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Articoli 12/12/2022

di Lorenzo Borselli*
La morte di Davide Rebellin e lo Stato “pirata”
Che scappa, come il conducente che l’ha ucciso

 

L’omicidio (stradale) di Davide Rebellin, ucciso da un conducente pirata alla guida di un camion e datosi alla fuga dopo essere sceso dal veicolo ed aver constatato ciò che era appena successo, lascia una moltitudine di interrogativi irrisolti.
Il primo: gli investigatori sono riusciti a identificarlo, ma la sua fuga all’estero (in Germania, paese di cui è cittadino) rende al momento vana ogni speranza di eseguire nei suoi confronti una misura cautelare personale, nonostante la sua fedina stradale parli chiaro (altra omissione di soccorso nel 2011 e guida in stato di ebbrezza nel 2014). Sarà fatta giustizia? È davvero necessario riformare per l’ennesima volta il codice stradale (e penale) oppure sarebbe sufficiente assicurarci, come Paese, che le pene attualmente previste fossero poi anche eseguite?
E poi: quanti pirati ci sono? Perché una persona dovrebbe fuggire dopo aver provocato un incidente stradale?
Infine, l’ultimo dubbio: lo Stato fa qualcosa?
Proviamo, col nostro tipico ragionamento empirico, a dare una risposta a queste domande, partendo però dall’ultima quaestio, così ci leviamo subito il dente ed evitiamo che la lingua ci vada a sbattere: no, NON FA NIENTE.
Lo Stato scappa, è in qualche modo “pirata” a sua volta e questa ormai è un’evidenza conclamata. Lo fa evitando di analizzare scientificamente il fenomeno infortunistico nel suo complesso, trattando un dato numerico aggregato senza alcuna attenzione alle tante categorie autonome di sinistri e di vittime, lasciando all’empirismo del “pallottoliere” dell’ASAPS il compito di strillare al contromano letale, ai bambini uccisi, ai trattori ribaltati, al pirata di turno, al ciclista travolto, all’ecatombe domenicale dei motociclisti, al monopattinista schiacciato e via di seguito.
L’ASAPS è diventata una specie di Wikipedia del dato numerico, inattaccabile – se non a tradimento (chi vuol intendere, intenda) – perché ogni pallina che scorre sull’asticella dell’abaco ha un nome e un cognome, ha un’ora e un luogo del decesso e quando noi la facciamo sfilare da una parte all’altra della guida, per catalogarla, siamo costretti a leggere quel tutto di lei e dell’evento che rappresenta, rivelando candidamente quello che in criminologia è classicamente definito il “movente”.
Lo Stato invece che fa? Spallucce. Il politico di turno invoca leggi più dure ma poi la solita manina tenta di infilare per l’ennesima volta i 150 all’ora in autostrada, evita di affrontare il tema dell’art. 187 c.d.s. (che disciplina l’uso di sostanze stupefacenti alla guida e che è praticamente inapplicabile), promette i soliti sterili e vacui “vigileremo” -“faremo”-“puniremo”, ma intanto taglia le pattuglie della Polizia Stradale, che non ci sono praticamente più ad eccezione della rete autostradale (e anche sulla loro formazione avremmo qualcosa da dire), con organici in fuga alla ricerca dei più gonfi stipendi dei reparti mobili (più o meno il triplo).

