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Articoli 13/03/2006

Infortunistica stradale
L’intervallo psicotecnico e lo spazio virtuale di occupazione


Nella terminologia utilizzata in materia di circolazione stradale, con la dizione intervallo psicotecnico si suole indicare lo spazio ed il tempo, simultaneamente necessari, affinché il conducente di un veicolo percepisca una situazione da fronteggiare (nella generalità dei casi, si tratta di un pericolo insorto improvvisamente), realizzi la percezione nella mente e reagisca con azioni volontarie dirette, con sufficiente coscienza di esse, ad uno scopo determinato; tali azioni e reazioni, che si realizzano nel contesto dell’intervallo psicotecnico, sono di natura sensoriale, psichica, muscolare e meccanica; esse vanno considerate fino al punto ed all’istante in cui gli organi del veicolo iniziano ad esplicare la funzione voluta dal conducente (frenata, accelerata, sterzata).

La percezione sensoriale può essere visiva ovvero uditiva; la reazione psichica può essere intellettiva, emotiva, volitiva; la reazione fisica è essenzialmente muscolare; quella meccanica è strettamene legata al superamento dei ritardi delle trasmissioni (relativi alla corsa-gioco del pedale del freno, all’inerzia dei meccanismi interni del motore, all’acceleratore, allo sterzo) e precede immediatamente l’entrata in funzione dei relativi connessi organi meccanici del veicolo.

I tempi di reazione psichica del conducente vengono anche definiti attraverso l’acronimo PIEV, che sintetizza i seguenti termini: Percezione, Intellezione, Emozione, Volizione, fasi psichiche queste ovviamente seguite dalle reazioni fisiche e tecniche.

Allorquando il conducente avvista una situazione da fronteggiare, tale sensazione visiva o sonora, percepita dai sensi, viene trasmessa al suo cervello (percezione); attraverso le facoltà intellettive, la mente analizza la sensazione e la confronta con situazioni analoghe di cui ha avuto già esperienza; quindi, grazie alle sue emozione e volizione, trasmette il messaggio di risposta ai muscoli perché questi realizzino la manovra voluta (reazione).

La somma dei tempuscoli necessari per il compimento del processo, comprendente i quattro elementi psichici suddetti, costituisce il tempo di reazione psichica, al quale va ad aggiungersi il tempo di reazione tecnica (muscolare e meccanica), necessario anche per il superamento dei menzionati ritardi tecnici, che precedono la materiale entrata in funzione di quegli organi meccanici del veicolo che il conducente vuole azionare; il tempo complessivo per concretare le due reazioni costituisce l’intervallo psicotecnico.

L’istante nel quale si esaurisce l’intervallo psicotecnico costituisce il limite, non solo temporale, ma anche giuridico, della responsabilità (cosciente e volontaria) del conducente; fino a tale momento, infatti, i suoi atti sono stati compiuti con capacità d’intendere e di volere, mentre, tutto ciò che avviene dopo non rientra più nella sua sfera raziocinante e decisionale, poiché è la macchina a prevalere sull’uomo.

La determinazione dell’intervallo psicotecnico, per ciascuno dei protagonisti di un sinistro stradale, serve a definire le rispettive responsabilità, su di un piano di obiettività e di equità superiori al risultato che si potrebbe raggiungere attraverso qualsiasi altra metodologia; in particolare, l’obiettività deriva dal carattere puramente tecnico di questo metodo, mentre l’equità consiste nel fatto di prospettare, per ciascun attore dell’accadimento infortunistico, situazioni simultanee considerate con lo stesso criterio di valutazione rispetto al tempo; nella ricostruzione di un sinistro stradale, è pertanto necessario determinare le posizioni dei soggetti, concorrenti all’urto, nel momento in cui gli stessi potevano cominciare a scorgersi; l’intervallo psicotecnico, fissato in una giusta misura di tempo, va considerato poi nella sua estensione spaziale e, quindi, tradotto nella corrispondente lunghezza.

