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Articoli 10/11/2005

Gli esperimenti nella galleria del Virgolo sull’Autobrennero

Sicurezza gallerie Il progetto europeo UPTUN
da Il Centauro n.99 - Ottobre 2005

Gli esperimenti nella galleria del Virgolo sull’Autobrennero
Sicurezza gallerie
Il progetto europeo UPTUN

di Lorenzo Borselli *.

 


La più recente storia della circolazione europea, quella che è ancora ben impressa sulle pagine della cronaca nera, ha continuato a tenere in auge il problema della sicurezza della circolazione (soprattutto quella dei veicoli) in galleria. Le ultime indagini europee hanno accertato che alcuni tunnel stradali italiani sono tra i peggiori del vecchio continente (per la precisione nel tratto umbro-romagnolo della E45), ed è un fatto che la nostra mobilità, intendendo con questo la capacità di muovere persone e merci da-e-per il resto d’Europa, dipende quasi esclusivamente dalla capacità di valicare le Alpi.
Potremmo suggerire, e sarebbe davvero un efficace toccasana, di guardare con maggior attenzione alle autostrade del mare o incrementare il numero di convogli ferroviari, ma per il momento l’asfalto resta la priorità, mentre l’impiego massiccio di navi e la realizzazione del famoso “Corridoio 5”, solo una prospettiva lontana.
Valicare le Alpi al volante, però, non è una cosa da poco: servono mezzi moderni, che riescano a limitare consumi ed emissioni ed al tempo stesso garantire affidabilità nelle percorrenze a forte variazione altimetrica, ma servirebbero anche manufatti all’avanguardia, che consentano interazione con l’evoluzione del mezzo e che siano dotati di tutti gli accorgimenti di sicurezza attiva e passiva necessari alla pronta risoluzione di un qualsiasi evento accidentale.
Dopo le terribili sciagure nelle viscere delle montagne che costituiscono il nostro confine naturale, è evidente che qualcosa è profondamente mutato, se non altro a livello di mentalità, ma è altrettanto evidente che molti enti proprietari delle strade – non ce ne occuperemo in questa occasione – non hanno fatto ancora nulla per risolvere le proprie mancanze.
Sebbene poi la maggior parte degli eventi infortunistici abbia avuto come causa scatenante il fattore umano, la pessima condizione nella quale versano molti tunnel italiani ha puntualmente comportato l’aggravamento delle conseguenze: il rogo di un’auto in uno spazio aperto è cosa di poco conto, ma se lo stesso veicolo dovesse bruciare all’interno di una delle piccole gallerie nel centro urbano di Napoli (solo per fare un esempio) avremmo tutti gli ingredienti per una macroemergenza; si pensi poi cosa potrebbe accadere se invece di un’auto dovesse bruciare un mezzo soggetto alla normativa ADR (merci pericolose).
A partire dal 1975, tutta l’Europa si è misurata con il problema della scarsa sicurezza: la tabella che segue riepiloga tutti i maggiori eventi avvenuti in gallerie stradali. Solo in un caso (quello del Monte Bianco) la causa non è umana. Si noti anche che ancora non è presente il recente evento del Frejus. L’Autobrennero – che gestisce uno dei tratti autostradali di maggior portata strategica nel movimento di persone e merci in Italia – ha aderito ad un programma di sicurezza nell’ambito del progetto europeo UPTUN, acronimo inglese di “Cost-effective, Sustainable and Innovative Upgrading Methods for Fire Safety in Existing Tunnels”. La società, unico esempio del suo genere, è divenuta protagonista del 5° “Framework Programme, Competitive and Sustainable Growth Programme, sotto l’egida della Commissione Europea, culminato con un’esercitazione scientifica [1] effettuata lo scorso 18 febbraio 2005 all’interno della galleria del Virgolo [2] alla quale hanno partecipato 41 organismi (tutti aderenti all’UPTUN), dei quali molti sono università ed enti scientifici.


