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Articoli 19/01/2006

Sassi dal cavalcavia e terrorismo


Ci si è interrogati a lungo, e tuttora ci si interroga, sui motivi che conducono a lanciare sassi da un cavalcavia e ammazzare così, con estrema facilità, delle persone. Nulla di concreto e di particolare è stato ipotizzato, né forse è ipotizzabile, se non un’aberrazione totale dovuta alla noia, al vuoto esistenziale, alla necessità di un’emozione forte quale può essere l’ebbrezza (o la probabilità) di uccidere.
Ovviamente, si tratta di una conclusione sinistra, in proiezione futura, che pone in luce un ennesimo risvolto della perdita di valori morali e della insensibilità che affligge soprattutto le giovani generazioni. Per distrarsi, si giunge a uccidere per gioco. Il passaggio degli automobilisti, visti da un cavalcavia, diventa una sorta di tiro al piattello, dove contano tempismo, riflessi, mira, e dove soprattutto si prova una buona dose di divertimento, pura evasione per distaccarsi un po’ dalla solita routine delle serate da sbarcare fra discoteche, ristoranti, locali, sbornie e altro. Un tiro al piattello mortale ispirato dall’animus iocandi. Adrenalina da scaricare, insomma. Normalmente, in questi casi, si contesta l’omicidio volontario (o il tentato omicidio, in quanto è chiara l’accettazione del rischio di uccidere qualcuno), con varie aggravanti (futili motivi, ad esempio: cosa di più futile ci può essere dell’ammazzare la gente per ammazzare la noia?). La Suprema Corte si è così pronunciata (sentenze 19897/2003, 5436/2005), specificando, peraltro, che, ad esempio, “il lancio ‘a pioggia’, dall’alto di un cavalcavia sulla sottostante sede autostradale, in ora notturna, di sassi, pietre, cossi e simili, … se pure non diretta a colpire singoli autoveicoli, è idonea, per la non facile avvistabile presenza degli oggetti sulla carreggiata, data anche l’ora notturna, e per la consistente velocità tenuta generalmente dai conducenti in autostrada, a creare il concreto pericolo di incidenti stradali, anche mortali”. In un’altra pronuncia, meno recente (Cass. 1628/19095), fu ritenuta la tentata violenza privata, sul presupposto che il lancio di sassi da un cavalcavia è azione violenta e minatoria diretta a indiscriminatamente verso più persone, anche al fine di indurle a cambiare percorso. E’ ovvio che l’induzione indiscriminata e a catena, in persone che viaggiano in autostrada a una velocità elevatissima, della necessità repentina di sterzare o mutare traiettoria, implica, ipso facto, il pericolo di una strage.
Ma queste premesse, il movente di simili comportamenti che si traduce nell’assenza di un movente contingente e specifico, e l’allarme indiscriminato che si viene a creare, forse potrebbero autorizzare un ulteriore ordine di considerazioni, sul piano giuridico. Chi si annida su un cavalcavia, magari di sera, invisibile, e distribuisce morte a suo piacimento in un contesto sociale non certo a rischio o particolarmente pericoloso, ma di normale ed ordinato svolgimento della vita sociale quale un’autostrada, dove le persone normalmente circolano e viaggiano, crea indubbiamente una situazione di panico generalizzato e ingiustificato. E’ incontestabile che la frequenza e la proliferazione di simili comportamenti, che attentano alla vita altrui in un modo indiscriminato, creano una psicosi sociale, una paura latente, l’ossessione del cavalcavia, da cui in ogni momento e nelle circostanze più inattese può piovere un ordigno di morte. Anche se chi butta pietre non lo fa per uno scopo particolare o contingente, per una ideologia politica aberrante o altro di affine, tuttavia è perfettamente consapevole di arrecare, con questo comportamento, un’offesa a soggetti indeterminati, e di creare, attraverso l’imprevedibilità, panico e allarme sociale. Sono questi i termini (si veda Padovani, Codice Penale, 2005, 1225), con cui viene caratterizzata la finalità terroristica a proposito del delitto di cui all’art. 280 del codice penale, “attentato per finalità terroristiche (o di eversione)”, il quale prevede che “chiunque, per finalità di terrorismo…, attenta alla vita o all’incolumità di una persona, è punito con la reclusione non inferiore ad anni venti… Se dall’attentato alla incolumità di una persona deriva una lesione gravissima, si applica la pena della reclusione non inferiore ad anni diciotto, se ne deriva una lesione grave, si applica la pena della reclusione non inferiore ad anni dodici… Se deriva la morte di una persona si applicano, nel caso di attentato alla vita, l’ergastolo, e nel caso di attentato all’incolumità, la reclusione di anni trenta”.

 Terrorismo, infatti, nella sua essenza, è la finalità, intrinseca a un determinato comportamento, di creare terrore indiscriminato nelle persone nel normale svolgimento della vita ordinaria, negli ambiti sociali della convivenza e dello svolgimento della quotidianità. E ciò anche al di fuori di qualsiasi connotazione ideologica o religiosa, e di qualsiasi ispirazione di tipo fanatico. Lo stesso si può dire degli attentati compiuti dai vari Unabomber o Acquabomber, azioni lesive dell’incolumità dei cittadini, subdole, imprevedibili, contro le quali non è possibile apprestare alcuna difesa o prevenzione, e che quindi, proprio in virtù di ciò, creano panico. Ossia, quel particolare stato d’animo di esposizione incondizionata a una situazione non dominabile e nemmeno preavvertibile. Una classificazione, ulteriore, del lancio di sassi dai cavalcavia quale atto terroristico potrebbe quindi essere un’ipotesi di lavoro interessante, per la difesa dei cittadini, e anche ai fini della deterrenza. L’analisi, in proiezione sociale, delle componenti rilevanti sul piano giuridico di queste condotte, infatti, non sembra estranea a quelle caratteristiche in cui, nella sua intima essenza, si sostanzia l’attività terroristica, che altro non è che l’irrompere nella società di una scheggia impazzita che semina morte e paura.

                                               * Gip presso il Tribunale di Forlì di Mi


di Michele Leoni
da "Il Centauro" n. 100 novembre/dicembre 2005
Giovedì, 19 Gennaio 2006
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