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Articoli 20/02/2003

Io black bloc...

Io black bloc... 


di Lorenzo Borselli

Aspira con gusto il fumo della sigaretta, poi mi guarda. Mi squadra dalla testa ai piedi. Si sofferma su un particolare che non so identificare, mentre arrivano altre pattuglie, alla barriera autostradale di Firenze Ovest. è lì che stiamo, tutti spiegati a imbuto, per selezionare la porzione di traffico verso Firenze Città Aperta che si riempie all’inverosimile. La sua macchina, cosa insolita per un black blocker, viene ispezionata, con lui che collabora. è lui che solleva il pianale della ruota di scorta, che svuota spontaneamente (un po’ per provocazione, un po’ perché tanto lo deve fare) il suo zaino e il marsupio sul cofano della nostra, mentre un giovane si sporge da un furgone in transito e tenta di riprendere la scena con una videocamera digitale. è lui che lo apostrofa mandandolo a quel paese. è pieno di "precedenti specifici" e questo gli costa la visita di una pattuglia della Digos. Qualche domanda in separata sede, due appunti vergati sul taccuino e poi se ne vanno, lasciandolo con noi. Si avvicina e chiede se può aspettare qui i suoi amici rimasti indietro, che arriveranno a minuti, mentre accende un’altra sigaretta guardandomi ancora dritto negli occhi. Eppure non è uno sguardo di sfida. C’è qualcos’altro di indefinibile, qualcos’altro che inquieta. Passa una macchina tutta nera, un maggiolone di trent’anni, con le "A" cerchiate pitturate sugli sportelli, con le spirali disegnate sui cerchioni, di quelle che ti ipnotizzano, con una bandiera che sventola sulla cappotta. Tocca a me guardarlo ora. Sono miei amici. Begli amici. Si alza e va via, offeso. Aspetta, dove vai? Scusa. Si gira e mi guarda ancora. Sono miei amici a te che ti frega? Ricominciamo da capo, io e Claudio. Si siede. Comincia a parlare di America e Bin Laden, delle Twin Towers e di Afghanistan, del popolo Curdo e di foresta amazzonica, dell’Ira e dell’Eta. Borbotta due parolacce su un centro sociale che ci avete chiuso, delle basi Nato e delle Nike, degli uomini che andranno su Marte per cercare un nuovo mondo, ma da distruggere, dei Mac Donald e della carestia in Etiopia, di Carlo Giuliani e di Daniel Campos, il leader guatemalteco di "Mts Izquierda Unita". Manco sappiamo chi è Daniel Campos, dobbiamo ammetterlo. E manco sapevamo che in Etiopia è in atto la peggiore carestia della storia. O meglio, lo sapevamo ma non ce lo ricordavamo, presi come siamo, per niente convinti di essere egoisti, dalle nostre cose. Milioni di uomini, donne e bambini in procinto di morire di fame. Claudio mi guarda ancora. Capisce che la sua frase mi ha colpito e mentre il traffico diminuisce per via della sera che incombe, ci mettiamo a parlare sul serio. Gli offro una sigaretta delle mie. Scopro in lui un lato intellettuale e un lato che si potrebbe definire integralista. Due risvolti di una medaglia di un ragazzo che non è Giano Bifronte ma un compagno di scuola delle elementari, un nome accanto al mio sul registro della stessa classe, pronunciato ogni mattina dalla stessa maestra. Proprio come diceva e scriveva Pasolini. Non è un terrorista ma è determinato, pronto a tutto, anche a diventarlo. Ora è calmo, ma a parlarci si ha l’impressione che da un momento all’altro possa esplodere in tutta la sua furia ideologica. Si vede, si sente, si percepisce nel modo in cui parla, in cui dialoga. Ma cosa sono, o meglio, chi sono i Black Bloc?I Black Bloc di oggi, letteralmente blocco nero, sono il prodotto di una clamorosa protesta inscenata a Seattle nei giorni della prima colossale manifestazione No Global, datata dicembre 1999, quando nella metropoli Usa si tenne la Conferenza Ministeriale del Wto. Furono giorni di scontri