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Corte di Cassazione 07/08/2006

da Altalex - Processo civile: sentenze del giudice di pace e regime delle impugnazioni

Cassazione , SS.UU. civili, sentenza 16 giugno 2006 n° 13917

  L’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso le sentenze del giudice di pace avviene in funzione della domanda, con riguardo al suo valore (ai sensi degli artt. 10 e segg. c.p.c.) ed all’eventuale rapporto contrattuale dedotto ("contratto di massa" o meno), e non del contenuto concreto della decisione e del criterio decisionale adottato (equitativo o di diritto), operando invece il principio dell’ apparenza nelle sole residuali ipotesi in cui il giudice di pace si sia espressamente pronunziato su tale valore della domanda o sull’essere la stessa fondata su un contratto concluso con le modalità di cui all’art. 1342 c.c.

Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 13917 del 16 giugno 2006, risolvendo il contrasto esistente in relazione all’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso le sentenze del giudice di pace secondo l’originaria formulazione degli artt. 339 e 113 cod. proc. civ., antecedente alle modifiche introdotte per effetto del d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40.

Nella specie, la Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso proposto in relazione ad una sentenza con la quale il giudice di pace, decidendo sul rapporto riguardante il contratto di fornitura idrica per lo smaltimento delle acque reflue stipulato con l’ente comunale concluso con le modalità di cui all’art. 1342 cod. civ., non si era espressamente pronunciato sul valore della causa e sulla natura del predetto contratto.

(Altalex, 25 luglio 2006)


 
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Sentenza 16 giugno 2006, n. 13917


(Presidente V. Carbone, Relatore A. Segreto)

Svolgimento del processo

Il giudice di pace di Sorrento, con sentenza depositata il 16.10.2003, accoglieva la domanda proposta da P. N. nei confronti del Comune di M. e dell’A., xxxxx, per la restituzione del canone di depurazione delle acque reflue, successivamente al 3.10.2000, e, ritenuta la giurisdizione del giudice ordinario, condannava "il Comune di M., e per esso l’A., a rimborsare all’ istante la somma di €. 18,74, oltre interessi" ed al pagamento delle spese processuali.

Riteneva il giudice di pace che nella fattispecie si versava in ipotesi di contratto dì somministrazione del servizio idrico integrato, a norma dell’art. 1559 c.c. e che, poiché il Comune di M. non era dotato di depuratore, esso non poteva richiedere la prestazione sinallagmatica del canone, per cui "motivi di giustizia sostanziale" imponevano che i convenuti restituissero le somme indebitamente corrisposte per la depurazione per l’anno 2001.

Avverso questa sentenza proponeva ricorso per cassazione il Comune di M..

Resisteva con controricorso l’attore.

La Terza Sezione civile di questa Corte, cui il ricorso era stato assegnato, investita, su eccezione del resistente, della questione dell’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso le sentenze del giudice di pace in controversie instaurate nel vigore del nuovo testo dell’art. 113 , c. 2, c.p.c, come novellato dal d.l. n. 18/2003, ravvisato un contrasto giurisprudenziale, rimetteva la causa al Primo Presidente, che ne disponeva l’assegnazione alle Sezioni Unite.

Motivi della decisione

1.1. Preliminarmente va esaminata l’eccezione del resistente di inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 113, c. 2, come modificato dall’art.1 del d.l. 8.2.2003, n. 18, in quanto trattandosi di "contratto di massa", la causa andava decisa secondo diritto, con la conseguenza che la sentenza in questione è appellabile ed il proposto ricorso per cassazione è inammissibile.

L’ordinanza di rimessione della Terza Sezione civile, dopo aver rammentato in premessa che, con sentenza 14.12.1998, n. 12542, le S.U. dì questa Corte avevano affermato che, avverso le sentenze del giudice di pace emesse in cause di valore non eccedente i due milioni, è ammissibile il solo ricorso per cassazione, avuto riguardo al valore della domanda, da determinarsi a norma degli artt. 10 e segg. c.p.c. e non al contenuto della decisione, e che la maggioranza delle decisioni successive si erano adeguate a tale principio, rileva, altresì, che alcune sentenze, soprattutto della Sezione Lavoro, avevano ritenuto che, a fronte di motivi di ricorso che deducevano l’erroneità della decisione secondo equità, piuttosto che secondo diritto come imposto dalla domanda, ciò non comportava l’inammissibilità del ricorso per il principio dell’apparenza, in tema di individuazione del mezzo dell’ impugnazione. L’ordinanza di rimessione fa presente che l’applicazione del principio dell’apparenza, ai fini dell’individuazione del mezzo di impugnazione, è presente nella giurisprudenza anche in merito all’ impugnazione dì sentenze diverse da quelle del giudice di pace.

