Venerdì 19 Aprile 2024
area riservata
ASAPS.it su
Articoli 04/06/2020

di Lorenzo Borselli*
Fine della quarantena, ma è di nuovo ecatombe di motociclisti
Serve un piano pandemico della sicurezza stradale e, scoperta, sarebbe tutto (o quasi) già pronto
Ogni anno buttiamo 29 miliardi di euro per i costi sociali della violenza stradale

Foto da moto.it

 

(ASAPS) Forlì, 4 giugno 2020 – La serie di incidenti stradali occorsi a motociclisti, che hanno caratterizzato la vigilia della riapertura complessiva del Paese, sono l’indicatore che niente, almeno sulla strada, è cambiato. Nel lungo ponte che ha aperto il mese di giugno, gli osservatori dell’ASAPS che tengono sotto controllo questa nicchia di sinistrosità stradale (che tanto “nicchia” non è, visti i numeri che produce), hanno registrato 16 vittime in 12 incidenti mortali. Dunque, abbiamo a che fare con eventi caratterizzati da pluriletalità e dobbiamo riprendere da dove avevamo lasciato.
Anzi, forse siamo addirittura tornati indietro: è possibile che dopo tre mesi di isolamento quasi domestico, la voglia di libertà porti qualcuno a strafare, a sentirsi legittimato a farsi prendere la mano. Sapete da cosa lo capiamo?
Semplice: dalla tipologia di incidenti che caratterizza la categoria dei centauri, vale a dire i numerosi impatti frontali. Nel lucchese, lo scontro tra una moto e uno scooter lo scorso 1° giugno, ha fatto tre morti (un 38enne e due ragazzini di 17), mentre nel vicentino padre e figlia, rispettivamente di 48 e 11 anni, insieme in sella alla BMW del genitore, sono rimasti uccisi poche ore dopo nello scontro con un’altra moto, il cui conducente è uscito praticamente illeso. Appena due giorni prima, il 30 maggio, altro frontale in val di Susa, con due vittime e due feriti gravi in un altro ruota/ruota tra una moto sportiva e uno scooter (sportivo anch’esso). Sempre il 30 maggio, sulle colline di Monte San Savino (Arezzo), aveva perso la vita un altro motociclista 48enne, scontratosi frontalmente con un’altra moto che percorreva, in senso inverso, la SS73 senese-aretina.

Quando le dinamiche hanno queste caratteristiche, è inutile discutere: una delle due parti ha torto e tale responsabilità, oltre ad avere una rilevanza penale assoluta, è spia di una grave trasgressione. Attenzione, però: quando parliamo di trasgressione alla guida, non ci riferiamo mai a un fatto istantaneo. Le condotte che hanno come esito finale incidenti di questo tipo, sono la conclusione di vere e proprie scorrerie, che mettono a rischio l’intera collettività che si trovi sul percorso di quello che i gassisti più pericolosi chiamano “il giraccio”.
In tutti i casi dei quali abbiamo letto la cronaca (qui citiamo solo gli ultimi), c’è sempre qualcuno che, indiscutibilmente, ha violato le regole della circolazione in maniera criminale e, ci rivolgiamo fin da subito ai centauri che la prenderanno male, l’unica cosa da fare per limitare i comportamenti trasgressivi così potenzialmente letali è quella di riprendere il controllo del territorio e reprimerli.
Si dirà: e come è possibile?
Semplice: con una strategia.
Le strade in cui tali comportamenti vengono posti in essere, sono molte, ma sono sempre le stesse. E sono sempre gli stessi i giorni nei quali i bikers le percorrono: sabato, domenica e festivi.
Diciamo anche che un incidente mortale costa al Paese, in media, 1 milione e 600mila euro. Parliamo di media, perché se poi in un singolo evento le vite cancellate sono più di una, allora il discorso cambia. E poi c’è il computo dei feriti: in caso di evento con lesioni gravi, il prezzo che paga la società è di circa 310mila euro, mentre con incidenti che comportino lesioni lievi il costo medio che è corrisposto dai cittadini è di 32mila euro. In totale, ogni anno, buttiamo via, oltre alle vite e alla qualità di vita di chi si fa solo male, qualcosa come 29 miliardi di euro.

Quindi, quanto sbaglia l’ASAPS se propone un piano pandemico di contrasto a questa mattanza? Perché, vedete, se per difenderci dal virus abbiamo imparato a indossare la mascherina ed a tenerci a debita distanza dal prossimo (congiunto o meno che sia), perché non fare altrettanto sulla strada?
Il casco e le protezioni, aiutano, ma poi ci sono gli untori (quelli che attraversano i centri abitati a velocità folli o che sorpassano in piena curva), ci sono le infrastrutture che non garantiscono adeguati standard di sicurezza (guardrail, pali killer e asfalti devastati), e poi ci sono i cosiddetti conducenti della domenica, quelli che ripartono dalle traverse parlando al telefonino o ammirando i panorami anziché tenere gli occhi sulla strada.