Mentre impaginiamo, arriva la notizia che nell’alessandrino un’auto con sette persone in fuga dai Carabinieri si è schiantata nella notte dell’11 dicembre: il bilancio è catastrofico, con tre morti e quattro feriti. Anche in Piemonte la Stradale è praticamente estinta (tra gli ultimi distaccamenti chiusi ricordiamo Borgomanero, Ceva e Domodossola) e secondo noi non è un caso che gli incidenti plurimortali aumentino proprio in questi contesti territoriali. Provate ad andare a vedere in quali altri luoghi la multi-letalità stradale sta aumentando e confrontate le notizie di cronaca con questo dato: il Viminale ha chiuso la Polizia Stradale di Casalecchio di Reno, Lugo, Rocca San Casciano (Emilia-Romagna), Finale Ligure e Sanremo (Liguria), Fonni (Sardegna), Ruvo e Spinazzola (Puglia); si trattava di reparti posizionati su strade extraurbane, statali e provinciali, proprio quelle dove su muore di più. E questi solo nel 2021.
I militari la chiamerebbero “rotta” e per aiutarvi nella comprensione del testo chiamiamo in causa il vocabolario Treccani: “sconfitta molto grave, quando i vinti siano dispersi in modo da non essere più in grado di riordinarsi e fronteggiare il nemico.”

Siccome non c’è più trippa per gatti, lo Stato regala (anche questa notizia degli ultimi giorni, come riportato dal Corriere della Sera lo scorso 8 dicembre) autovelox ed etilometri ai comuni, sbolognando così il testimone della responsabilità alle amministrazioni locali.
Ora, a parte che le Polizie Locali non sono tutte uguali – una cosa sono infatti i corpi metropolitani, altra invece gli uffici di comuni che a volte contano un solo effettivo –, lo capite che non ha alcun senso agire estemporaneamente? Chi, se non il ministero dell’Interno (come recita il codice della strada, artt. 11 e 12) è chiamato a coordinare la sicurezza stradale italiana? Chi se non la “Polizia Stradale” può studiare fenomeno, numeri e dinamiche e porvi rimedio, con law-enforcement e vigilanza sulle infrastrutture, con i suoi Uffici (sic!) su tutto il territorio nazionale? L’apertura del neo-ministro Matteo Piantedosi (non ce ne voglia) sa tanto di boutade, di cosa detta per rassicurare, ma è come gettare un salvagente in mare quando un’intera nave da crociera fa naufragio.

Fronteggiare validamente la violenza stradale è altra cosa: ogni area ha le sue peculiarità e i suoi numeri. La prefettura fa tavoli di ogni tipo e, quindi, ci domandiamo: perché mai (o molto raramente) sulla sicurezza stradale? Insomma, settimanalmente ci si potrebbe riunire: la Polizia Locale riferirebbe i dati urbani, i Carabinieri quelli dei territori e la Polizia Stradale – se esistesse ancora – in qualità di organo tecnico ed operativo potrebbe aggregare i numeri e riferirli prontamente e organicamente al Viminale.
Si dice, infatti, che le Polizie Locali non comunichino i dati della sinistrosità al ministero dell’Interno. Ma è vero? Noi non lo sappiamo, ma una cosa è certa: in piena pandemia i dati relativi ai contagi e alla vigilanza di chi violava le regole sul lockdown c’erano eccome e quindi, a nostro parere, sarebbe sufficiente alzare il telefono e prendere nota. A livello provinciale, garantiamo noi per esperienza diretta, certe informazioni si ottengono in cinque minuti, figuriamoci dotarsi di un sistema armonico di raccolta dati. O vogliamo pensare che la Polizia Locale sia dispettosa con quella dello Stato? Ma dai.