terribili con la polizia locale impegnata per salvaguardare la penultima Zona Rossa del millennio appena morto. L’ultima, ma solo del millennio, sarebbe stata quella europea di Praga, del 26 e del 28 settembre 1999, quando invece si tenne la riunione del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Poi a Quebec, in Canada, quando nel corso del vertice delle Americhe una batteria di catapulte artigianali montate a tempo record - sotto lo sguardo prima divertito, poi allibito e infine terrorizzato di poliziotti e cameraman - disintegrò quello che avevano definito "il Muro della Vergogna", una fitta rete metallica posta a tutela dei delegati, fino alla guerriglia mitteleuropea di Goteborg, contro il consiglio dell’Unione Europea, quando in molti videro in quelle giornate una fatalistica anticipazione di ciò che sarebbe in seguito accaduto a Genova, al G8 definito "Maledetto" in una recente pubblicazione audiovisiva de L’Espresso. A Goteborg la Polizia aprì il fuoco e tre manifestanti rimasero feriti. A Genova il Black Bloc si compose di militanti provenienti da tutta Europa per innescare quella spirale culminata nella tragedia di quelle giornate con tante e tali conseguenze che difficilmente lo Stato e il Movimento si scrolleranno in tempi brevi dalle proprie spalle le reciproche accuse, di violenza e di complicità. I Black Blockers arrivarono dalla Germania, la cui Polizia Criminale bollò con il termine Blocco Nero i movimenti autonomisti che negli anni ’80 del secolo scorso utilizzavano le medesime tattiche, dall’Olanda, dalla Danimarca e dalla Turchia, ma anche dagli Stati Uniti e dalla Grecia, questi ultimi considerati oggi i più temerari e pericolosi. Le forze di sicurezza italiane, mutuando i colleghi germanici, hanno etichettato in colori le varie anime del Movimento, attribuendo il rosa ai pacifisti ed agli ambientalisti, il giallo alle Tute Bianche e ad alcuni centri sociali appartenenti al fronte moderato, il blu a quei centri sociali vicini all’Autonomia degli anni ’70 e mediamente pericolosi, fino al nero: sotto quell’etichetta c’è il Black Bloc, il lato oscuro - tanto per dirla alla George Lucas - di un Movimento Globale assai più esteso che considera criminale e ingiusta, a torto o a ragione, la gestione del mondo da parte degli Otto, la prepotenza nel decidere la sorte di stati e popolazioni appartenenti perlopiù al Terzo Mondo.L’antesignano di questi giovani imbacuccati come soldati, calzanti anfibi come nella migliore tradizione dei Naziskin, indossanti felpe nere con cappuccio, caschi e maschere antigas, guanti antisommossa, bastoni, coltelli e molotov, è un certo Colin Clyde, un imberbe profeta, "guerrigliero" anarchico antimperialista dalla testa rasata, appartenente all’omonimo gruppo da lui stesso fondato proprio nella capitale e quindi nel cuore dell’imperialismo mondiale, Washington, a due passi dalla Casa Bianca. Venne arrestato proprio a Seattle e nel paradiso mediatico americano - dopo la condanna a un anno di libertà vigilata - che la veicolò via satellite, disse al mondo intero una frase che altri non avevano avuto il coraggio di dire e che scatenò un pandemonio, fino alla consapevolezza assunta da parte delle varie intelligence mondiali incaricate di vegliare sull’ordine costituito, che il ragazzo e i suoi proseliti nelle loro ramificazioni, più generalmente i nuovi Black Blockers, erano divenuti dalla sera alla mattina il pericolo pubblico numero uno all’interno della variegata e in gran parte pacifica compagine del popolo No Global. La frase detta era: "prima di noi la protesta era terribilmente noiosa", o qualcosa del genere.Così sono iniziate le guerriglie urbane, nella strategia generica di distruggere vetrine e locali di bersagli predefiniti, tra cui banche, sedi di