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Articoli 11/09/2003

Ue: Numeri e Statistiche a confronto Analisi della "contabilità" europea degli incidenti stradali

Ue: Numeri e Statistiche a confronto
Analisi della "contabilità" europea degli incidenti stradali


di Marco Giustini

INTRODUZIONE

La prima cosa che è necessario fare quando si vogliono confrontare dati che provengono da rilevazioni differenti è accertarsi che dette rilevazioni siano standardizzate secondo ben determinati criteri in modo tale da evitare che possano essere introdotte nell’analisi delle distorsioni, un fenomeno, questo, ben conosciuto in epidemiologia con il nome di bias.

Il bias in genere induce deviazioni o distorsioni in una determinata direzione e può riscontrarsi quando, ad esempio, tra due gruppi, uno nel quale viene sperimentata una nuova cura, l’altro (gruppo di controllo) nel quale ai pazienti viene somministrata una cura tradizionale, c’è una differente distribuzione di alcune variabili (ad esempio sesso ed età) che caratterizzano i soggetti. Un bias può introdursi quando si è in presenza di una diseguale perdita di soggetti al follow-up nei diversi gruppi studiati; ma si è in presenza di un potenziale bias anche quando ‚ e questo è il nostro caso ‚ c’è una differente metodologia di rilevazione dei dati.

Sulla mortalità per incidenti stradali, due sono le fonti di dati: le statistiche sanitarie delle cause di morte e le Statistiche degli incidenti stradali.

Come è noto, le Statistiche degli incidenti stradali si basano sui verbali che le forze dell’ordine compilano al momento dell’incidente e che inviano, poi, all’ISTAT. La quantità di dati che pervengono all’ISTAT, tuttavia, non rispecchia la totalità degli eventi che si verificano perché in questo modo vengono presi in considerazione solo i morti entro i 30 giorni successivi all’incidente. Rispetto ai dati desumibili dalle statistiche sanitarie delle cause di morte (basate sui certificati di morte) che prendono in considerazione tutti i decessi che accadono entro l’anno, la sottostima è dell’ordine del 30%. Inoltre può verificarsi il caso che per qualche annualità possano mancare dati di alcune zone, talvolta anche importanti. Questi problemi, peraltro strutturali con queste procedure di rilevamento dati, rendono deboli i confronti internazionali per due ordini di motivi:

  • trasversalmente, perché questi problemi sono comuni a tutti i sistemi di rilevazione basati sui verbali degli incidenti stradali, e il loro peso varia da Paese a Paese;

  • longitudinalmente, perché nel tempo la qualità del dato può variare anche nello stesso Paese.

Un approccio più sicuro per evitare di trarre false conclusioni è quello di prendere in considerazioni dati certamente omogenei, la cui copertura del fenomeno sia totale. Anche se, per problemi legati al controllo di qualità di un enorme volume di dati, non sono disponibili in tempi brevi, le statistiche sanitarie relative alle cause di morte offrono un sicuro banco di prova per monitorare, anche se a distanza di qualche anno, l’andamento della mortalità per incidente stradale.

Queste statistiche evitano i problemi sopra evidenziati in quanto assicurano nel tempo l’assoluta copertura di tutti gli eventi mortali che si verificano entro l’anno solare (almeno per i principali Paesi occidentali), attribuendo ad ogni causa di morte un codice preciso che fa riferimento all’International Classification of Disease, IX revision. In base a questa classificazione gli incidenti stradali sono identificabili in maniera univoca dai codici di causa esterna (ovvero l’evento che ha provocato il trauma mortale) che vanno da 810.0 a 819.9. Per le ragioni ora segnalate, nel seguito faremo riferimento a questo insieme di dati, costituito dalle statistiche di mortalità annuale di diversi Paesi, raccolte dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

DATI E CONFRONTI INTERNAZIONALI

Nel 1999, ultimo anno per il quale ad oggi si dispongono in Italia dei dati sanitari di mortalità, nei paesi dell’Unione Europea (UE) sono decedute in seguito ad incidente stradale circa 39.400 persone, il 70% delle quali sulle strade di Francia, Germania, Spagna, Italia.

Certamente queste cifre sono di per sé sufficienti a delineare uno scenario di notevole gravità, che apparentemente può indurre a ritenere che vi sia un’Europa a due velocità: da una parte i quattro Paesi citati, ove la circolazione è intrinsecamente pericolosa, e gli altri, dove tutto sommato si può stare ragionevolmente tranquilli.

Questa conclusione, basata sul concetto di rischio, seppur non del tutto errata, rappresenta con scarsa precisione il fenomeno dell’incidentalità stradale nei Paesi dell’UE.