Il programma intende sviluppare le tecnologie più appropriate e quelle per le quali si prospettano fronti applicativi, nell’ambito della realizzazione e manutenzione di tunnel di ogni tipo, soprattutto quelli stradali, all’interno dei quali – si è detto – abbiamo assistito alle tragedie più recenti: l’esercitazione è servita anche per tracciare il futuro delle ferrovie, tanto che alla base del manufatto sono state posate traversine in acciaio.
Ricerca di materiali con i quali costruire manufatti sempre più resistenti, dunque, ma anche l’occasione per testare nuovi protocolli di intervento in caso di incidente. Si è trattato di un esperimento incredibile, anche da un punto di vista dei costi (elevatissimi), al quale hanno partecipato i Vigili del Fuoco e la Polizia Stradale, e che ha fornito una mole di dati talmente elevata da richiedere mesi di analisi per le valutazioni, ancora in corso. L’autostrada del Brennero ha fornito alla redazione de Il Centauro un rapporto preliminare, che ci consente di realizzare questo lavoro.
Mentre la volta del tunnel si anneriva ed i vortici di fumo incandescente si propagavano in quel piccolo ambiente artificiale, migliaia di sensori e telecamere monitoravano le condizioni di vivibilità – e quindi di sopravvivenza – in uno spazio divenuto improvvisamente così ostile come una galleria invasa da fumo e fiamme, controllando l’evoluzione dell’atmosfera e della temperatura, la variazione dei parametri chimici e fisici – compresa l’efficacia della strumentazione di rilevamento – e la bontà dei progetti per il contenimento dei fumi e di soppressione dell’incendio, come setti gonfiabili, barriere d’acqua e l’innovativo sistema “water mist” [3]; il tutto senza dimenticare che esiste anche una scienza dei materiali di costruzione, come quella dei calcestruzzi, la cui composizione viene spesso riprogettata ex novo proprio in relazione agli esiti di esperimenti come quello della galleria del Virgolo, o degli ancoraggi. Si tenga conto che l’esercitazione ha ricreato quattro incendi davvero devastanti, fatti propagare accendendo gasolio combustibile in vasche d’acciaio di 2 metri quadri ciascuna, raggiungendo tassi di rilascio di calore fino a 30 MW. Infine, nel corso del test è stato effettuato anche un accurato studio dello scenario dell’evento e dei modi e tempi con cui i soccorritori sono riusciti a penetrarvi, oltre alla gestione dell’incendio tramite la ventilazione naturale e quella forzata che avveniva dall’interno di una moderna sala di regia, alla quale facevano capo – grazie ai cablaggi – oltre 300 sensori di temperatura, 10 anemometri e 5 telecamere di cui due stereoscopiche (in grado di proiettare immagini tridimensionali percettibili grazie all’uso di speciali occhiali) ed una a raggi infrarossi. Un antro da tregenda, potenzialmente letale per chi nella realtà si fosse trovato a dover fronteggiare un evento di questo tipo, e che ha fatto calare il silenzio fra i 350 spettatori ospitati sulle tribune di un’insolita sala di regia, allestita all’esterno del manufatto che ha ospitato l’esercitazione, munita di due maxischermi di 12 metri quadri per la diretta delle operazioni, aggiornati in tempo reale con diagrammi relativi alla temperatura dell’aria ad alla sua velocità impressa con la gestione delle ventilazioni forzata e naturale.


Quando ogni particolare è stato controllato, i responsabili del progetto hanno concesso il via libera innescando l’incendio del propellente contenuto nelle vasche, dando il via alla misurazione del tempo.
Quando le fiamme hanno lambito la volta, il fumo densissimo ha cominciato a cercare una via d’uscita: è questo uno dei momenti più critici – nella realtà – e più letali. Per questo motivo due distinte squadre di Vigili del Fuoco hanno fatto da cavie e i loro corpi, adeguatamente protetti, sono stati disseminati di speciali sensori [4], piazzati all’altezza di spalle e ginocchia, che hanno consentito alla regia di mantenere il continuo controllo della situazione all’interno del tunnel, divenuto in pochi secondi un vero e proprio girone dantesco.
Altri coraggiosi pompieri hanno seguito un percorso programmato di evacuazione dall’epicentro dell’incendio, puntando verso le uscite della canna, camminando a velocità diverse, per riprodurre il comportamento di soggetti adulti e bambini: lo scopo di questa prova era quello di testare la capacità di resistere in quelle condizioni così avverse, per la presenza di fumi di veleno sprigionato dalla combustione e dalla temperatura elevatissima.


