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Articoli 19/04/2006

da "Il Centauro" n.102 - Un magistrato impegnato nella battaglia contro l’alcol alla guida. Intervista ad Antonio Fojadelli Procuratore della Repubblica di Treviso

Al suo attivo un decreto preventivo di sequestro per i recidivi dell’ebrietà al volante e la nomina a presidente del Comitato Permanente dell’Osservatorio veneto per la Sicurezza sulla strada



Signor Procuratore, partiamo con una domanda semplice. Cosa è la guida in stato di ebbrezza?
“Ad una domanda semplice, una risposta altrettanto semplice. È innanzitutto un comportamento contrario alla legge. Questa è però una risposta formale; sul piano sostanziale è un comportamento che va contro la sicurezza propria ed altrui e cioè un comportamento che mette a repentaglio la persona. Purtroppo, in certe condizioni, il veicolo diventa un’arma, nelle mani di chi non la sa usare e che ne potenzia la capacità muscolare. Con la mente obnubilata dall’alcol, il soggetto trasmette dei comandi non ad una mano, ma ad un’estensione del proprio corpo che è costituito in questo caso da un veicolo, con motore da 2mila o 3mila centimetri cubici, con 100, 200 o 300 cavalli. Ecco questo è il problema più rilevante. Questa affermazione la si fa su base statistica, in quanto la percentuale dell’incidentalità che ha come causa l’alterazione alcolica o da stupefacenti, purtroppo è una statistica molto alta”.

A proposito di statistiche, ha dei dati di riferimento per la provincia di Treviso?
Sul nostro territorio sono dati di difficile elaborazione, perché non c’è un programma di rilevazione specifico. Ci sono delle stime. Qui purtroppo bisogna fare un’annotazione molto triste, che è di carattere medico, statistico e legale. È brutto doverla dire, ma è doveroso farlo: il rischio che un italiano venga colto in flagranza di alterazione alcolica è bassissimo, nell’ordine dello 0,5%...”

Signor Procuratore, noi abbiamo dati relativi ai controlli effettuati in altri stati: la Francia, ad esempio, supera gli 8 milioni all’anno, la Spagna è arrivata a 2 milioni e 700mila, mentre l’Inghilterra si è conquistata il titolo di “patria dei controlli after-pub” e del dopo discoteca. In Italia purtroppo non superiamo i 200mila controlli all’anno. In pratica una persona impiega tra i 70 e gli 80 anni ad essere controllata una volta, se vogliamo metterla sulla statistica… quindi c’è proprio una carenza del controllo sistematico nelle zone di rischio, ma anche una carenza nel controllo occasionale. “Io su questo argomento ho le mie idee: in genere si beve di sera, anche se non è sempre vero, e quindi se ha senso fare controlli, questi dovrebbero essere fatti nelle fasce orarie particolari, quelle serali appunto. In molte zone del territorio noi non sappiamo chi vigili e poi c’è il problema cronico della carenza di fondi per gli straordinari. La vita umana vale meno del monte ore straordinario delle forze di polizia. Queste cose vanno dette, brutalmente”.

Altrettanto brutalmente, è doveroso dire che i proventi economici derivanti da questa fattispecie di violazioni, non sono destinate agli enti locali… Non è la prima volta che sentiamo dire con una certa malignità che c’è più stimolo ad usare l’autovelox piuttosto che l’etilometro.
“Certamente e anche questo porta al alcune considerazioni in ordine a questo modo di fare sicurezza: è estremamente diseducativo per un cittadino indurlo a pensare che un limite di velocità in città sia stato istituito per fare cassa. È chiaro che non sentirà alcun rimorso di coscienza una volta sanzionato, ma cercherà invece di trovare il modo di vincere un ricorso. Tutto ciò non è solo diseducativo, ma è anche il modo più becero che si possa immaginare per fare sicurezza. Io non mi sono mai illuso che l’educazione stradale da sola potesse risolvere il problema. Io sono sempre stato fermamente convinto che l’educazione al comportamento corretto sulla strada lo si possa ottenere informando, ammonendo e prevenendo, anche attraverso la repressione. Il soggetto deve sapere che sbagliando pagherà. E inserisco una constatazione, molto dolorosa, che è fiorita nel corso degli anni e che è durata per troppo tempo: una cultura della delegittimazione dei tutori dell’ordine, visti come nemici e non come coloro che cercano di salvarti la vita.”

