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Notizie brevi 29/01/2021

Anno Giudiziario 2021
Vittime della strada: si può e si deve fare di più
La prevenzione è una responsabilità condivisa

Le nostre riflessioni

Nel nostro cammino per la prevenzione e per la difesa dei diritti delle vittime, abbiamo sempre evidenziato, nelle nostre relazioni per l’inaugurazione dell’Anno Giudiziario, nel corso dei vari anni, che l’amministrazione della giustizia è sbilanciata a favore dell’imputato – con il c.d. favor rei – sottovalutando i diritti della vittima, in virtù di un sistema processuale privo di sensibilità vittimologica.
Abbiamo anche sottolineato che una strategia di efficace contrasto alla strage stradale richiede, tra l’altro, anche una seria presa in carico della questione giudiziaria: se è vero che la sicurezza stradale parte dalla prevenzione, è noto che la funzione preventiva – o deterrente – è tipica della minaccia punitiva connessa all’istituzione di una fattispecie incriminatrice.
Tale convincimento, con il grave allarme sociale prodotto dal buonismo della giustizia, si è tradotto nella riforma del c.d. “omicidio stradale” (l. n. 41 del 23 marzo 2016), che ha determinato un inasprimento del quadro sanzionatorio, dando peso alla gravità di condotte, per troppo tempo sottovalutate dalla giustizia, con affermazioni del tipo “il tizio voleva correre ma non voleva uccidere”.

Era piuttosto necessario promuovere un cambiamento di mentalità e di cultura: a) dare peso ai comportamenti oggettivamente censurabili in sede penale, per determinare le responsabilità: “il tizio ha corso ed ha ucciso e sapeva di non potere né correre e né uccidere, perché vietato da norme di legge poste a protezione della vita e della salute”; b) riaffermare la Giustizia come istituzione garante della legalità e dei diritti dei cittadini, ponendo attenzione al “caso concreto” – nel quale al primo posto ci stanno i diritti distrutti delle vittime – all’accertamento della verità e delle responsabilità per l’applicazione della pena congrua.
La legge imponeva un cambiamento che non poteva restare circoscritto alla sensibilità di singoli Magistrati, ma doveva diventare “sistema” all’interno del nostro ordinamento.

A tal fine, ed a partire dal 2017, con le nostre relazioni abbiamo chiesto che i Responsabili degli Uffici Giudiziari esercitassero le loro funzioni direttive per assicurare maggiore uniformità ed effettività nell’applicazione della normativa, e per migliorare l’organizzazione del lavoro giudiziario: istituire corsie preferenziali all’interno dei Tribunali e delle Corti di Appello per un sollecito svolgimento dei processi per i reati stradali, senza esporre le vittime a ritardi ed a rinvii; abbiamo anche evidenziato che il cambiamento deve connotare tutta la società, con la consapevolezza che le inefficienze delle istituzioni contribuiscono a mantenere la strage stradale.
La lotta alla criminalità stradale va, pertanto, combattuta in sinergia dalle istituzioni, compresa la giustizia, condividendo obiettivi valoriali da tutelare, e per essi ciascuno nel proprio campo di lavoro deve fare la propria parte. Nel campo della giustizia è cruciale il ruolo del magistrato che deve assicurare la “giustizia del caso concreto”, a cui conseguono ripercussioni positive a livello sociale.

Eppure si avvertono sul tema della giustizia alle vittime segnali preoccupanti di un calo di attenzione negli operatori del diritto che –  nonostante le nostre sollecitazioni per un cambiamento di mentalità e di cultura –  continuano  con sentenze che sottovalutano i diritti distrutti delle vittime, minimizzano la gravità della colpa del reo, applicano pene inadeguate, comunicano alla società che si può ancora continuare a delinquere senza rischiare pene afflittive, applicando al ribasso la legge 41/2016, accogliendo patteggiamenti, regalando incomprensibili attenuanti generiche, perché di specifiche ci sono solo quelle che avrebbero richiesto un incremento di pena.
Ed è così per la sentenza dell’omicidio dei due cuginetti di Vittoria (RG), Alessio e Simone D’Antonio, di 11 e 12 anni, uccisi sul marciapiede sotto casa da Rosario Greco, alla guida di un suv in città, a velocità e sotto effetto di alcol e droga. Se la legge 41/2016 prevede per l’omicidio plurimo una pena non superiore a 18 anni e se il rito abbreviato  prevede la riduzione di un terzo e quindi una pena di 12 anni, non riusciamo a capire quali attenuanti i giudici abbiano considerato degne di valutazione per ridurre la pena di ulteriori tre anni! Ci chiediamo se il giudice per applicare la pena congrua e assicurare “giustizia nel caso concreto” abbia considerato tutti gli elementi stabiliti dall’art. 133 del c.p., che prevede di valutare la gravità del danno, il grado della colpa ed il comportamento del reo prima, durante e dopo, il tutto riferito a Rosario Greco!!!