1.2. I termini del contrasto attengono, quindi, al criterio di individuazione del mezzo di impugnazione esperibile nei riguardi delle sentenze del giudice di pace e possono così essere riassunti : " L’impugnazione avverso la sentenza del giudice di pace va determinata sulla base del criterio di decisione adottato (esplicitamente o anche solo in concreto) dal giudice di pace o in base al contenuto della domanda a questi proposta, abbia poi egli deciso - legìttimamente o illegittimamente - la causa secondo equità o secondo diritto?".

Nel primo caso si dà la prevalenza al c.d. "principio dell’apparenza", per cui, se il giudice ha dichiarato di decidere ( o in ogni caso abbia decìso in concreto) la causa secondo equità, è esperibile solo il ricorso per cassazione, mentre nel caso contrario è esperibile l’appello. 1.3.Va premesso, anzitutto, che la questione oggetto del suddetto contrasto investe l’art. 339, c. 2, c.p.c. nella formulazione, antecedente alla modifica apportata dal d. 1. 2.2.2006, n. 40, secondo cui sono inappellabili le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità, facendosi altresì presente che tale regola opera per i provvedimenti pubblicati entro la data di entrata in vigore del d.l. n. 40/2006,(pubblicato in G.U. 15.2.2006), ai sensi dell’art. 27, c. 1, dello stesso decreto.

Le sentenze pubblicate successivamente a tale data sono regolate dal terzo comma dell’art. 339 c.p.c, come modificato dall’ art. 1 del d.l. n. 40/2006, il quale statuisce che "Le sentenze del giudice di pace, pronunziate secondo equità a norma dell’ art. 113, secondo comma, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia".

2.1. L’orientamento, che fa leva sul valore della domanda ai fini della individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro le sentenze del giudice di pace, si fonda su alcune decisioni delle S.U. di questa Corte.

Anzitutto la sentenza delle S.U., 13 settembre 1998 n. 9493, ha affermato che avverso le sentenze del giudice di pace emesse su cause il cui valore non eccede le lire due milioni è ammissìbile il solo ricorso per cassazione, abbia il giudice pronunciato sul merito della controversia o si sìa limitato ad una pronuncia sulla competenza o su altra questione preliminare di rito o di merito o abbia, infine, pronunciato sulla competenza e sul merito, restando irrilevante che il merito sia stato deciso secondo equità o secondo diritto. Da ciò, discende l’ulteriore conseguenza che è, invece, appellabile (e non ricorribile per cassazione) la sentenza del medesimo giudice che, investito di una domanda di valore superiore a lire due milioni, l’abbia decisa secondo equità. Successivamente la sentenza delle SS.UU., 14 dicembre 1998, n. 12542, ha affermato che avverso le sentenze del giudice di pace emesse in cause il cui valore non eccede £. due milioni -valore questo determinabile in base agli artt. 10 e seguenti c.p.c.- è ammissibile il solo ricorso per cassazione, abbia il giudice pronunziato sul merito della controversia o si sia limitato ad una pronunzia sulla competenza o altra questione preliminare di rito o di merito o abbia infine pronunziato sul merito e sulla competenza; la sentenza è, diversamente, appellabile qualora il giudice di pace abbia deciso una controversia di valore superiore alle lire due milioni e ciò anche nell’ipotesi in cui abbia erroneamente pronunziato secondo equità e non secondo diritto.