multinazionali o più genericamente automobili di lusso. A Seattle toccò alle filiali di Fidelity Investiment, società azionista di maggioranza della Occidental Petroleum, della Bank of America, della US Bancorp e di altri istituti di credito accusati di rivestire un ruolo essenziale nella politica di espansione della repressione globale operata dalle multinazionali, identificate nelle Old Navy, della Nike, della Levi’s, della Mc Donald, della Warner Bros o della catena di ristoranti Planet Hollywood, quest’ultima solo per il semplice fatto di chiamarsi così. Ma alla fine se la sono presa davvero con tutto ciò che trovavano alla loro portata, come accaduto in effetti a Genova. Macchine parcheggiate, negozi, palazzi, istituzioni. Come il carcere, per esempio, definito genericamente un luogo di tortura, capaci di mescolarsi all’ala pacifista del movimento - che come vedremo più avanti ripudiano - e forti di un’intelligente strategia messa a punto da Seattle in poi e consistente nel muoversi in piccoli gruppi, in grado di indietreggiare repentinamente davanti alle cariche della polizia e quindi evitando scontri frontali. Una specie di intelligenza comune li guida durante le proprie incursioni, rendendoli un’entità fluida, aiutata anche dal fatto che in concomitanza a vertici, con zone rosse da proteggere, le polizie non si allontanano mai dal perimetro da difendere. In alcune circostanze però, come a Seattle, il servizio d’ordine della manifestazione pacifica, definiti dagli stessi Black Blockers "Peace Police", Polizia Pacifista, si pose a tutela degli obiettivi da attaccare isolandoli dal corteo.Questo atteggiamento di presa di coscienza da parte del variegato movimento No Global in merito alla pericolosità sociale del Blocco Nero e presumibilmente alla facile etichettatura dello stesso come espressione del Movimento in generale, è tornato fortunatamente a imporsi a Firenze, ove i pochi violenti giunti in città sono stati immediatamente esclusi, anche in maniera poco ortodossa. Che non corresse buon sangue tra le due correnti è del resto testimoniato nel medesimo comunicato diramato dal Black Bloc dopo gli scontri di Seattle, quando a proposito della strategia pacifista, definita "ovvia e ipocrita" gli anarchici insurrezionalisti bollarono la Polizia Pacifista come razzista nei confronti di chi, a differenza loro, "non poteva permettersi di ignorare che la violenza perpetrata contro la maggior parte della società oppressa e della natura in nome del diritto di proprietà privata. […] Lo sfondamento delle vetrine ha coinvolto e ispirato gran parte della comunità oppressa e sfruttata di Seattle più di quanto ogni altro pupazzo gigante o costume da tartaruga marina avessero mai potuto fare […]".Ovvio che dopo Seattle qualcosa è definitivamente cambiato, ovvio che l’universo No Global è in continua mutazione. Lo spirito di Firenze, con la sua gigantesca dimostrazione di pacifismo resa possibile dalla nuova consapevolezza del movimento, ma anche dalla certosina opera compiuta dalle forze di sicurezza italiane, prime tra tutte la Prefettura e la Questura del capoluogo toscano, ha in qualche modo isolato i Black Blockers e la loro intransigente strategia volta all’innalzamento della tensione generale per giungere allo scopo finale e supremo: la distruzione della proprietà privata, nel caos più totale.Ovvio che dovremo mutare le nostre coscienze e comunque cercare di conoscere almeno i fatti del mondo, se è vero che alla vigilia del Social Forum di Firenze Città Aperta alcuni giornalisti dimostrarono di non conoscere la differenza tra un GB ed un Social Forum. Stavolta, infatti, niente Zona Rossa.



di Lorenzo Borselli

da "Il Centauro" n. 74
Giovedì, 20 Febbraio 2003
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