Pertanto, rispetto alle modalità di svolgimento di un sinistro stradale, i comportamenti dei due conducenti antagonisti non possono essere considerati “in senso assoluto” (vale a dire, come se si trattasse di entità indipendenti e del tutto avulse dal contesto storico del fatto infortunistico), ma devono essere esaminati “in senso relativo” e congiuntamente agli aspetti psicotecnici di entrambi, ponendo in relazione le rispettive manovre ed i connessi tempi di esecuzione; diversamente, ogni valutazione dei fatti risulterebbe viziata e manifestamente iniqua, in danno del conducente nei confronti del quale vi sia stata tale omissione.

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La durata dell’intervallo psicotecnico è variabile in relazione alle condizioni psico-fisiche del conducente, alla manovra voluta, alle condizioni della strada ed ambientali, al grado di efficienza del veicolo ed alla sua velocità. Detto intervallo temporale trova il suo limite nel punto in cui si manifesta la prevalenza del veicolo sul conducente, con l’effettivo inizio della manovra voluta: frenata, accelerata, sterzata. In particolare, questo punto limite coincide, nel primo caso (in realtà, il più frequente), con l’istante in cui l’impianto frenante, esauriti i ritardi delle sue trasmissioni e del gioco dei suoi organi, incomincia ad esplicare la propria azione ritardatrice del moto; nel secondo caso, con il momento in cui subentra la necessaria spinta accelerativa; nel terzo caso, con il realizzarsi della torsione dell’asse longitudinale del veicolo, così come impressa dal conducente attraverso lo sterzo.

L’assunzione del valore dell’intervallo psicotecnico va effettuata con molta oculatezza e meditando attentamente sulla meccanica dei fatti; è, quindi, ovvio che la frequente aprioristica scelta della costante misura di “1 minuto secondo” omogeneizza le fattispecie più variegate e presume, con poca coerenza, che tutti gli individui (giovani o anziani, di sesso maschile o femminile, di condizioni fisiche e mentali diverse, aventi capacità e/o reattività differenti) siano uguali nel pensiero e nell’azione; in tale maniera, si presumono uguali anche le molteplici condizioni, soprattutto quelle relative all’ambiente esterno, in cui essi si trovano ad operare.

La durata dell’intervallo psicotecnico, in via di larga approssimazione, può ritenersi compresa fra 0,75 ed 1,50 secondi; in casi particolari, essa può risultare anche maggiore. Infatti, da un punto di vista generale, la durata del tempo “i” la si può considerare variabile in relazione alle seguenti condizioni tipiche:

 percezione e reazione psicotecnica di elevata prontezza: i = 0,75 secondi;

 percezione e reazione psicotecnica di normale sollecitudine: i = 1 secondo;

 percezione e reazione psicotecnica di durata superiore al normale: i = 1,50 secondi;

tuttavia, qualora si esca dalla normalità delle situazioni, dei fatti e delle capacità, occorre discernere caso per caso, tenendo debitamente presente che la durata dei tempi di reazione può subire delle sostanziali modifiche, rispetto ai valori sopra indicati, a causa di molteplici fattori di varia natura. Un’influenza negativa, con dilatazione dei tempi, può essere legata soprattutto a deteriori condizioni soggettive del conducente (età, stanchezza, patologie, deficit della vista o dell’udito, uso di medicinali, assunzione di alcool o di sostanze stupefacenti, paura, sofferenza e/o dolore fisico o morale) od a condizioni ambientali poco favorevoli (nebbia, pioggia battente, neve, vento forte, gelo, calore eccessivo, sole abbagliante, andamento monotono della strada pianeggiante e procedente in rettilineo, intensità del traffico, conoscenza dei luoghi ed abitudinarietà nel percorrerli); al contrario, un’influenza positiva, con tendenza verso valori minimi dei tempi di reazione, è da correlarsi soprattutto alle buone capacità (abilità nella guida, ottimali conoscenza e padronanza del mezzo) e condizioni fisiche (freschezza, prontezza di riflessi) del conducente.

I valori indicati, peraltro, risultano dalla somma dei sub-tempuscoli che compongono l’intervallo psicotecnico, relativi al sopra menzionato PIEV ed alla reazione tecnico-meccanica.