In motivazione tale decisione ha precisato espressamente che non è il contenuto della decisione a determinare il mezzo di impugnazione proponibile, ma il valore della domanda proposta. La circostanza che, in via preliminare, il giudice debba accertare presupposti processuali o di merito della controversia e si pronunci sugli stessi non influisce sull’individuazione del mezzo d’impugnazione, senza che possa ricavarsi alcunché, in senso contrario, dalla dizione dell’art. 339, comma 3, c.p.c. che definisce inappellabili le sentenze del giudice dì pace pronunciate secondo equità, dovendo l’espressione essere interpretata - in base al combinato disposto di questa disposizione con l’art. 113, comma 2, c.p.c. - come equivalente all’altra secondo cui sono inappellabili le sentenze del predetto giudice rese su domande il cui valore non eccede lire due milioni: non è il contenuto concreto della decisione a determinare il mezzo d’impugnazione proponibile, ma il valore della domanda proposta. 2.2.Lo stesso criterio interpretativo è stato seguito dalle SS.UU. (20 11.1999, n. 803) nel valutare il problema della non sottoponibilità delle sentenze del giudice di pace a regolamento di competenza, affermando il principio che in tema di procedimento dinanzi al giudice di pace, e alla stregua art.46 c.p.c., le sentenze del giudice di pace non sono impugnabili con regolamento di competenza; che, tuttavia, qualora si tratti di controversia di valore inferiore ai due milioni di lire, il proposto regolamento può essere convertito in ricorso ordinario per Cassazione (ove ricorrano tutti i requisiti formali e sostanziali), a nulla rilevando che la sentenza sulla competenza sia una sentenza pronunciata secondo diritto, giacché, in base al combinato disposto dagli artt. 339 terzo c., e 113 secondo c., c.p.c, sono da ritenersi inappellabili (e perciò immediatamente ricorribili per Cassazione) tutte le sentenze pronunciate dal giudice dì pace in controversie non eccedenti il valore di due milioni, a prescindere dal fatto che esse siano pronunciate secondo diritto o secondo equità, dovendosi a tal fine considerare, appunto, solo il valore della controversia e non il contenuto della decisione.

Questo principio è stato poi affermato anche da S.U. 15 novembre 2002, n. 16162.

Allo stesso principio, relativo al solo contenuto della domanda sia essa principale che riconvenzionale, si ispirano anche S.U. (ord.) 06/06/2005, n.11701, secondo cui nel caso in cui siano proposte al Giudice di pace domanda principale di valore non eccedente i lìmiti (€. 1100,00) previsti per la decisione secondo equità e domanda riconvenzionale, connessa con quella principale a norma dell’art. 36 c.p.c, la quale, pur rientrando nella competenza del Giudice di pace, superi il limite di valore fissato dalla legge per le pronunce di equità, l’intero giudizio deve essere deciso secondo diritto, con la conseguenza che il mezzo di impugnazione della sentenza è, non già il ricorso per Cassazione, ma l’appello. 2.3.La maggioranza delle sentenze delle sezioni semplici si sono attenute a questo principio dell’individuazione del mezzo di impugnazione sulla base del valore della domanda e non del contenuto concreto della decisione ( ex multisi n. 1292 del 2 002; n. 1304 del 2002; n. 1306 del 2002; (ord.) n. 965 del 2003; n. 19762 del 2003; 18942 del 2003; n. 10494 del 2004; n. 12726 del 2004; n. 13833 del 2004; n.1080 del 2005). 2.4.Talune decisioni, in conformità a quanto esposto da Cass. S.U. 15/10/1999, n.716, precisano espressamente che è indifferente che il giudice di pace abbia applicato una norma di legge ritenuta corrispondente all’equità o abbia espressamente menzionato norme di diritto, dovendosi presumere che le abbia ritenute corrispondenti all’equità, con o senza espressa indicazione di tale rispondenza(Cass. n. 2984 del 1999 e 2326 del 2000 già citate; adde n. 7148 del 2001; n. 7515 del 2001).

3.1. Contro detto orientamento consolidato si sono poste alcune decisioni della sezione lavoro, le quali, senza farsi carico delle sentenze delle SS.UU. sopra indicate, ma in dissenso da alcune delle decisioni sopra richiamate aderenti al loro insegnamento, hanno dato rilievo al modo in cui il giudice adito ha deciso, adducendo l’esistenza di un principio secondo cui ai fini dell’ individuazione del mezzo di impugnazione varrebbe un criterio di apparenza, fondato sulla qualificazione che all’azione ha dato il giudice. Sotto tale profilo, di fronte a motivi di ricorso per cassazione che deducevano l’essere stata erroneamente decisa la causa secondo equità dal giudice di pace, invece che secondo diritto (come imponeva il carattere indisponibile del diritto controverso, sulla base della sovrapposizione dell’ art. 114 cod. proc. civ. all’art. 113, secondo comma) hanno scrutinato prima questa doglianza e, dopo averla ritenuta fondata, hanno tuttavia escluso che il ricorso per cassazione fosse inammissibile in quanto la controversia avrebbe dovuto decidersi secondo diritto e, quindi, sarebbe stata appellabile.