Infatti, un approccio più corretto nei confronti internazionali è quello di rapportare il numero di morti alla popolazione sottostante dai quali questi morti provengono, esprimendo il fenomeno in termini di tassi di mortalità. In altri termini, se Francia, Germania, Spagna e Italia insieme avessero il 70% della popolazione dell’UE, non vi sarebbe nulla di anomalo se producessero anche il 70% della mortalità per incidente stradale. Viceversa se la popolazione complessiva dei 4 Paesi fosse, ad esempio il 30% di quella dell’UE, quella stessa percentuale della mortalità per incidente stradale in essi registrata (70%) rappresenterebbe un fatto inaspettato ed allarmante.

Fortunatamente la realtà si colloca molto vicino alla situazione descritta nel primo esempio, poiché nei quattro Paesi considerati risiede il 63% della popolazione dell’UE.

Esprimendo, quindi, la mortalità in termini di tassi, si può notare come l’Italia presenti dei valori contigui quelli propri dell’Unione Europea (fig.1), con un tasso di mortalità di 12,1 morti per 100.000 res./anno contro i 10,5 morti dell’UE.

Parlando, quindi, in termini di tassi di mortalità (ovvero facendo riferimento ad un indicatore più legato al concetto di rischio che non il numero assoluto dei morti), si può già osservare come l’Italia sia, per così dire, nel mezzo del gruppo e come, con l’eccezione della Grecia, vi sia una certa omogeneità nelle differenze tra un Paese e l’altro.

Seguendo nel tempo i tassi di mortalità osserviamo come nella gran parte dei Paesi, le politiche di contrasto degli incidenti stradali hanno avuto, sia pur con efficacia differente, degli effetti positivi (fig.2), visto che quasi ovunque i tassi di mortalità sono diminuiti negli ultimi 30 anni di un ordine di grandezza che oscilla dal 40 al 75%

Per inciso si osservi come anche in questo caso la diminuzione osservata in Italia sia della stessa entità di quella che mediamente si è riscontrata in tutta l’Unione Europea (-50,9% vs ‚52,9%).

Meno rosea appare la situazione se facciamo riferimento non già ad un periodo molto ampio, nel quale oltretutto è cambiata con dei ritmi assolutamente differenti la motorizzazione dei singoli Paesi, e concentriamo l’analisi ai 5 anni che vanno dal 1995 al 1999. In questo caso si possono avere le "ultime tendenze" del fenomeno e constatare se per caso non vi siano delle allarmanti inversioni di tendenza rispetto ad un trend trentennale.

L’analisi dei dati relativi a quest’ultima finestra temporale conferma alcune situazioni, ma ne ribalta altre. Usando una metafora mutuata dal gergo ciclistico, l’Italia ultimamente appare mostrare dei segni di stanchezza e staccarsi dal grosso del gruppo. Paesi molto "virtuosi" come Finlandia e Svezia sembrano aver raggiunto un livello al di sotto del quale non riescono a scendere e si trovano, per così dire, a "raschiare il fondo". Viceversa Grecia e, soprattutto, Portogallo (ovvero i Paesi a più recente motorizzazione) stanno compiendo in fretta sostanziali progressi.

Tuttavia si osservi che questo spiccato calo riflette in parte un effetto di sistema, come ben mostrato dalla Legge di Smeed (1944), in base alla quale la crescita dei veicoli circolanti è spesso accompagnata da una diminuzione "fisiologica" del numero dei decessi. Ad esempio in Italia nel 1972, quando circolavano circa 13 milioni di veicoli, i morti erano più di 12.000; attualmente, con oltre 40 milioni di veicoli sulle nostre strade, i morti sono quasi 8.000

Va tuttavia osservato che un confronto più interessante dovrebbe essere fatto tra aree omogenee, ovvero tra Paesi nei quali le problematiche in seno alla circolazione stradale possono in via di principio considerarsi simili. In altri termini dire che l’Italia presenta un tasso di mortalità 3 volte e mezzo superiore a quello che si registra a Malta può certamente costituire uno spunto di riflessione; tuttavia è necessario rendersi conto che il paragone con una realtà completamente differente dalla nostra, quanto a dimensioni, disponibilità di risorse economiche, parco circolante, sviluppo della rete viaria, condizioni climatiche, ecc., se preso acriticamente può portare a delle conclusioni semplicistiche ed erronee.

Prendendo in considerazione aree omogenee per vastità geografica, dimensioni della popolazione e del parco circolante nonché sviluppo delle rete viaria (Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Spagna), sembrano delinearsi tre situazioni differenti: Italia, Francia e Spagna hanno dei tassi di mortalità assai contigui tra loro, leggermente superiori a quelli della Germania, la quale a sua volta si posizione ad un livello intermedio tra il Regno Unito e i Paesi dell’area mediterranea, anche se più vicini a questi ultimi. In altri termini, i Paesi più popolosi dell’Unione Europea sembrano essere soggetti a dinamiche simili. Da questo quadro si discosta nettamente il Regno Unito nel quale la cultura della sicurezza stradale ha radici così profonde da produrre effetti macroscopici su vasta scala.

