SENTENZA CORTE GIUSTIZIA EUROPEA: OBBLIGHI STATI MEMBRI NELLA GESTIONE DEI RICHIEDENTI PROTEZIONE INTERNAZIONALE
a cura Ufficio Studi ASAPS
La Corte di Giustizia Europea, con la sentenza del 2 aprile 2020 nelle cause riunite C-715/17, C-718/17 e C-719/17, ha sancito che il rifiuto di conformarsi al meccanismo temporaneo di ricollocazione di richiedenti protezione internazionale, per Polonia, Ungheria e la Repubblica ceca ha avuto come conseguenza il venir meno agli obblighi stabiliti dal diritto dell'Unione. E' stato accolto il ricorso per inadempimento della Commissione Europea. Nella sentenza si legge che gli Stati "non possono invocare le responsabilità in materia di ordine pubblico e di salvaguardia della sicurezza interna o anche il presunto malfunzionamento del meccanismo di ricollocazione per sottrarsi alla sua esecuzione."
La Corte precisa poi che le autorità degli Stati membri hanno un "ampio margine di discrezionalità" in materia di sicurezza, tuttavia esse "al termine di un esame caso per caso" devono basarsi "su elementi concordanti, oggettivi e precisi, che consentano di sospettare che il richiedente rappresenti un pericolo attuale o potenziale". Di conseguenza gli Stati non possono invocare ai soli fini di prevenzione generale e senza dimostrare un rapporto diretto con un caso individuale, l'articolo 72 TFUE per giustificare una sospensione, o perfino una cessazione degli obblighi incombenti in forza delle decisioni di ricollocazione. Per quanto riguarda poi l'argomento del malfunzionamento del meccanismo di ricollocazione, la Corte ha chiarito che gli Stati non possono basarsi su di una "valutazione unilaterale della mancanza di efficacia o malfunzionamento del meccanismo di ricollocazione, per sottrarsi a qualsiasi obbligo di ricollocazione".
>In allegato la sentenza della Corte di Giustizia Europea