Si tratta anzitutto di Cass. 14/05/2004, n.9251, secondo la quale l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va fatta in base alla qualificazione data dal giudice all’azione proposta, alla controversia e alla sua decisione, a prescindere dalla esattezza di tale qualificazione che resta sindacabile soltanto dal giudice cui spetta la cognizione dell’impugnazione, individuato secondo il predetto criterio. Conformemente si sono pronunziate Cass. 22/06/2004, n. 11623; Cass. 07/05/2004, n.8717 ; Cass. 18/03/2004, n.5523. Tale orientamento si fonda sull’osservazione che la giurisprudenza delle sezioni unite della Corte enuncia da tempo il principio secondo il quale l’individuazione del mezzo d’impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va fatta in base alla qualificazione data dal giudice all’azione proposta, alla controversia e alla sua decisione, con il provvedimento impugnato, a prescindere dalla sua esattezza, che resta sindacabile soltanto dal giudice cui spetta la cognizione dell’impugnazione ammessa secondo il suddetto criterio (Cass., S.U.,932/197 8; 4 506/197 8; 5096/1978; 2466/1986; 1914/1992; 3467/1994; 9287/1994; 1146/2000). Viene osservato che in questo solco si inserisce la precisazione ulteriore che la qualificazione operata dal giudice determina l’ultrattività del rito ai fini della forma del gravame (Cass. S.U. 182/1999) e che si tratta dell’unica opzione interpretativa conforme ai princìpi fondamentali della certezza dei rimedi impugnatori e dell’economia dell’attività processuale, evitando l’irragionevolezza di imporre di fatto all’interessato di cautelarsi proponendo due impugnazioni, nel dubbio sull’esattezza della qualificazione operata dal giudice a quo.

Tale orientamento minoritario dichiara, quindi, di non condividere la diversa soluzione che appare talvolta trasparire dal alcune massime dì sezioni semplici della Corte, che sembrano escludere qualsiasi rilievo, ai fini dell’individuazione del mezzo d’impugnazione, alle qualificazioni del rapporto controverso operate dal giudice di pace e all’essere stato, sulla base della qualificazione, il giudizio definito equitativamente.

3.2. Il principio, che si suole definire "dell’apparenza", comporta che la scelta fra i mezzi di impugnazione astrattamente esperibili contro un provvedimento del giudice va compiuta in base alla qualificazione dell’atto, la quale a sua volta dipende dalla qualificazione che il giudice appresta alla domanda della parte e dai poteri che lo stesso giudice esercita nel decidere. Tale principio è largamente adottato.

Con specifico riferimento alle opposizioni in materia esecutiva si deve prendere atto che è fermo l’orientamento della Terza Sezione nel senso di correlare il mezzo di impugnazione esperibile (diverso, secondo che si tratti di opposizioni ex art. 615 c.p.c. o ex art. 617 c.p.c.) alla qualificazione data dal giudice, salvo, in assenza, rimettere al giudice dell’impugnazione il problema: Cass. n. 3069 del 1998 (che fa la precisazione circa il potere del giudice dell’impugnazione, in assenza di qualificazione del giudice emittente la pronuncia); Cass. n. 9587 del 1998; n. 12785 del 1998; n. 10804 del 2000 (che fa la precisazione circa il potere del giudice dell’impugnazione, in assenza di qualificazione del giudice emittente la pronuncia); Cass. n. 340 del 2001; n. 9057 del 2003; n. 9624 del 2003; n. 3404 del 2004.

3.3. L’ orientamento è stato seguito anche dalla Sezione Lavoro, quando si è trovata investita di opposizioni esecutive (Cass. n. 3630 del 2001; n. 4787 del 2001; n. 9200 del 2001; n. 9292 del 2001).

3.4.Vi sono poi pronunce in materia di opposizioni a sanzioni amministrative, che adottano lo stesso principio dell’apparenza. Cass. S.U. 7.11.2000, n. 1146 , statuisce che è ammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza del pretore che abbia deciso la controversia in applicazione della legge n. 689/1981 sul presupposto della riconducibilità del rapporto fra quelli da essa contemplati, essendo vincolante tale qualificazione, a prescindere dalla sua esattezza, ai fini dell’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile rendendo così operante l’ultimo comma dell’art. 23 della legge stessa, il quale nega l’appello e consente il ricorso per cassazione (in termini pressoché analoghi: Cass. sez. un. n. 3599 del 2003).