È così anche per la sentenza pronunciata il 22 ottobre 2020 per l’uccisione sul marciapiede a Forlì di Alina Marchetta, 26 anni, causata da Martina Mercuri, 28 anni, alla guida con un livello di alcol di 1,78 e sotto effetto di stupefacenti alle ore 9 di mattina. La legge 41/2016 prevede, per tali condotte, pene da 8 a 12 anni, la sentenza ha invece disposto la pena di 3 anni e sei mesi e la revoca della patente a seguito di un patteggiamento non rifiutato ma accettato sia dal p.m. e sia dal giudice, subìto dalla madre di Alina come una seconda vittimizzazione, come se dal giudice le venisse detto “il morto è morto, diamo aiuto al vivo”.

Noi familiari di vittime riteniamo che la documentazione di un percorso di recupero dell’imputata, presentato al giudice, non può motivare l’accettazione di un patteggiamento, perché non è una risposta di giustizia per una giovane vita distrutta, con tutto il dolore e la privazione irreversibile; non è una pena congrua per un comportamento scellerato di una giovane di 28 anni, ubriaca e drogata alle 9 di mattina! È piuttosto un modo per aiutare colei che ha commesso il reato a non subire la condizione afflittiva dell’espiazione di una pena in carcere, permettendole invece i domiciliari e la frequenza dell’Università, che avrebbe egualmente potuto frequentare permanendo in carcere. Sono proprio i domiciliari la nota stonata della pena: la vittima ormai costretta a stare sotto terra per sempre, mentre a colei che l’ha ridotta in tale stato è consentito di continuare a vivere sempre in famiglia, togliendole così l’afflizione della pena – tra l’altro riferita solo ad alcuni anni – che le avrebbe invece permesso di riconciliarsi con la società e di riflettere sul peso umano della perdita della vita causata dalla grave responsabilità dei suoi comportamenti superficiali, egoistici e indegni in una società civile, fondata sull’osservanza delle norme e sulla consapevolezza che la libertà si trasforma in libertinaggio se non ha dentro di sé il senso del limite.
Anche se si debbono eseguire, non si possono accettare sentenze che prosciolgono l’imputato per “tenuità del fatto” nonostante sia stato riscontrato un livello di alcol nel sangue di quasi 4 volte superiore al massimo consentito! Si tratta di una recente sentenza presso il Tribunale di Milano che ha creato sconcerto (Giuseppe Guatella, Corriere della sera).

Abbiamo il dovere di scrutare le nostre responsabilità perché le decisioni siano degne del ruolo che siamo chiamati ad esercitare nella vita e nelle professioni, con la consapevolezza che le inefficienze, specie nella gestione della giustizia, possono contribuire all’arretramento dell’adesione sociale al valore del rispetto della vita e della salute sulla strada.
Tutto quanto conferma la perdurante attualità delle proposte già formulate negli anni precedenti e in parte richiamate nella presente relazione. Gli operatori del diritto sanno bene che una giustizia ritardata è una giustizia negata, pertanto spetta a loro superare tale deriva attraverso una migliore organizzazione del lavoro e scelte procedurali giuste, che non creino tortuosità a danno di un corretto e più rapido svolgimento processuale.

In definitiva, nel ricordare che la prevenzione è una responsabilità condivisa – come indica il Piano europeo della sicurezza stradale – rivendichiamo la fondamentale finalità dell’AIFVS di “Fermare la strage stradale”, obiettivo primario di civiltà. E mentre non vogliamo né vittime e né imputati, riconosciamo che i temi della giustizia e della prevenzione sono interconnessi: la giustizia potrà orientare i cittadini al rispetto dei diritti umani e della legalità se nel dopo-incidente garantirà indagini accurate per la ricostruzione delle dinamiche e processi celeri e rigorosi, dai quali emerga “non solo la verità processuale, ma anche la verità dei fatti”.

È questo il cambiamento che auspichiamo nella giustizia, e per il quale si può e si deve fare di più.  

Giuseppa Cassaniti – presidente AIFVS – www.vittimestrada.org    
 

>Studio – rapporto, considerazioni e proposte operative 2020-2021
dell’Associazione Italiana Familiari e vittime della strada A.I.F.V.S. Onlus
Sede di Porto Potenza Picena (MC)

 

Venerdì, 29 Gennaio 2021
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Tag: AIFVS.
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