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Corte di Cassazione 22/02/2006

Giurisprudenza di legittimità - DEPENALIZZAZIONE - VERBALE DI CONTESTAZIONE - ART. 2700 CC - VALORE PROBATORIO DEI FATTI ATTESTATI - PROVA FINO A QUERELA DI FALSO - VALORE DEI FATTI ACQUISITI DE RELATO - VALORE INDIZIARIO.

(Cass. Civ., sez. III, 30 gennaio 2006, n. 1874)

Giurisprudenza di legittimità
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE
Sezione III, 30 gennaio 2006, n. 1874

 
DEPENALIZZAZIONE - VERBALE DI CONTESTAZIONE -  ART. 2700 CC -  VALORE PROBATORIO DEI FATTI ATTESTATI - PROVA FINO A QUERELA DI FALSO - VALORE DEI FATTI ACQUISITI DE RELATO - VALORE INDIZIARIO.

  I verbali redatti dai pubblici ufficiali fanno prova, secondo la disposizione contenuta nell’art. 2700 CC, dei fatti che il verbalizzante attesta essere avvenuti in sua presenza o stati da lui compiuti, mentre le altre circostanze che egli indica di avere accertato, per averle apprese "de relato" (ovvero che siano frutto di sue deduzioni), costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice, il quale può valutarne l’importanza ai fini della prova, ma mai attribuire loro il valore di vero e proprio accertamento (Cass. 25 giugno 2003, n. 10128, 14 dicembre 2002, n. 17949, 25 luglio 2002, n. 10898).

 CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - 30 GENNAIO 2006, N. 1874

  
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

  ha pronunciato la seguente

Sentenza 

Svolgimento del processo

        Con sentenza 20 marzo - 15 maggio 2001 la Corte d’Appello di Roma rigettava l’appello proposto da P. G. avverso la decisione n. 313 del 1998 del Tribunale di Roma che aveva respinto la domanda di risarcimento del danno proposta dallo stesso nei confronti del Comune di Roma e della impresa XXX, nella rispettiva qualità di proprietario della strada e di società incaricata della manutenzione stradale.
        Nell’atto introduttivo del giudizio il P. G. aveva esposto che il giorno 14 novembre 1989, alla guida della propria autovettura, percorreva la via P. quando, a causa di una buca del manto stradale (in corrispondenza di un tombino), aveva perduto il controllo dell’autovettura che, uscendo fuori strada, aveva riportato dei danni.
        I giudici di appello rilevavano che dalla documentazione agli atti era risultato che il tombino contro il quale il P. G. deduceva di avere urtato, era più basso della sede stradale di un solo centimetro, anziché di 9 centimetri, come sostenuto dall’appellante. L’esistenza di un dislivello maggiore avrebbe dovuto essere dimostrata dal P. G. attraverso la richiesta di sentire in contraddittorio i verbalizzanti, e non attraverso la produzione di corrispondenza diretta intercorsa tra il difensore dell’appellante e la Polizia stradale.
        In mancanza di prove circa il nesso di causalità tra il dislivello del manto stradale e l’incidente, la domanda del P. G. doveva essere rigettata.
        Avverso tale decisione il P. G. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da tre motivi, illustrati da memoria.
        Resistono la impresa XXX ed il Comune di Roma. Quest’ultimo ha proposto anche ricorso incidentale condizionato.

        Il difensore del ricorrente ha discusso la causa alla udienza odierna.