3.5. Anche con riferimento alla materia fallimentare (Cass. n. 17526 del 2003) si è statuito che l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere compiuta in base al principio c.d. dell’"apparenza", ossia con riferimento esclusivo alla qualificazione dell’azione esperita, per come essa sia stata operata dal giudice del provvedimento stesso, e indipendentemente dalla sua esattezza. In definitiva è evidente il contrasto, da un lato fra tutto il filone di pronunce, il quale, seguendo le citate sentenze delle SS.UU. del 1998 in tema di impugnazione delle decisioni del giudice di pace, ritiene inammissibile il ricorso per cassazione, se proposto nei confronti di sentenza del giudice di pace resa su domanda, che sollecitava la pronunzia di quel giudice secondo la regola di giudizio non equitativa, indipendentemente da quello che in proposito abbia o non abbia ritenuto il giudice, e dall’altro tutto il filone che, di fronte all’investitura alla Corte di ricorsi contro sentenze rese dal giudice di pace erroneamente con applicazione della regola di giudizio equitativa, là dove doveva applicarsi la regola di giudizio secondo diritto (od anche su questioni dì rito decise in cause che non erano soggette alla regola equitativa), scrutina il motivo di ricorso e cassa con rinvio o cassa senza rinvio o decide nel merito, senza reputare inammissibile il ricorso. Sembra poi che vi sia una netta contrapposizione fra l’orientamento prevalente sulle sentenze del giudice di pace (che privilegia la domanda nella sua oggettività) e quello adottato in altri settori (per molti dei quali ultimi va, tuttavia, rilevato che le recenti novelle hanno modificato i mezzi di impugnazione; ad esempio l’art. 14 della 1. 24.2.2006, n. 52, modificando l’art. 616 c.p.c, ha dichiarato non impugnabile la sentenza emessa in sede di opposizione all’esecuzione, con la conseguenza che residua per essa solo l’impugnazione ex art. 111 Cost., come per la sentenza emessa in sede di opposizione agli atti esecutivi, giusto il rinvio operato dall’art. 619, c.3, c.p.c, all’art. 616 c.p.c. (a seguito dell’art. 17 della 1. n. 52/2006) ; l’art. 2 6 del d. lgs. N. 40/2006, ha modificato l’art. 23 della 1. n. 689/1981, rendendo appellabile la sentenza ivi prevista).

4.1. Ritiene questa Corte di dover comporre il contrasto in esame, in relazione all’ individuazione del mezzo di impugnazione avverso le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità, aderendo a quanto già affermato sul punto dalle S.U. di questa Corte, con le sentenze sopra indicate, per cui il mezzo di impugnazione avverso le sentenze del giudice di pace, emesse antecedentemente alla data di entrata in vigore della d.lgs. n. 4 0/200 6, va individuato sulla base della domanda e non del contenuto della decisione emessa dal giudice di pace, sia pure con le precisazioni che seguono.

4.2. Anzitutto va osservato che la norma applicabile a detta fattispecie, ratione temporis, è l’art. 339, c. 2, c.p.c., nell’originaria formulazione, che statuisce che sono "inappellabili le sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità".

Va escluso che detta norma possa essere atomisticamente considerata, per cui il solo fatto che il giudice abbia pronunziato secondo equità (giusto o sbagliato che sia) rende la sentenza inappellabile.

Essa va letta in combinato disposto con l’art. 113, c. 2, c.p.c., che individua i casi in cui detto giudice pronuncia secondo equità. In altri termini la norma in questione va letta come se essa statuisse, che "sono inappellabili le sentenze del giudice di pace pronunziate secondo equità a norma dell’art. 113, c. 2, c.p.c".

Con più corretta formulazione, infatti il novellato articolo 339, c. 2, ( art. 1 del d.lgs n. 40/2006) statuisce che " Le sentenze del giudice di pace pronunziate secondo equità a norma dell’art. 113, secondo comma, sono appellabili esclusivamente per violazione ".

Se si sostenesse l’autonoma lettura tra le due norme nell’originaria formulazione (di cui al contrasto in esame), ciò produrrebbe, nell’attuale novellazione conseguente al d.lgs. n. 40/2006, che può esistere una pronunzia del giudice di pace secondo equità, anche fuori dall’ ipotesi di cui all’art. 113, c. 2, c.p.c.

4.3. Dal combinato disposto dell’art. 113, c. 2, e 339 c.p.c,nella formulazione anteriore all’entrata in vigore del d. lgs. n. 40/200 6, emerge che 1’appellabilità delle sentenze non è conseguenza di un tipo di azione, né esclusivamente dì un criterio di decisione, ma dell’essere il valore della domanda superiore ad €. 1100,00, sempre che, per i giudizi instaurati con citazione notificata dal 10.2.2003 in poi (per effetto dell’art. 1 del d.l. 8.2.2003, n. 18, conv. in 1. 7.4.2003, n. 63), non si tratti di "rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 del codice civile".

In questa ottica, quindi, il mezzo di impugnazione è determinato non dal tipo di azione proposta, ma dal valore della domanda (purché mobiliare e non di competenza per materia di altro giudice) e dal non essere la stessa relativa ad un contratto c.d. di massa.

