Campari: si aggiudica diritti distribuzione 4 tipi alcolici in Usa.

(Teleborsa) - Roma, 6 dic - Il Gruppo Campari, attraverso la sua controllata statunitense Skyy Spirits, LLC, si è aggiudicato - a partire dal 1 gennaio 2006 - i diritti di distribuzione per gli Stati Uniti del liquore al melone Midori, del liquore al tè verde ZEN, del whisky single malt Yamazaki e del vino Akadama Plum da parte di Suntory International Corporation, filiale di Suntory Ltd. con sede a Osaka, Giappone.
Lo rende noto la società con un comunicato, precisando che i marchi vendono oltre 150.000 casse da nove litri negli Stati Uniti e hanno un potenziale di crescita di lungo periodo per Skyy Spirits, LLC. Midori, il liquore premium al melone, conta circa per il 90% del volume.
Gerard Ruvo, presidente e CEO di Skyy Spirits ha affermato: "Questo è un anno entusiasmante e innovativo per Skyy Spirits, che ha aggiunto brand strategici al proprio portafoglio di marchi super - premium e di lusso. Siamo davvero soddisfatti di collaborare con Suntory."
Gensei Murakami, presidente e CEO di Suntory International Corporation ha aggiunto: "Siamo felici di poter iniziare la nostra partnership con Skyy Spirits. Siamo certi che i nostri sforzi congiunti di comunicazione di marketing accresceranno la presenza dei prodotti di Suntory nel mercato statunitense, in particolare per quanto riguarda il liquore al melone Midori e il nostro nuovo prodotto, il liquore al tè verde ZEN".
L’accordo distributivo, conclude la nota è in linea con la strategia del Gruppo di aggiungere marchi di alta qualità al proprio portafoglio di brand di lusso e super premium attraverso partnership, alleanze e joint venture strategiche con società che credono nello sviluppo di valore dei brand nel lungo periodo. In particolare negli Stati Uniti, il Gruppo Campari ha raggiunto con successo, attraverso Skyy Spirits, accordi di distribuzione con Berry Brothers & Rudd (Cutty Sark e The Glenrothes), Jose Cuervo International (le tequila 1800 e Gran Centenario), Ron Matusalem & Company (i rum Matusalem), Reformed Spirits (il gin Martin Miller’s) e, la scorsa settimana, con C&C International (il liquore alla crema Carolansm e l’Irish whiskey Tullamore Dew).

QUOTIDIANO.NET
Beethoven morì per avvelenamento
Il grande compositore Ludwig Van Beethoven morì nel 1827, all’età di 56 anni, per le conseguenza dell’avvelenamento da piombo .

Washington, 6 dicembre 2005 - Ludwig Van Beethoven morì per le conseguenze dell’avvelenamento da piombo di cui aveva sofferto per tanti anni.
Questa la conclusione cui è giunto un gruppo di esperti dell’Argonne National Laboratory del Dipartimento dell’Energia di Washington, vicino Chicago. La conclusione, basata su prove che gli esperti considerano definitive, è giunta al termine di un accurato e sofisticatissimo esame realizzato su sei capelli e pochi frammenti del teschio, scrive oggi il Washington Post.
La rivelazione circa le cause del decesso del grande compositore, morto nel 1827 all’età di 56 anni dopo aver sofferto di gravi problemi di salute per lunghi anni, confermano le conclusioni cui si era giunti in precedenza, che attribuivano all’avvelenamento da piombo la causa delle sue cattive condizioni di salute al momento della morte e anche molti anni prima.
’Non ho dubbi...è rimasto vittima dell’avvelenamento da piombo’, ha spiegato Bill Walsh, esperto del Pfeiffer Treatment Center a Warrenville, che ha guidato lo studio con il ricercatore del Dipartimento dell’Energia Ken Kemner. Ancora non chiarite invece le cause dell’avvelenamento, sulle quali sono state formulate le ipotesi più diverse: Beethoven, si è detto tral’altro, amava bere vino da calici di piombo.



Mercoledì, 07 Dicembre 2005
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