(ASAPS) BRUXELLES – Era da un pezzo che nessuno faceva i
conti, in Europa. Insomma, tutti gli stati membri a celebrare i propri
risultati e annunciare il mantenimento degli impegni assunti (o per meglio
dire, imposti) dalla Commissione Europea all’inizio del terzo millennio, quando
da Bruxelles venne diramato l’ordine di dimezzare, entro il 2010, la
sinistrosità di un continente nel quale la strada uccide quanto cancro e
malattie cardiache. Un’Europa in cui gli incidenti costituiscono la prima causa
di morte sotto i 40 anni. A fare il punto della situazione e tirare così una
somma a tutti gli addendi più o meno decantati, ci ha pensato il 22 febbraio
scorso il commissario europeo ai trasporti, Jacques Barrot, il quale usa sì
parole di elogio per un risparmio di vite che deve essere per forza ben
accetto, ma che non risparmia critiche, soprattutto all’Italia, che resta –
nonostante troppi proclami – il terzo paese dell’Unione per sangue versato.
Proprio così: non abbiamo né il titolo né la competenza per discutere di leggi
finanziarie e bilanci di deficit, ma sulla strada diciamo la nostra da troppo
tempo e nessuno è ancora riuscito a sconfessarci. Qualcuno ci prova,
accusandoci quasi di voler imporre regole contrarie alla libertà personale o
alla privacy, di voler chiudere il cerchio alla velocità o all’alcol con limiti
assurdi, esattamente quelli che vigono in tutta l’Ue. A questa gente, che ad
ogni email più o meno velenosa (molte, per la verità sono anche assai civili ed
educate) ci decanta la nobile libertà di accelerare all’infinito sulle strade
tedesche, facciamo notare che secondo il rapporto 2005 sulla sicurezza stradale
in Europa, le strade più pericolose del continente sono proprio quelle della
Repubblica Federale di Germania. Tra noi e i cittadini del cancellierato, c’è solo
la Polonia. Ai delatori della sicurezza stradale, quelli che vogliono dare
sempre la colpa alla distrazione o agli “altri”, porgiamo questo nuovo zerbino
su cui pulirsi i piedi prima di entrare nel tempio sacro della sopravvivenza.
Ma veniamo ai dati: è indubbio che l’Italia abbia comunque ottenuto ottimi
risultati, grazie soprattutto alla patente a punti, che si calcola abbia
salvato oltre mille vite nel 2005. In paesi come Francia, Spagna e Gran
Bretagna, invece, il merito va alla quantità ed alla qualità dei controlli,
soprattutto sul fronte della repressione della velocità e della guida in stato
di ebbrezza. Nel 2005, tanto impegno ha riportato a casa, vive, 8mila persone
in più rispetto al 2004. Eppure non basta: non può bastare. Infatti le
rilevazione UE hanno evidenziato che dal 2001 al 2004 il numero di morti sulle
strade europee si è abbassato del 16%: dovremmo passare cioè dalle 50mila
vittime del 2001 alle 25mila del 2010, ma invece siamo fermi ad appena 41.600
decessi: andando avanti così, non riusciremo a scendere sotto le 32mila
vittime. Troppo lontani dal diktat dell’Unione, che non intende rivedere
nessuna delle proprie posizioni. Non vorremmo passare per profeti, ma chi ci
segue lo sa: l’avevamo già detto più di un anno fa. Chi se la passa bene, invece,
è la Francia, che è il paese europeo ad aver ottenuto i risultati migliori
nonostante sia partita dall’ultimo posto: nel 2001, infatti, le sue strade
avevano contato 8.100 morti, mentre nel 2005 si è assistito al fatidico giro di
boa, con la sinistrosità scesa al di sotto alle 5mila vittime. Nessun problema
anche per gli inglesi, anche se Jacques
Barrot ha lanciato un nuovo allarme, che riguarda stavolta i motociclisti, che
proprio sulle strade della Gran Bretagna sono alle prese con un nuovo periodo
nero, comune del resto a quasi tutti i paesi europei, tanto che continuando
così le cose nel 2010 una vittima su tre sarà un motociclista. L’Italia,
purtroppo, è ai vertici di questa orrenda classifica, insieme all’inatteso
Belgio, all’Inghilterra – come già detto – ed all’outsider Svezia. E per favore
non dimentichiamoci le stragi del sabato sera, definite da Barrot la “tragedia”
europea. A pagare il prezzo più alto sono i giovanissimi, quelli di età
compresa tra i 18 ed i 25 anni: questa fascia d’età, che rappresenta il 10%
della popolazione europea, costituisce il 21% di tutte le vittime. Infine la
categoria debole per eccellenza, i pedoni. Nel 2005 ne sono rimasti uccisi
oltre 5mila, nel 27% dei casi over 65 anni. Loro, sono il 18% di tutta la
popolazione europea. Mentre tutti noi continuiamo a percorrere questa galleria
dell’orrore e della sofferenza – non dimentichiamoci infatti delle centinaia di
migliaia di invalidi permanenti – c’è ancora qualcuno che ha il coraggio di
dare l’assalto con la baionetta a quei pochi baluardi che ci sono rimasti. Ci
riferiamo alla politica di prevenzione e repressione, complementari per
definizione. Ci dicano loro, cosa vogliono, ora che sanno quanto l’esempio
tedesco non possa più prestarsi alla propria filosofia. Ci dicano loro con quali
armi lottare. |
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