Ciò che conta non è il sistema dì decisione che in concreto ha adottato il giudice di pace, ma solo se detta causa si fondi o meno su una domanda rientrante tra quelle previste dal comma 2° dell’art. 113 c.p.c.

In altri termini il valore della domanda o l’assenza di un "contratto di massa", indicati nell’art. 113 c. 2, c.p.c, determinano contemporaneamente due conseguenze : il criterio di decisione ed il mezzo di impugnazione.

Il solo criterio di decisione di per sé non comporta l’individuazione del mezzo di impugnazione.

4.4. Come è principio consolidato (Cass. n. 716/1999, Corte cost. n. 206/2004), il giudice di pace deve decidere secondo diritto e non secondo equità tutte le questioni processuali o che coinvolgano l’applicazione di principi informatori (ora regolatori) della materia, ovvero norme costituzionali o comunitarie.

Se il criterio di decisione fosse idoneo di per sé a determinare il mezzo di impugnazione ciò comporterebbe inevitabilmente che in questi casi il mezzo di impugnazione sarebbe solo l’appello, ove attraverso l’applicazione delle norme processuali, ovvero delle norme costituzionali o comunitarie o dei principi informatori della materia, la causa viene decisa.

Così infatti fu sostenuto da alcune iniziali pronunce anche di questa Corte, finché non intervennero le suddette sentenze del 1998 delle S.U. sul punto.

In questa ottica, peraltro, la novellazione del 2 ° comma dell’art. 339 c.p.c, di cui al d. lgs n. 40/2006, in gran parte non avrebbe ragione di esistere, poiché il giudice di pace, già in precedenza, decideva tali questioni secondo diritto e, quindi, se fosse esatta nella fattispecie la teoria dell’apparenza, già in siffatte ipotesi la sentenza sarebbe stata appellabile.

4.5. Inoltre nella stessa causa possono coesistere questioni da decidersi necessariamente secondo diritto ( sono quelle sopra indicate) e questioni da decidersi secondo equità. In questa ipotesi il giudice di pace, che correttamente segue i due criteri decisionali, emette una sentenza che contemporaneamente sarebbe esposta ad un duplice mezzo di impugnazione, non esistendo nel rito civile una norma del tenore dell’art. 580 c.p.p. a mente della quale "quando contro la stessa sentenza sono proposti mezzi di impugnazione diversi, il ricorso per cassazione si converte in appello". 4.6. Infine va osservato che è orientamento giurisprudenziale pacifico quello secondo cui, anche quando il giudice di pace ( nelle cause di cui all’art. 113, c. 2, c.p.c.) abbia fatto riferimento a norme di diritto, senza menzionare l’equità della decisione, si deve ritenere che egli abbia dato per implicita la corrispondenza delle norme di diritto a regole di equità.

Anzi nella pratica giudiziaria si rileva che nella maggioranza dei casi le sentenze dei giudici di pace, anche relativamente alle questioni di merito, nell’ambito delle cause indicate dall’art. 113, c. 2, c.p.c, giungono alla decisione del merito attraverso l’applicazione di norme di diritto. Se si dovesse esaminare il contenuto concreto della decisione, e, sotto questo profilo fondare il criterio dell’apparenza, si dovrebbe anche in questi casi sostenere che trattasi di decisione secondo diritto, con la conseguente inammissibilità dell’ appello.

4.7. Peraltro il principio dell’apparenza ai fini dell’impugnazione di siffatte sentenze, portato alle estreme conseguenze, dovrebbe anche fare i conti con il quarto comma dell’art. 119 disp. att. c.p.c, il quale statuisce che: "Quando la sentenza è pronunziata secondo equità, se ne deve dare atto nel dispositivo".

Essendo espressamente indicata dal legislatore la sede dell’ indicazione della decisione secondo equità, non potrebbe fondatamente sostenersi il principio dell’ apparenza (ai fini dell’individuazione del mezzo dell’impugnazione) con l’esame di altre parti della sentenza che non sia il dispositivo, con la conseguenza che, anche se il giudice di pace abbia chiaramente deciso la causa secondo equità, nel pieno rispetto dell’art. 113, c. 2, c.p.c, ove ciò non "appaia", così come il legislatore espressamente richiede, nel dispositivo della sentenza, la decisione andrebbe considerata, ai fini dell’impugnazione, come resa secondo diritto, mentre un affidamento su una diversa "apparenza" allocata aliunde, sarebbe irrilevante o addirittura colpevole.