L’andamento nel tempo relativo ai 5 paesi dell’Unione Europea che abbiamo identificato in base ai criteri di omogeneità mostra come esso sia in progressivo e costante calo (fig.4).

Si osservi la sovrapposizione tra i tassi di mortalità dell’Italia e quelli della Francia, una nazione che, perlomeno nell’accezione comune, viene ritenuta più avanti del nostro Paese quanto a politiche di contrasto dell’incidentalità stradale (uso dei dispositivi di sicurezza più elevato, maggiori controlli dell’alcolemia dei conducenti, vasto utilizzo di rotonde stradali, eccÖ).

Eclatante è, invece, la differenza tra questi Paesi ed il Regno Unito ove sinergiche strategie di prevenzione sono messe in atto da decenni e quindi hanno avuto modo e tempo di manifestare i propri benefici effetti.

RUOLO DEI PRINCIPALI FATTORI DI RISCHIO NELL ’INCIDENTALITA’STRADALE

Per quanto concerne i fattori di rischio, allo stato attuale delle conoscenze, possiamo dire che la guida sotto l’effetto dell’alcol rappresenta il fattore di rischio più potente nella genesi dell’incidente stradale grave o mortale. Ciò riveste particolare importanza data l’alta prevalenza del consumo di bevande alcoliche in Italia (si stima che vi siano nel nostro Paese 4.000.000 di bevitori eccessivi, di cui circa 1.000.000 di alcol-dipendenti). Purtroppo non si conosce il numero effettivo degli incidenti stradali alcol-correlati in Italia in quanto il Codice della Strada non consente di effettuare controlli casuali dell’alcolemia dei conducenti, controlli assolutamente necessari per effettuare una corretta stima. Le cifre che circolano si riferiscono ai soli casi che vengono identificati, ma rappresentano una pesante sottostima di quelli che realmente accadono. Stime fatte all’estero sono concordi nel ritenere che almeno il 30-35% degli incidenti stradali gravi o mortali sia da mettere in relazione all’effetto dell’uso di sostanze alcoliche sulla guida.

Ciò significa che nel 1999 nei paesi dell’Unione Europea circa 12-14000 persone sono decedute in seguito ad incidenti stradali in cui la guida sotto l’effetto di bevande alcoliche ha giocato un ruolo determinante.

Comunque, al di la della quantificazione del fenomeno, tre sono le evidenze scientifiche comuni a tutti gli studi epidemiologici svolti al proposito nel mondo:

1. il rischio aumenta in maniera esponenziale con l’aumentare dell’alcolemia (ovvero della concentrazione di alcol nel sangue del conducente) già a partire da 50mg di etanolo ogni 100ml di sangue;

2.a parità di alcolemia il rischio aumenta molto rapidamente quanto è minore l’età del conducente;

3.a parità di alcolemia, il rischio aumenta molto rapidamente quanto è minore l’abitudine al consumo delle bevande alcoliche.

Un altro rilevante fattore di rischio è certamente la diffusione delle sostanze d’abuso, in particolare tra i giovani (allucinogeni, amfetamine, cannabinoidi, cocaina, ecstasy, inalanti, oppiacei). Purtroppo, oltre ai problemi legati alla salute ed al comportamento dei soggetti che si drogano, è stato dimostrato da numerosi studi epidemiologici che l’assunzione di sostanze da parte di conducenti di veicoli, specie se accompagnato da consumo di alcol, comporta un aumento cospicuo del rischio di incidente stradale grave o mortale. Il livello di queste conoscenze epidemiologiche non è certo comparabile con quanto già maturato per l’alcol etilico, soprattutto perché un dosaggio affidabile delle sostanze è ancora basato su metodologie di prelievo invasive.

Come ridurre questo fenomeno? L’azione principale nel breve termine è promuovere l’uso sistematico del casco e delle cinture, fatto che ridurrebbe da subito il numero di morti, invalidi e ricoverati. Questa azione dovrebbe essere promossa attraverso l’informazione congiuntamente ai controlli. Si osservi che il target cui tale azione dovrebbe essere diretta è quello generale dei conducenti, e non solo quello dei giovani che, in base a ricerche effettuate dall’ISS, sono per alcuni aspetti più attenti alle tematiche della sicurezza rispetto agli adulti (ad esempio, i giovani risultano essere coloro che indossano di più le cinture di sicurezza).


 

 

 

 

Giovedì, 11 Settembre 2003
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