Veniamo all’omicida di Davide Rebellin: il campione più longevo del ciclismo è morto il 30 novembre a Montebello Vicentino: un uomo, alla guida di un camion, lo ha investito e ucciso. E questo, fino a prova contraria, potrebbe essere anche un semplice, per quanto tragico, incidente stradale, se non fosse che Wolfgang Rieke, secondo alcune testimonianze riportare dai media, dopo essersi fermato sarebbe sceso dalla cabina, si sarebbe avvicinato al corpo inanimato di Rebellin e poi sarebbe fuggito.
Ecco la vigliaccata: nessuno potrà mai sapere se Rieke aveva bevuto o si era drogato, se aveva guidato oltre il consentito e se era solo a bordo.
Certo, la Procura della Repubblica potrà chiedere un arresto cautelare all’estero spiccando un MAE (Mandato di Arresto Europeo), ma quanti e per quanto tempo gli assassini stradali (“presunti” tali, pardon) restano ristretti in custodia cautelare?
Niente di più probabile che la magistratura inquirente voglia prima  stabilire se a carico del pirata possa sostenersi un’imputazione anche in dibattimento e tenersi la carta buona in caso di condanna, altrimenti poi lo Stato dovrebbe addirittura risarcire l’ingiusta detenzione.
Il caso “Rebellin” fa dunque sorgere altre questioni: tra tutte, la necessità di spingere in chiave europea per armonizzare la norma e rendere procedibili questi delitti anche Oltralpe.
Ma l’evento va visto anche in prospettiva investigativa: possibile, infatti, ammesso che l’identificazione del mezzo non sia avvenuta a distanza di ore, che nessuno abbia potuto intercettare il pirata da Montebello Vicentino al confine di Stato? Insomma, il valico del Brennero dista 260 km, quello di Arnoldstein poco più di 300 e quello di Fernetti circa 235.
Manca la possibilità di interrogare in tempo reale i sistemi di rilevazione della targa? Ci sono falle nel coordinamento tra le varie forze di polizia? Le cosiddette note di ricerca, diramate dalle centrali operative, quanto durano nel tempo e quanto si estendono sul territorio?
I Centri di Cooperazione, quelli che tengono in vita l’accordo di Schengen, funzionano a dovere?
Il secondo: quanti pirati ci sono? Siccome l’unico “pallottoliere” che li conta è quello dell’ASAPS, dovrete accontentarvi di questa “parziale” verità: il nostro osservatorio ha contato almeno 1.017 episodi di pirateria stradale gravi nel 2021, conto che l’anno precedente si era fermato a 892 eventi (+14%), con 110 vittime e 1.141 feriti, contro i rispettivi 92 uccisi e 1.037 feriti del 2020. L’aumento delle vittime mortali è del 19,6%, quello dei feriti è del 10%.

L’osservatorio sui pirati incrocia quello dei ciclisti: secondo il Rapporto PATH (Partnership for Active Travel and Health) l’Italia conta il maggior tasso europeo di incidenti mortali in bicicletta per chilometro percorso e – dicono i cronisti di Bikeitalia – “l’italiano medio [che] percorre meno di 100 km in bici in un anno, si espone a un pericolo per la sua vita 5 volte superiore rispetto ai suoi coetanei danesi e olandesi”.
E questo perché? Purtroppo, la risposta è semplice: perché non ci sono agenti in giro e così un pedone deve letteralmente implorare per attraversare sulle strisce, il rosso semaforico è rispettato solo se prima della lanterna c’è il cartello che ti avvisa della telecamera, ai limiti di velocità si ottempera solo se qualcuno ti fa i fari per avvisarti che dietro la curva c’è una pattuglia e, più generalmente, in prossimità delle postazioni radar fisse, che per legge devono essere ben segnalate (manca solo la volante che ti lampeggia per ricordarti di essere bravo).
L’ossimoro è nel nostro atteggiamento: l’ebbrezza è solo degli altri, la velocità temeraria per noi non vale e ‘sta cavolo di striscia continua non serve a niente.
Infine, perché una persona dovrebbe fuggire dopo aver provocato un incidente stradale?
Sono stati molti quelli che, in questi anni che ci separano dal 2016, da quando cioè è entrata in vigore la legge 41 sull’omicidio stradale, ci hanno dato dei forcaioli o dei giustizialisti.
E quasi sempre, le stesse persone, chiudono il j’accuse coi dati: la mortalità non è diminuita, ergo la legge non serve a niente e, anzi, è solo l’ennesima angheria.