Noi abbiamo istituito da tempo un osservatorio su questo fenomeno, che abbiamo ironicamente chiamato “Sbirri Pikkiati”, e che è attualmente l’unico nel suo genere. Ciò che ha appena detto trova conforto nell’analisi di questi dati, che non esitiamo a definire agghiaccianti. È stato implementato da una ricerca condotta insieme alla facoltà di psicologia dell’Università di Bologna dalla quale abbiamo accertato che il 74% degli operatori di polizia ha subito un’aggressione, ed una su due è stata condotta da soggetti in stato di ebbrezza.
“Ecco, allora è ancora più chiaro che occorre ridare dignità allo Stato e a chi lo rappresenta, e non delegittimarlo.”

Signor Procuratore, abbiamo letto sulle cronache del suo decreto preventivo di sequestro dei veicoli nei confronti di chi venga colto in stato di ebbrezza. Può spiegarci come è arrivato a questo provvedimento?
“Semplicemente noi abbiamo adottato questa linea, consistente nel sequestro preventivo del veicolo, ogniqualvolta ci si trovi in presenza di un fatto penalmente rilevante correlato ad uno stato reiterato di ebbrezza. Colui che sia ad esempio colto per la seconda volta alla guida sotto l’effetto di bevande alcoliche oltre i limiti, e che abbia ovviamente causato un sinistro, avrà il veicolo sequestrato, intendendo lo stesso un mezzo attraverso il quale si compie o possa reiterarsi la condotta.”

Come ha reagito l’opinione pubblica, ovviamente nel circondario della Procura che Lei dirige, a questa linea d’azione?
“La reazione della gran parte dei cittadini è stata positiva. Naturalmente fin quando molti di questi cittadini sono seduti a pranzo. Dal momento in cui sono seduti al volante non sono più d’accordo, perché vi è una sorta di trasformazione alla dottor Jekyll del cittadino italiano che diventa conducente. C’è qualche cosa di patologico, in questo, e quindi si scatenano delle forma di aggressività, di indisciplina e soprattutto di autoassoluzione: non sono io che mi sono comportato male, è il limite che è troppo assurdo. È una distorsione mentale: il cittadino finisce col pensare che 0,50 è un limite alcolemico troppo basso, quindi a 0,75 non ha fatto nulla di male.”

Cosa servirebbe secondo lei per dare giustizia a chi subisce le conseguenze di una guida in stato di ebbrezza? A quali misure pensa per arginare questo fenomeno?
“Come misure, ripeto ancora una volta, sono per una più efficace e dura deterrenza. Si deve sapere che se si ci si mette alla guida dopo aver bevuto, ci sono ottime probabilità di essere controllati e puniti con tutta la dovuta durezza. Questo non significa che dovrebbero andare tutti in galera, ma una riflessione è doverosa. Per tutti i reati per cui sia prevista una pena fino a cinque anni, vi è arresto facoltativo in flagranza, ad eccezione dell’omicidio colposo. Quindi siamo in presenza di una sorta di favor rei: ciò che si commette sulla strada è meno grave di quanto si possa commettere altrove. Anche questa è una visione culturale distorta.”

È una visione culturale di latente e trasversale complicità, per il semplice fatto che mentre tutti siamo bravi ad additare reati contro il patrimonio o di tipo sessuale, sui reati sulla strada siamo tutti più concilianti…
“Perché la strada, senza che noi ce ne accorgiamo, è una giungla dove non esiste più legge. Quindi il reato commesso su strada finisce con l’essere meno grave di quello commesso altrove. E poi ci sono anche altri problemi. Ogni qualvolta si cerca di usare la mano pesante, con gli strumenti legislativi attuali, ci troviamo di fronte al rischio di penalizzare ancora di più la vittima e non il responsabile.”

In che senso, scusi?
“Nel senso che quando abbiamo imboccato la strada del dolo eventuale, è accaduto che l’assicurazione si sia rifiutata di pagare. Le compagnie pagano per una fattispecie di colposità. Morale della favola, chi ci avrebbe rimesso? La vittima, ancora una volta. Quindi noi abbiamo prestato una grandissima attenzione e garantismo nei confronti di coloro che si comportano illecitamente, cioè di Caino, ma di Abele ci siamo completamente dimenticati.”

Sulla strada Abele è stato dimenticato?
“La vittima sulla strada è perdente. E tra l’altro, aggiungo, chi ci sta rimettendo sempre di più è l’utente debole. Siccome i mezzi di trasporto sono sempre più sicuri, aumentano gli incidenti ma diminuiscono i morti. Nella nostra zona è impressionante il numero di pedoni travolti e uccisi sulle strisce pedonali.”