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Si tenga presente, a tale riguardo, innanzitutto il fenomeno della “persistenza delle immagini sulla retina”; l’occhio, infatti, ha la proprietà di conservare la sensazione visiva per circa 0,10 secondi, in quanto la sua eccitazione, provocata dalle radiazioni luminose delle immagini, non cessa istantaneamente al cessare della causa che l’ha prodotta, bensì persiste per un certo periodo, quantunque brevissimo, di tempo. Da ciò consegue che l’occhio umano non può differenziare due eventi cronologicamente distanziati fra loro di un intervallo inferiore al tempo medio della persistenza delle immagini, pari, come già detto, ad un decimo di secondo circa; pertanto, il tempuscolo necessario per la realizzazione del processo di percezione è pari ad almeno 10 centesimi di secondo.

In seguito a ciò, la mente procede ad elaborare le sensazioni, ricevute attraverso i sensi (in questo caso, la vista) e trasmesse al cervello attraverso il sistema nervoso, mediante il processo di intellezione-emozione-volizione, allo scopo di inviare ai muscoli, sempre attraverso il sistema nervoso, il messaggio contenente la decisione finale, quale risposta cosciente e volontaria allo stimolo ricevuto. Sebbene il pensiero sia molto più veloce dei sensi, il processo mentale, che segue la percezione e che precede la reazione muscolare del conducente, ha una durata complessiva di almeno altri 10 centesimi di secondo circa.

A questo processo, esclusivamente psicologico, segue, senza soluzione di continuità, la reazione psico-motoria; questa, in funzione della manovra voluta, può consistere nelle seguenti operazioni: rilasciare l’acceleratore (od il freno), premere il pedale del freno (o dell’acceleratore), accelerare e sterzare, frenare e sterzare. Pertanto, al tempuscolo di durata della fase esclusivamente psichica, va sommato quello di durata della fase di reazione psico-fisica, la cui durata è estremamente variabile, in quanto dipende dalla prontezza o meno dei riflessi del conducente e viene decisamente influenzata dalle sue condizioni mentali e fisiche, nonché dalle situazioni ambientali; la durata di tale tempuscolo risulta sensibilmente variabile fra i 30 e gli 80 centesimi di secondo.

Infine, per la determinazione della durata dell’intervallo psicotecnico nella sua interezza, occorre aggiungervi l’entità del tempuscolo relativo al periodo prettamente tecnico, che precede l’istante di entrata in funzione degli organi meccanici del veicolo, di valore mediamente compreso fra i 25 ed i 50 centesimi di secondo.

Gli aspetti psicotecnici del conducente devono essere considerati, oltre che relativamente alla generica manovra di arresto, anche in relazione ad altre manovre richieste durante la guida, quali il sorpasso, le svolte, i cambi di direzione, l’immissione nel flusso della circolazione; quest’ultima manovra, peraltro, può avvenire con il veicolo già in movimento oppure con l’avvio da fermo.

In particolare, gli aspetti psicotecnici della manovra di avvio da fermo di un veicolo, molto spesso, assumono una rilevante importanza, soprattutto nello studio della cinematica dei sinistri verificatisi nell’area di un’intersezione stradale od in corrispondenza della zona critica in cui, da un luogo non soggetto a pubblico passaggio, si accede sulla strada.

Tale esame deve tener conto dell’intervallo temporale intercorrente fra l’istante in cui il conducente assume l’irreversibile decisione di immettersi e quello del materiale avvio del veicolo; si consideri che, dopo l’istante decisionale, il conducente agisce, immediatamente e con la massima tempestività possibile, sui comandi meccanici del veicolo che, conseguentemente, viene sottoposto alla necessaria spinta accelerativa. Per tale ragione egli, da questo momento in poi, non può più adottare alcuna contromanovra (come, ad esempio, fermarsi o tornare indietro), se non esponendo a seri pregiudizi la propria e/o l’altrui sicurezza, in quanto si trova nella fase in cui è la macchina a prevalere sull’uomo.