Comprendiamo benissimo, credeteci, che guidare una moto non è come andare in auto: i margini di accelerazione e frenata sono diversi e, siamo d’accordissimo, viaggiare a 90 in sella non è come farlo al volante. Però, viaggiare a 50 km/h significa percorrere 14,4 metri al secondo, a 90 all’ora i metri percorsi in un secondo sono 25, a 160 ben 45. Con la differenza che, quando andiamo a sbattere, l’auto offre un minimo di protezione al corpo umano. La moto, no.
È dunque necessario agire. Con intelligenza, certo, ma ogni azione intrapresa dovrà passare da una strategia che non può prescindere dalla repressione, perché solo reprimendo, e rendendo certa l’azione di sanzionamento, si ottiene un primo risultato preventivo.

La risposta del Paese all’emergenza COVID-19, ci ha insegnato che quando vogliamo conseguire un risultato, questo arriva: la base legislativa esiste, ed è consolidata. Ci sono criticità? Certo:
• l’incertezza delle sanzioni accessorie (prima tra tutte la decurtazione dei punti dalla patente, che, secondo noi, sono decisamente troppi);
• la mancanza di strategia interforze: abbiamo la Prefettura (Ufficio Territoriale di Governo) in ogni provincia. Il Prefetto è autorità provinciale di Pubblica Sicurezza e uno dei suoi compiti principali è proprio quello di coordinare le attività delle polizie nel territorio di propria competenza. Basta che il governo gli dica cosa fare e lui lo farà. Ogni territorio ha le sue strade preferite dai motociclisti in cerca di emozioni forti.
Prima di tutto, però, serve un’agenzia interministeriale della sicurezza stradale, un Ente che abbia il potere di coordinare efficacemente tutte le strategie nazionali e che, quindi, pensiamo dovrebbe nascere al Viminale;
• carenza di campagne informative e di sensibilizzazione: se il coronavirus ci ha colto di sorpresa, non possiamo dire la stessa cosa della violenza stradale. Potete star certi che il piano pandemico nazionale (che non era stato aggiornato in Italia dal 2010, allo scoppio dell’H1N1, la cosiddetta influenza suina) sarà subito adeguato. Pensiamo davvero che sia più semplice preparare l’Italia a fronteggiare una pandemia piuttosto che ripristinare la sicurezza (e la legalità) sulla strada? Gli italiani hanno dimostrato buon senso e riteniamo che ciò sia dovuto al fatto che il mix di paura per le conseguenze di comportamenti sbagliati e l’uragano di informazione che è piombata su tutti noi dai media, abbia velocemente cambiato le coscienze. Dunque: va bene fare qualche spot, ma qui è il momento di darci dentro.


Detto questo, non dateci dei forcaioli o dei giustizialisti (aggettivo, questo, che indica originariamente un appartenente al partito di Juan Domingo Peròn): chi scrive è un motociclista di lunghissimo corso che, nell’ormai lontano 2003, venne ridotto in fin di vita da un centauro che lo centrò in piena curva, dopo aver ingoiato tanto di quell’alcol (il tasso accertato in ospedale fu 3,75 g/l) da svenire mentre guidava. E nel 2007 la scena si ripeté per mano di un pensionato, che perse il controllo dell’auto in pieno rettilineo travolgendo l’autore, che si risvegliò nuovamente in sala antichoc.
E il sottoscritto, non dimenticatelo, è ancora motociclista, nella sua vita privata e in servizio. Ama la velocità e le pieghe, ma ama anche le regole e lavora, ogni giorno, affinché il rispetto delle stesse riporti a casa quanta più gente possibile. (ASAPS)

 

(*) Ispettore della Polizia di Stato. Responsabile della Comunicazione di ASAPS


 


È di nuovo dramma sulle strade. 16 motociclisti morti in pochi giorni, 7 in soli 3 scontri. La lucida analisi del nostro esperto Lorenzo Borselli su un fenomeno che con la fine della quarantena è tornato fuori controllo. Serve un piano di interventi “pandemici”. (ASAPS)

 

Giovedì, 04 Giugno 2020
stampa
Condividi


Area Riservata


Attenzione!
Stai per cancellarti dalla newsletter. Vuoi proseguire?

Iscriviti alla Newsletter
SOCIAL NETWORK