Il teatro delle operazioni: si osservino le vasche in acciaio inox piene di gasolio, poggiate su binari ferroviari. Alla parete si notano i sensori.

Il risultato, secondo gli esperti, è stato apprezzabile, tanto che i Vigili del Fuoco dotati di rilevatori della qualità dell’aria sono riusciti ad allontanarsi dalle fiamme con velocità variabili tra gli 0,80 cm/sec e gli 0,40 cm/sec per coprire i 350 metri di percorso.
Ma il fattore umano non è il solo ad aver interessato i tecnici che hanno predisposto l’esercitazione: in ballo c’era anche il collaudo di alcuni tra i più avveniristici sistemi di spegnimento e contenimento delle zone di fuoco che la tecnologia moderna possa consentire di realizzare.
Proprio l’aver potuto contare su un esperimento così articolato – nel corso del quale gli incendi artificiali sono stati ben quattro – ha fornito agli scienziati la possibilità di mettere alla prova tre diversi sistemi, profondamente diversi l’uno dall’altro, sia in maniera del tutto autonoma, che in combinazione tra loro. Si tratta degli Air Plugs, setti d’aria gonfiabili, del sistema Water Mist e delle Barriere d’Acqua.
Il sistema Air-plugs è davvero interessante, perché combatte il fuoco togliendogli praticamente il respiro: alcuni setti d’aria – in pratica dei giganteschi palloni – sono in grado di conformarsi al profilo della galleria, diventando dei veri e propri tappi che sigillano il tunnel alle due estremità, in modo tale da bloccare il flusso d’aria: niente ossigeno, niente fuoco, niente fumo e niente calore. È ovvio che venendo a mancare questi elementi conseguenti all’incendio, un utilizzo tempestivo del sistema – una volta che l’ultimo sopravvissuto avesse evacuato il settore – consentirebbe di mantenere sotto controllo il resto della galleria, e dare più tempo ai coinvolti di raggiungere l’uscita e salvarsi.