Nella giungla ci sono predatori e prede: sopravvive il più forte. Infatti a nostro modo di vedere, la strada è dei più performanti. Questa è una tendenza molto pericolosa, perché domani il più performante chiederà sempre più spazio.
“Questo è un concetto nazista, che corrisponde alla forma di nazismo che c’è sulla strada. Basta vedere gli atteggiamenti e ciò che offre il mercato. Ho visto alcuni spot sugli ultimi modelli automobilistici: ci sono veicoli definiti aggressivi, dei quali vengono decantate prestazioni di 250 chilometri all’ora… naturalmente in pista. Ma il messaggio non è su pista: il messaggio che l’utente recepisce è che con quella macchina potrà andare a 250 all’ora. Corresponsabili di questa mentalità e cultura che ha in spregio la vita umana, sono i mezzi di comunicazione.”

Lei, Signor Procuratore, parla di comunicazione. Le citiamo il caso della Drive Beer, una bevanda a bassa gradazione alcolica spacciata per ideale per chi guida.
“Purtroppo anche i nostri legislatori dimostrano poca sensibilità a questi problemi. Ci sono forti pressioni dei produttori. Registro invece una crescente attenzione da parte delle scuole guida, che hanno tutto l’interesse a difendere una posizione di equilibrio, e stanno molto attente a non perdere la propria credibilità. Purtroppo qui la questione deve essere affrontata sul fronte dell’educazione e dell’informazione. Bisogna puntare a formare una cultura della sicurezza. Il veicolo ci è stato dato per fini di progresso, di piacere, di libertà di spostamento. E invece la società lo ha trasformato in quel qualcosa di patologico di cui parlavo prima. Pensiamo ai 6mila morti l’anno in Italia, come dire 3 tragedie del Vajont. Quale stato sopporterebbe tre sciagure di quel genere, tre catastrofi da duemila morti ciascuna ogni anno? Questa distorsione, questo far passare sotto silenzio, questo accettare e basta, fa sembrare le tragedie della strada come una fatalità, come un prezzo che tutti accettano passivamente di pagare a questa dea assetata di sangue e sofferenza. Sappiamo che per i 6mila morti, ci sono anche 20mila invalidi permanenti. Il tempo può lenire le ferite per un deceduto, ma restare invalido è una tragedia di eguale portata, per la vittima e per tutti coloro che le sono vicini, che si protrae a vita.”

Lei è presidente del comitato permanente dell’Osservatorio Regionale Veneto. Qual è la sua esperienza?
“Il risultato più importante dell’osservatorio è che finalmente siamo riusciti a mettere tutti attorno allo stesso tavolo. Le autorità giudiziarie, quelle di polizia, le Prefetture, la scuola, l’istituto di statistica, le motorizzazioni civili e le forze sanitarie. Ci siamo dati delle priorità: la prima è stata quella di mettere ordine nei dati statistici. Servivano notizie uniformi che fossero dunque certe. Secondo obiettivo, è stato stabilire i punti neri a livello di cause: alcol, velocità e comportamenti in genere. Il che significa agire sull’ignoranza. Parallelamente ci siamo occupati dei punti neri sulla strada, riferendoci alle carenze strutturali: li localizziamo per indicare alle autorità competenti come e dove agire. Abbiamo poi attivato forti contatti con gli organi medici, per agire con la massima tempestività in caso di perdita dei requisiti psicofisici alla guida: alla diagnosi di una qualsiasi patologia in grado di diminuire la capacità di guida, scattano subito le verifiche.”

Ci risulta anche una più stretta collaborazione tra l’Autorità Giudiziaria e gli organi di Polizia Stradale. Può spiegarci in cosa consiste?
“Si tratta di una maggior capacità di coordinamento tra l’Autorità Giudiziaria quando l’accertamento penale sia stato raggiunto e la Prefettura, ai fini della decurtazione dei punti. Ci risultava infatti che una delle principali difficoltà nella definizione del verbale di contestazione era proprio la mancanza di informazioni da parte dei tribunali a sentenza pronunciata, che aveva come principale conseguenza la mancata decurtazione dei punti dalla patente. Questi problemi sono tutti in fase di risoluzione. A Treviso, i decreti penali di condanna relativi alla guida in stato di ebbrezza, vengono immediatamente trasmessi alla Prefettura. È necessario lavorare a migliorare questo sistema, perché i furbi sono sempre in agguato e certe falle sono ben individuabili…”

Gli uccelli capiscono che lo spaventapasseri non spara?
“Esatto.”  

Intervista di Giordano Biserni
Ha collaborato Lorenzo Borselli  

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Mercoledì, 19 Aprile 2006
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