L’insieme di queste valutazioni è imprescindibile e di determinante importanza, al fine di poter individuare e delineare le varie responsabilità in ordine alla causazione del sinistro; infatti, raffrontando i tempi psicotecnici degli antagonisti e ricostruendo, con un percorso logico e cronologico a ritroso che inizi dal punto di collisione, le rispettive posizioni e possibilità di reciproco avvistamento, abbiamo modo di verificare, da un lato, se il conducente che ha effettuato la manovra di immissione abbia omesso (o meno) di concedere la precedenza (art. 145 del CdS) al conducente circolante sulla strada privilegiata, e dall’altro, se il sopravveniente conducente favorito abbia (o meno) mantenuto una velocità conforme al dettato normativo (articoli 141 e 142 del CdS); ciò, a prescindere dalla ulteriore verifica se, comunque, entrambi abbiano usato la massima prudenza ed abbiano fatto tutto il possibile per evitare l’incidente (art. 145, comma 1, del CdS).

Per tali finalità, occorre accertare se, nell’istante del suo irreversibile divisamento di effettuare l’immissione (con il successivo ed immediato azionamento dei relativi comandi meccanici del veicolo), il conducente in procinto di immettersi abbia avuto la possibilità di avvistare il sopravveniente veicolo antagonista; in caso affermativo, egli ha senz’altro violato la norma di cui all’art. 145 del CdS, mentre, in caso negativo, quantunque possa essersi verificata una collisione, il medesimo è da ritenersi esente da responsabilità, in ordine alla causazione del sinistro, per aver effettuato l’immissione in condizioni di “sicurezza putativa”. Trattasi di un caso limite, ma pur sempre possibile, da esaminare molto attentamente, nella variegata fenomenologia dell’infortunistica stradale; meno rara è, invece, l’evenienza in cui la responsabilità ricada unicamente su chi si immette; mentre, infine, l’ipotesi più frequente è quella in cui si ravvisi il generico concorso di colpa (art. 2054 del codice civile) fra le manchevoli condotte di entrambi i protagonisti.

Pertanto, è parimenti necessario accertare quale sia stata la velocità mantenuta dal conducente privilegiato dalla precedenza, al fine di verificare se, da parte del medesimo, siano stati o meno rispettati i precetti impostigli dagli articoli 141 e 142 del CdS.

Infatti, anche nell’ipotesi in cui il conducente obbligato dalla precedenza abbia omesso di accordare all’altro la priorità di passaggio, occorre sempre verificare se la velocità di quest’ultimo possa rilevare o meno quale causa colposa concorrente, ovvero se l’omissione della precedenza assurga come elemento colposo esclusivo nella causazione del sinistro.

Al contrario, nella summenzionata (quantunque rara) ipotesi limite di immissione avvenuta in condizioni di “sicurezza putativa”, sarà la velocità tenuta dal conducente del veicolo sopraggiungente, senz’altro per la sua assoluta inadeguatezza sia sotto l’aspetto “qualitativo” (art. 141 del CdS) che sotto quello “quantitativo” (art. 142 del CdS), ad assumere gli inequivocabili connotati di causa colposa esclusiva, in ordine alla produzione dell’evento infortunistico.

Per la determinazione della durata del relativo intervallo psicotecnico, bisogna tener presente che l’esecuzione di una normale e regolare partenza da fermo richiede, al conducente, la realizzazione di una serie di attività, quali il preventivo rilascio del freno, l’azione sincronizzata frizione-acceleratore, nonché un’eventuale sterzata, a destra od a sinistra, con il contestuale superamento dell’inerzia di avvio del veicolo; in particolare, per i veicoli a quattro ruote, il rilascio del pedale della frizione e la coordinata pressione sul pedale dell’acceleratore devono avvenire con la necessaria gradualità, allo scopo di evitare l’inconveniente dell’accidentale spegnimento del motore, evenienza questa molto frequente per i principianti della guida; per l’insieme di queste ragioni, la durata dell’intera manovra dipende molto anche dall’abilità del conducente.

La pendenza della strada, soprattutto quella in salita, rendendo più difficoltosa l’esecuzione della manovra in questione, comporta un consistente incremento della durata di tale intervallo psicotecnico.