Come si vede l’applicazione del principio dell’apparenza, utilizzato per dare certezze e semplificazioni in merito al mezzo di impugnazione in tutte le altre fattispecie sopra indicate, in tema di sentenze del giudice di pace pronunziate secondo equità finirebbe per realizzare effetti opposti.

5.1. Per tutte le suddette ragioni, il mezzo di impugnazione delle sentenze emesse dal giudice di pace va individuato non sulla base del criterio di decisione delle stesse, ma sulla base del valore della domanda e dell’eventuale contratto dedotto in giudizio {contratto di massa o meno), poiché il richiamo dell’ art. 339, ult. C, c.p.c. alle sentenze del giudice di pace pronunziate secondo equità, in effetti integra un rinvio alle cause di cui al secondo comma dell’art. 113 c.p.c, individuate sulla base del valore della domanda e dell’assenza di un rapporto derivante da contratto di massa. 5.2. Già questo integra una prima peculiarità in relazione alle altre fattispecie in cui il mezzo di impugnazione è individuato sulla base del principio dell’ apparenza, poiché esso, come sopra si è visto, regola tutte ipotesi in cui l’impugnazione è individuata sulla base della qualificazione del tipo di azione, effettuata dal giudice (Cass. 16/06/2003, n. 9624).

E’ principio costante in giurisprudenza che al giudice compete il potere-dovere di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire, anche in difformità rispetto alla qualificazione della fattispecie operata dalle parti, il "nomen iuris" al rapporto dedotto in giudizio, con la conseguenza che il giudice stesso può interpretare il titolo su cui si fonda la controversia ed anche applicare una norma di legge diversa da quella invocata dalla parte interessata, ma, onde evitare di incorrere nel vizio di ultrapetizione, deve lasciare inalterati sia il "petitum" che la "causa petendi", senza attribuire un bene diverso da quello domandato e senza introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto (Cass. 1/09/2004, n. 17610; Cass. 6/08/2004, n. 15186).

5.3. Agganciato il mezzo di impugnazione non al criterio di decisione del giudice di pace, ma al valore della, domanda (in seguito si esaminerà l’ulteriore limitazione relativa ai contratti di massa), va osservato che, mentre la qualificazione dell’azione costituisce un esclusivo potere-dovere del giudice, sia pure nei limiti predetti, per cui il mezzo di impugnazione che sia collegato a tale qualificazione, non può che passare attraverso quella fornita implicitamente o esplicitamente dal giudice nella sentenza impugnata, e solo in mancanza di tale qualificazione può farsi riferimento a quella prospettata dall’ attore, nel caso in cui, come nella specie, il mezzo di impugnazione è conseguenza del valore della domanda, l’individuazione dello stesso è rimessa all’attore nel momento che fissa con la domanda il valore della causa.

Il valore della causa va determinato a norma degli artt. 10 e segg. e su di esso il giudice non ha potere di intervenire, in difformità dalla richiesta della parte attrice o delle presunzioni di legge, se non in limitati casi ed in ben definiti termini (Cfr. art. 14, c. 2, c.p.c.).

5.4. Poiché il valore della causa non "passa", se non eccezionalmente, attraverso una decisione del giudice, essendo esso ancorato generalmente alla sola domanda, il mezzo di impugnazione è anch’esso ancorato al solo valore determinato sulla base della domanda o delle presunzioni di legge. Solo nel caso eccezionale in cui il giudice si sia pronunziato sul valore della causa, opererà il principio dell’ apparenza, fondato su tale decisione, ai fini dell’ individuazione del mezzo di impugnazione.

6.1. Tale soluzione pare complicarsi a seguito della modifica apportata all’art. 113 c.p.c. dall’art. 1 d.l. n. 18/2003, con l’esclusione dal giudizio di equità non solo delle cause di valore superiore ad €. 1100,00, ma anche delle cause relative a rapporti giuridici derivanti da contratti di massa, per quanto nei suddetti limiti di valore.

In questo caso, infatti, tanto il criterio di decisione quanto il mezzo di impugnazione "passano" attraverso la qualificazione di detto titolo come contratto concluso o non concluso secondo le modalità di cui all’art. 1342 c.c. Tuttavia, poiché, come si è detto, il mezzo di impugnazione non è conseguenza fondata autonomamente sul criterio di decisione, ma come quest’ultimo, è conseguenza diretta del rientrare la causa tra una di quelle di cui all’art. 113, c. 2 c.p.c., anche in questa ipotesi, se il giudice non si è pronunziato espressamente in merito al punto della presenza o meno di un "contratto di massa", il mezzo di impugnazione dovrà necessariamente essere individuato sulla base della sola domanda dell’ attore, relativamente al titolo dedotto, non essendosi alla stessa sovrapposta la decisione del giudice di pace, innestando il princìpio dell’apparenza ai fini dell’ individuazione del mezzo di impugnazione.