Il layout degli impianti installati nella zona dell’incendio

Più facile a dirsi, che a farsi, vista la difficoltà di trovare materiali resistenti al fuoco ed al calore e in grado di assumere una sagoma tale da chiudere ermeticamente una volta così grande come quella di una galleria: ma l’esercitazione ha fornito comunque risultati importanti.
Il Water Mist, secondo sistema utilizzato nell’esperimento, ha già fornito ampie garanzie sulla propria efficacia nell’abbattimento delle temperature di rogo e di soppressione delle fiamme: i tecnici, quando hanno provato ad applicare questo tipo di tecnologia, hanno dato all’incendio 5 minuti per svilupparsi, mentre altri 5 minuti, per un totale di 10, sono stati necessari dall’attivazione del sistema per ottenere lo spegnimento del rogo.
Le barriere d’acqua sono invece costituite da una fitta rete di ugelli disposti sul perimetro della volta della galleria. Quando le fiamme hanno invaso il tunnel ed è stata attivata la contromisura, una vera e propria tenda d’acqua – addizionata di una speciale miscela molto simile a quella utilizzata dai Vigili del Fuoco per spegnere incendi in caso di incidenti aerei o di veicoli trasportanti merci pericolose – ha letteralmente fatto la doccia al fuoco. Un metro di spessore, sufficientemente grande per combattere il calore, che ha chiuso ermeticamente la zona dell’incendio, lasciando all’interno di una sorta di camera stagna fumi e gas.
Quando la barriera è stata attivata insieme al sistema Water Mist, il risultato è divenuto davvero considerevole.
Un’occasione così è stata un banco di prova eccezionale, anche per gli scienziati dei materiali utilizzati nella realizzazione delle gallerie. Per provare nuove combinazioni di calcestruzzo è stato effettuato anche un esperimento aggiuntivo, con un incendio fatto divampare all’interno di un compartimento si appena 8 metri cubi – chiamato dai tecnici il “minitunnel” – all’interno del quale le pareti sono state costituite da 6 calcestruzzi diversi, lasciati esposti al calore dall’inizio dell’incendio fino all’autoestinzione del rogo ed al naturale raffreddamento del manufatto.
Una prova durissima, che ha messo alla frusta anche i sensori. L’esperimento principale è invece stato destinato ad una prova più convenzionale dei 6 cementi, vista la necessità di monitorarne i comportamenti nelle fasi anche degli interventi di estinzioni a nelle profondità diverse del tunnel.
Nel corso dei test si è raggiunta nell’aria una temperatura massima di 1.100 gradi centigradi: praticamente un inceneritore, con condizioni estremamente simili a quelle che si verificarono nel rogo del Monte Bianco. La corazza di cemento si è comportata benissimo: non possiamo entrare nei particolari, perché i dati non sono ancora del tutto disponibili, ma scendendo di appena 10 millimetri in profondità nel calcestruzzo, venivano registrate diminuzioni fino a 100 gradi.
Il rapporto dell’esercitazione non è ancora completo, ma l’obiettivo sembra essere stato centrato e nuove informazioni sono ora a disposizione dell’UPTUN.
Quello che interessa di più, ovviamente, è la sopravvivenza umana ad eventi così catastrofici, ed in questo la scienza fornirà contenuti essenziali a garantire maggiori strumenti di contenimento delle prime fasi dell’incendio.
Esattamente come nell’emergenza medica, infatti, il pronto riconoscimento della situazione, una rapida valutazione di elementi elementari come “… è cosciente?… respira?…” forniscono al potenziale soccorritore informazioni essenziali per la rianimazione.
Allo stesso modo, la gestione delle prime fasi delle emergenze, in galleria, è senz’altro la più importante: si stima infatti che i primi 100 secondi dovrebbero poter fornire tutte le informazioni necessarie a rappresentare la reale situazione, mentre l’evacuazione del punto critico dovrebbe avvenire entro un tempo massimo di 250 secondi.
Le operazioni di soccorso a persona e di spegnimento non dovrebbero comunque superare un tempo massimo di 10 minuti, e questo anche per preservare l’opera da danni irreversibili, che comporterebbero la ricostruzione dell’infrastruttura: per questo motivo, oltre che sistemi di diagnosi degli eventi e di immediato intervento, è un dato oggettivamente scontato (ma non sempre applicato) che il manufatto dovrebbe poter disporre di uscite di emergenza validamente disposte ed in numero sufficiente, di piazzole per la manovra dei veicoli, di sistemi di comunicazione tenuti in efficienza e di una rete per l’alimentazione dell’acqua pronta all’eventuale impiego. I protocolli di sicurezza – e questo lo abbiamo sempre sostenuto anche noi – dovrebbero essere continuamente verificati e testati, ma in questo l’Italia, salvo pochi illuminati esempi, è ben lungi dall’essere in regola, almeno con la propria coscienza.
C’è da augurarsi che l’esperienza della A22 in seno all’UPTUN possa divenire il punto di partenza di un percorso, al quale non dovrebbero aderire solo le società concessionarie, ma tutti gli enti proprietari di strade.
Servirebbe a poco, infatti, avere un tratto autostradale tra i più moderni al mondo o gallerie, come quella del Bianco, considerata un esempio, se poi si cade in gaffe come quelle della maglia nera ad un tunnel della E45 nel tratto più trafficato.

* Sovrintendente della Polizia Stradale.

Note, bibliografia e fonti:
1) Si tratta di esercitazione scientifica proprio per le modalità operative con cui si è effettuata. Si consulti, nel caso, la pagina , (notizie brevi 2005, febbraio 2005, nella quale si fornisce una prima valutazione dell’evento con documentazione fotografica. Cortesia Autobrennero Spa.
2) Galleria del Virgolo, A22, Bolzano;
3) water mist. Sistema di irrorazione che sfrutta le dimensioni estremamente ridotte delle gocce d’acqua per avere una maggior superficie di reazione, consentendo, a parità di incendio da estinguere, l’utilizzo del 10% di acqua rispetto agli sprinkler tradizionali, aumentando i tempi di raffreddamento e minori formazioni di vapore.
4) “Personal Sampler”;



di Lorenzo Borselli *

da Il Centauro n.99 - Ottobre 2005
Giovedì, 10 Novembre 2005
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