Qualora, infine, vengano esaminate fattispecie in cui siano riscontrabili ulteriori elementi o fattori, che possano aver reso ancor più difficoltose le varie manovre, occorrerà apportare, ai suddetti valori di durata dell’intervallo psicotecnico del conducente, quelle necessarie e congrue maggiorazioni, che si riterranno più congrue ed appropriate ai diversi casi in trattazione.

Un veicolo in movimento impegna uno spazio complesso, comprensivo dello spazio reale della sua massa fisica e dello spazio virtuale di occupazione richiesto dalla manovra di arresto; quest’ultimo (denominato anche più genericamente spazio totale di arresto), a sua volta, si compone dello spazio percorso durante l’intervallo psicotecnico e dello spazio di frenatura vera e propria.

Tenendo, inoltre, in debita considerazione l’eventualità di ritardi nella realizzazione di tali azioni psico-meccaniche, è sempre consigliabile aggiungere, a questo spazio, un congruo margine di sicurezza, la cui estensione può variare, soggettivamente, da conducente a conducente.

In pratica, è come se un veicolo, con l’aumento della propria velocità, diventi (anteriormente) sempre più lungo e meno collocabile negli spazi lasciati liberi dalla occupazione del piano viabile da parte degli altri veicoli; nonché sempre meno inscrivibile nelle curve stradali. A tale riguardo, possiamo immaginare i veicoli in movimento come degli sciatori, muniti di sci tanto più lunghi (nella parte anteriore), quanto più la loro marcia sia veloce.

Quindi, questa dilatazione in avanti delle dimensioni virtuali di ingombro del veicolo aumenta con l’aumentare della velocità; però, mentre la lunghezza dello spazio percorso durante l’intervallo psicotecnico aumenta in misura semplicemente proporzionale al valore dell’aumento della velocità, quella dello spazio percorso sotto frenatura aumenta in misura proporzionale al quadrato del valore dell’aumento della stessa.

Chiariamo con un esempio.

Un conducente procede, alla guida di un autoveicolo, con la velocità di 50 km/h (che sono pari a 13,90 m/s circa) e, percepita la necessità di arrestarne la marcia, reagisce eseguendo un’energica frenata; considerata pari ad 1 secondo la durata dell’intervallo psicotecnico e pari a 7 m/s² la decelerazione intervenuta, il veicolo percorrerà 13,90 metri circa durante l’intervallo psicotecnico e 13,80 metri circa sotto frenatura; lo spazio virtuale di occupazione (spazio totale di arresto) sarà quindi pari a complessivi 27,70 metri circa.

Qualora, invece, la velocità mantenuta da quel conducente, con lo stesso automezzo, fosse di 100 km/h (valore doppio rispetto a quello della precedente ipotesi), a parità di condizioni (assumiamo, in astratto, che il la decelerazione rimanga sempre pari a 7 m/s², quantunque ciò non corrisponda alla realtà, poiché, con l’aumentare della velocità, tale valore si riduce sensibilmente, determinando una ulteriore dilatazione dello spazio di frenatura), il veicolo percorrerà 27,80 metri circa (il “doppio” dei precedenti 13,90 metri) durante l’intervallo psicotecnico e 55,20 metri circa (non più il doppio, bensì il “quadruplo” dei precedenti 13,80 metri) sotto frenatura; lo spazio totale di arresto sarà, infine, pari a complessivi 83 metri circa, concretando una differenza in più di ben 55,30 metri rispetto alla precedente ipotesi.

Quanto appena detto sta ad evidenziare come, a parità di condizioni, la velocità influisca in misura davvero rilevante sull’estensione dello spazio virtuale di occupazione relativo ad un veicolo in movimento. Per questa ragione, ogni conducente, in ossequio al dettato normativo di cui all’art. 141 del Codice della Strada, al fine di essere in grado di compiere la manovra di arresto entro il suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile, deve regolare la velocità del mezzo in modo tale che lo spazio virtuale di occupazione risulti sempre inferiore (od, al massimo, pari) alla profondità della propria visuale libera.

 

*Già Dirigente di Sezione
Polizia Stradale


© asaps.it

di Ubaldo Sterlicchio

da "Il Centauro" n.101 gennaio 2006
Lunedì, 13 Marzo 2006
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