Accettiamo la critica ma dissentiamo. Volete sapere perché la gente scappa dopo aver investito e ucciso/ferito, diventando pirata?
La gente fugge dalla propria responsabilità, perché sa o spera che facendola franca eviterà di perdere la patente. Quello che i pirati ignorano è che il 71,4% degli assassini stradali in fuga viene poi preso (dati “pallottoliere” ASAPS) e anche in caso di “semplice” ferimento l’autore è rintracciato ed assicurato alla Giustizia.
Ma soprattutto scappa perché ormai si è persa l’abitudine ad incontrare divise che ti fermano, che ti alzano la paletta e ti guardano negli occhi contestandoti un’infrazione in flagranza: un conducente che sappia di aver bevuto o di aver assunto sostanze stupefacenti fa quello che fa un qualsiasi delinquente dopo aver commesso un reato: corre via sperando di non lasciare tracce. E la nostra esperienza suggerisce che il pirata ha spesso precedenti stradali, connessi a gravi violazioni o a pregresse condanne per guida in stato di alterazione. Il trucco che molti adottano, a bocce ferme, è quello di tornare sul luogo del delitto o di costituirsi a sbornia passata, oppure affermando di aver bevuto dopo l’incidente perché, preso da panico, un bicchierino è quello che ci voleva. Ma badate, che in molte di queste circostanze, i pirati si consegnano alla legge solo perché sanno di avere le ore contate: hanno perso la targa, sanno di testimoni, si sa che ci sono telecamere di sorveglianza sul percorso…

A proposito del panico: è vero che noi poliziotti non saremo dei fulmini, ma non siamo nemmeno del tutto scemi: sappiamo che dopo aver provocato un incidente stradale grave si possa finire in un così grave stato di frustrazione che la fuga ci si prospetti come l’unica soluzione; una decisione sbagliata, insomma, ma poi bisogna essere lesti a tornare lucidi ed affrontare le nostre responsabilità, perché abbiamo imparato a distinguere tra il panico e l’inquinamento probatorio. Non è un caso che costituirsi possa evitare l’arresto ma non è nemmeno un caso che solo il 13,8% degli identificati sia risultato positivo all’etilometro o al narcotest (o ad entrambi).
Il  “movente” della fuga può essere, banalmente però, anche la fredda e lucida consapevolezza di aver provocato la morte in violazione di altre condotte: l’assicurazione, la velocità, la mancanza della patente, il trovarsi alla guida di un’auto rubata o la condizione di cittadino straniero (il 14,9% degli identificati non è italiano).

Sappiamo che il tono di quest’articolo (e di chi lo scrive) sia l’evidenza di un profondo malessere: si chiama “frustrazione” e scaturisce dalla constatazione che ciò che serve non viene MAI puntualmente fatto e che tutto ciò che diciamo non viene MAI ascoltato.
Un po’ come la sanità territoriale: si chiudono i Pronto soccorso per razionalizzare e poi, in città come Firenze o Bologna, si devono aspettare anche dieci ore per valutare una frattura o suturare una ferita.
Secondo il sindacato dei medici CIMO-FESMED, tra il 2010 e il 2020, in Italia, sono stati chiusi 111 ospedali e 113 Pronto soccorso, con un taglio di 37mila posti letto e, nonostante le assunzioni per far fronte al Covid-19, nelle strutture ospedaliere mancano all’appello ancora oltre 29mila professionisti, di cui 4.311 medici.
All’ASAPS si combatte da 32 anni contro lo stesso nemico, il disinteresse, e questo ci rende più che frustrati: il termine corretto è “nauseati”.

(*) Ispettore della Polizia di Stato, Responsabile nazionale della comunicazione di ASAPS


La severa denuncia sul tanto che non funziona per la sicurezza stradale in Italia in un crudo articolo del nostro Lorenzo Borselli Ispettore della Polizia di Stato e Responsabile nazionale della Comunicazione di ASAPS.
Ma lo Stato fa veramente qualcosa per interrompere questa scia di sangue sulle strade? No. Un articolo da leggere tutto d'un fiato.

 

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Lunedì, 12 Dicembre 2022
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