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Articoli 16/05/2006

L’ INESISTENTE PAURA DELLA MORTE COME CAUSA DI INCIDENTI STRADALI. E L’ENNESIMO BOLLETTINO DI GUERRA IN UN “NORMALE” FINE SETTIMANA ITALIANO

(Asaps) Ancora un fine settimana di sangue sulle nostre strade: quaranta morti e 1.019 feriti. Famiglie distrutte da irrimediabili addii, e persone che in un modo o nell’altro vedranno la loro vita cambiare perché dovranno affrontare più o meno lunghi periodi di degenza in ospedale. Un dolore che pare non avere fine, riassunto dalle fredde statistiche che hanno il sapore di un bollettino di guerra. Eppure non basta. E’ evidente che la consapevolezza del rischio è ancora troppo bassa nel nostro Paese. E dire che di prevenzione, da parte delle forze dell’ordine, ne viene fatta. Lo dimostrano i numeri di questo week-end: quasi 34 mila pattuglie tra polizia e carabinieri, che hanno rilevato oltre 23 mila infrazioni al Codice della Strada e decurtato più di 30 mila punti dalle patenti degli italiani. Da un lato, uomini e mezzi schierati per la sicurezza, dall’altro un’interpretazione scorretta di ciò che è il loro lavoro. Perché serve a poco stare “su strada” se l’automobilista vive l’agente come una “scocciatura”. Così come serve a poco togliere il piede dall’acceleratore solo se si vede l’autovelox, per timore di una multa, per poi accelerare di nuovo a tavoletta non appena si è lasciato lo “spettro Polstrada” oltre lo specchietto retrovisore. Trentamila punti tolti dalle patenti possono voler dire oltre diecimila automobilisti gravemente indisciplinati. Il dramma è tutto qui: la sottovalutazione delle conseguenze che si possono patire in prima persona o far patire ad altri. Un male sociale che deriva, con molta probabilità, dalla scarsa sensibilità civile e morale dei nostri tempi. Lo hanno detto, se pur riferito ad altre circostanze, criminologi, magistrati e psicologi: oggi manca l’etica, così come manca il senso della vita e della morte. Ed è forse per questo che viviamo in un mondo senza regole: sembra che gli incidenti accadano sempre agli altri, e non si pensa che “gli altri” siamo anche noi. Non bastano le immagini di auto ridotte a carcasse: agli occhi di molti (forse troppi) sono “solo” lamiere. Dietro questi fotogrammi, nascosti da pietosi teli bianchi, ci sono figli che non avranno più il loro papà, madri che non accetteranno mai di essere sopravvissute ai propri figli, donne che non scopriranno mai la gioia di diventare madri. Non si vedono, ma ci sono abitudini spezzate, giorni che non saranno più vissuti all’aria aperta ma in un letto d’ospedale, volti segnati per sempre da cicatrici indelebili, gambe che non correranno più. Con un pizzico di empatia si potrebbe intuire il dramma di una vita inghiottita dalla morte e delle famiglie che restano, ma anche il dolore fisico che si prova con un arto spezzato o quando uno sterzo preme con forza contro lo stomaco. Tra i quaranta morti di questo fine settimana, ci sono quindici ragazzi e ragazze che non festeggeranno mai il loro trentesimo compleanno. Tra quei poco più di mille feriti, ci sono di certo uomini e donne che dormono profondi sonni farmacologici in una rianimazione, altri con gessi e stampelle, altri ancora nel reparto ustionati. Forse solo umanizzando quei numeri, quelli dei bollettini di guerra delle strade italiane, si può arrivare a comprendere che quelle migliaia di pattuglie non sono lì soltanto per “far cassa” con una multa in più o una in meno. Ognuno di quegli agenti e di quei carabinieri spera, in cuor suo, di bloccare qualcuno prima del dramma, perché poi è troppo tardi. Che sia con un alcoltest o con un autovelox o una banale paletta con l’alt non importa. E’ peggio, e segna nell’anima ognuno di loro, quando si bussa in piena notte a una porta per dire “mi spiace, è successo un incidente…”. Ed assistere alla trasformazione tra il “prima” e il “dopo” leggendola negli occhi dei familiari, con lacrime e disperazione che prendono forma nel momento esatto in cui si ha la consapevolezza che la vita non sarà più la stessa. Aver paura di una multa ha poco senso: meglio averne della morte e del dolore, perché è da quelli che non si torna indietro.(Asaps)


© asaps.it

Di Maria Teresa Zonca

Martedì, 16 Maggio 2006
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