6.2. Ciò che va posto in rilievo è che in entrambe le sudette ipotesi, in cui il giudice abbia deciso espressamente sulla questione del valore della domanda e della qualificazione (come "contratto di massa" o meno) dell’eventuale contratto dedotto, il principio dell’ apparenza ai fini dell’ individuazione del mezzo di impugnazione opera non attraverso il criterio decisionale (di equità o di diritto) adottato dal giudice, utilizzato poi come elemento per individuare il mezzo di impugnazione, ma attraverso la decisione che il giudice ha preso in merito al valore della domanda o all’essere la stessa inerente ad un rapporto contrattuale di massa.

In altri termini non si potrà "automaticamente" ritenere che, avendo il giudice di pace pronunziato secondo equità (indipendentemente se in modo espresso o meno), ciò comporta implicitamente che egli abbia ritenuto la causa di valore non superiore ad €. 1100,00 e non fondata su un contratto di massa, con la conseguenza che l’unico mezzo di impugnazione è il ricorso per cassazione.

Essendo il mezzo di impugnazione conseguenza del fatto che la domanda rientri o meno per il valore e per il titolo in quelle previste dall’art. 113, c.2, c.p.c, affinché la decisione del giudice possa innestare il principio dell’apparenza ai fini dell’ individuazione del mezzo impugnatorio, occorre che tale decisione investa direttamente ed esplicitamente la questione del valore della domanda e della natura del titolo contrattuale, in questo modo sovrapponendosi - come accertamento giudiziale - all’effettivo contenuto della domanda.

Al di fuori di questa ipotesi, in realtà residuale, il mezzo di impugnazione avverso le sentenze del giudice di pace nell’originaria formulazione di cui agli artt. 339 e 113 c.p.c, andrà individuato non sulla base del principio dell’apparenza, fondato sul criterio di decisione, ma solo sulla base del contenuto effettivo della domanda in relazione al suo valore ed al rapporto dedotto.

7. Pertanto il contrasto in questione va risolto alla luce del seguente principio di diritto: "L’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso le sentenze del giudice di pace avviene in funzione della domanda, con riguardo al suo valore (ai sensi degli artt. 10 e segg. c.p.c.) ed all’eventuale rapporto contrattuale dedotto ("contratto di massa" o meno), e non del contenuto concreto della decisione e del criterio decisionale adottato (equitativo o di diritto), operando invece il principio dell’ apparenza nelle sole residuali ipotesi in cui il giudice di pace si sia espressamente pronunziato su tale valore della domanda o sull’essere la stessa fondata su un contratto concluso con le modalità di cui all’art. 1342 c.c.".

8. Nella fattispecie il rapporto dedotto in giudizio dall’attore è relativo ad un contratto di fornitura idrica e smaltimento delle acque reflue stipulato con il Comune dì M..

Si tratta, quindi, di contratto stipulato con le modalità di cui all’art. 1342 c.c. , essendo relativo a fornitura di un pubblico servizio da parte di monopolista, sia pure locale, e, quindi, rientrando nei c.d. contratti di massa.

Il giudizio è stato iniziato con atto di citazione notificato dopo il 10.2.2003.

Il giudice di pace non si è espressamente pronunziato sul valore della causa o sul punto se tale contratto costituisse o meno un contratto stipulato a norma dell’art. 1342 c.c. , per cui il mezzo di impugnazione deve essere individuato sulla base del contenuto effettivo della domanda e non in relazione al criterio decisionale adottato in concreto dal giudice ( che è quello dell’equità, in quanto pur riferendosi il giudicante alla disciplina giuridica dell’art. 1559 c.c., alla fine dell’ iter argomentativo, dispone la restituzione del canone sulla base di " motivi di giustizia sostanziale").

Ne consegue che, dato il contratto dedotto in giudizio, il mezzo di impugnazione avverso la sentenza in questione era l’appello e non il proposto ricorso per cassazione.

9. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Esistono giusti motivi (segnatamente l’esistente contrasto giurisprudenziale) per compensare interamente tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.
Compensa tra le parti le spese di questo giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, lì 25 maggio 2006.
Il cons. est.
Depositata in Cancelleria.

 


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Lunedì, 07 Agosto 2006
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