 
Motivi della decisione

        Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 2700 codice civile e 221 codice di procedura ci vile) in relazione all’art. 360 n. 3 codice di procedura civile.
        I giudici di appello avevano ritenuto che la nota proveniente dall’Ufficio Infortunistica della sezione Polizia Stradale di Roma contenente una interpretazione dei dati del verbale risalente a nove anni prima (14 novembre 1989) potesse essere valutato liberamente senza tener conto che invece tale atto, in considerazione della provenienza da pubblico ufficiale, avrebbe potuto essere impugnato solo attraverso una querela di falso.
        Le considerazioni svolte in sentenza, pertanto, si ponevano in aperta contrasto con la disciplina processuale vigente.
        Essendo stata fornita la prova certa della causa dell’incidente attraverso la produzione di tale documento, sarebbe stato preciso onere dei resistenti offrire la prova contraria.
        Con il secondo motivo il ricorrente denuncia contraddittoria motivazione in punto di violazione e falsa applicazione della legge (art. 231 codice di procedura civile) in relazione all’art. 360 n. 3 codice di procedura civile.
        I giudici di appello avevano affermato che l’acquisizione di una circostanza di fatto così rilevante, tale da modificare radicalmente gli accertamenti compiuti in primo grado (quale la profondità del tombino), avrebbe dovuto essere effettuata attraverso l’audizione diretta dei verbalizzanti.
        In tal modo, tuttavia, la Corte d’Appello aveva dimenticato la disposizione dell’art. 231 codice di procedura civile, secondo la quale il giudice può richiedere d’ufficio alla Pubblica Amministrazione, le informazioni scritte relative ad atti e documenti dell’Amministrazione che è necessario acquisire al processo.
        Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di norme di diritto in relazione all’omesso esame degli atti di causa nonché omessa motivazione , in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 codice di procedura civile.
        Nè il Tribunale né la Corte d’Appello avevano esaminato la consulenza tecnica di parte attrice, destinata ad integrare gli atti pubblici con alcune foto che lasciavano ben poco all’interpretazione.
        In esse il tombino era pienamente visibile ed anche senza l’ausilio di alcun mezzo meccanico sarebbe stato ben possibile individuare la profondità che, anche se inferiore ai 9 centimetri, non poteva dirsi in alcun modo di 1 centimetro.
        I tre motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra di loro, non sono fondati.
        Attraverso la denuncia di vizi della motivazione e di violazione di norme di legge, peraltro in qualche caso (come nel terzo mezzo di impugnazione) neppure enunciate, il ricorrente tende a richiedere a questa corte un riesame delle risultanze processuali inammissibile in questa sede.
        Deve innanzi tutto rilevarsi che, ai fini indicati dall’art. 2700 codice civile, non è sufficiente che l’atto provenga da una pubblica autorità.
        Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che i verbali redatti dai pubblici ufficiali fanno prova, secondo la disposizione contenuta nell’art. 2700 codice civile, dei fatti che il verbalizzante attesti essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti, mentre le altre circostanze che egli indichi di avere accertato, per averle apprese "de relato" ovvero che siano frutto di sue deduzioni, costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice, il quale può valutarne l’importanza ai fini della prova, ma non può mai attribuirgli il valore di vero e proprio accertamento (Cass. 25 giugno 2003 n. 10128, 14 dicembre 2002 n. 17949, 25 luglio 2002 n. 10898).
        Nel caso di specie, il ricorrente richiama una nota diretta proveniente dall’Ufficio Infortunistica della Polizia stradale di Roma, e diretta al difensore dell’attuale ricorrente, che costituisce una semplice interpretazione dello schizzo planimetrico e del verbale redatto all’epoca dell’incidente dalla Polizia stradale.
        La stessa nota, compilata tra l’altro a distanza di circa nove anni dai fatti, non rientra nel potere certificatorio stabilito dalla legge, non avendo nè contenuto nè forma prescritti per il verbale di accertamento.
        Il principio dell’impersonalità dell’ufficio deve essere coordinato con quello della necessità - logica prima ancora che giuridica - che quanto attestato dal pubblico ufficiale, affinché quanto attestato possa avere pubblica fede, sia stato oggetto di una sua percezione immediata e diretta, situazione questa non riscontrabile nel caso di una "correzione" di un precedente verbale di accertamento redatto circa nove anni addietro.
        Da ciò consegue che i giudici di appello, valutando la nota in oggetto alla stregua di un qualsiasi documento probatorio ed escludendone la rilevanza sulla base di argomentate valutazioni non sono incorsi in alcuna delle violazioni di legge denunciate.
        Valutando complessivamente le informazioni provenienti dalla Polizia stradale, i giudici di appello hanno precisato che la profondità di centimetri 9 era del tutto estranea alla collocazione del tombino rispetto al piano stradale, riguardando invece l’altezza del ciglio della strada.
        Quanto alla osservazione secondo la quale la Corte d’Appello avrebbe motivato in maniera erronea e contraddittoria per quanto riguarda i poteri del giudice di disporre anche d’ufficio l’assunzione di mezzi di prova si rileva che, nella sentenza impugnata, era stata evidenziata l’opportunità di provvedere a sentire in contraddittorio tra loro gli agenti verbalizzanti. Appare opportuno sottolineare tuttavia, a tale riguardo, che sarebbe stato onere della parte ricorrente chiedere eventualmente tale mezzo istruttorio.
        La disposizione dell’art. 213 codice di procedura civile, richiamata dalla difesa del ricorrente fa espresso riferimento unicamente alla possibilità per il giudice di ordinare la acquisizione di "informazioni scritte".
        In ogni caso, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’esercizio di tale facoltà è rimesso alla discrezionalità del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità.
        La giurisprudenza di questa Corte è ferma nell’affermare che l’esercizio del potere previsto dall’art. 213 codice di procedura civile, non è sostitutivo dell’onere probatorio che incombe sulla parte (Cass. n. 3573 del 1999, 6734 del 1988, 4907 del 1988, 2117 del 1988).
        In conclusione, sarebbe stato onere dell’attore fornire la prova della profondità del tombino rispetto alla sede stradale e, conseguentemente, dimostrare l’esistenza di un nesso di causalità tra il dislivello del manto stradale e l’incidente, trattandosi di circostanza sulla quale lo stesso fondava la propria pretesa risarcitoria.
        Quanto alle risultanze della consulenza tecnica di parte attrice, secondo il ricorrente del tutto trascurate sia dal primo che dal secondo giudice, si tratta - come ha osservato il Comune di Roma - di accertamenti e di fotografie eseguiti a distanza di oltre un anno dai fatti di causa: sicché appare del tutto corretto il rilievo, formulato dalla stessa parte, secondo il quale non vi sarebbe alcuna certezza circa la corrispondenza dello stato dei luoghi in essa descritto con quello relativo al momento del fatto.
        Conclusivamente il ricorso principale deve essere rigettato con assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
        Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di questo giudizio tra tutte la parti.

 
Per questi motivi

LA CORTE DI CASSAZIONE

        La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale.

Compensa le spese del giudizio.

        Così deciso in Roma il 9 dicembre 2005

 Il presidente: FIDUCCIA

 

Il consigliere estensore: FILADORO

        Depositata in cancelleria il 30 gennaio 2006.

Il cancelliere: BATTISTA

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Mercoledì, 22 Febbraio 2006
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